2022-07-28
Il centrodestra trova l’intesa sul premier
Siglato l’accordo sul tema della leadership: l’indicazione tocca al partito che prende più voti. Sembra un via libera a Giorgia Meloni, che oggi riunisce la direzione di Fdi. Viene invece rimandata la questione liste e resta la tensione su molti nodi, dai collegi alle Regionali.Un vertice teso, quello del centrodestra andato in scena ieri alla Camera: la richiesta di Giorgia Meloni di non cambiare la regola che prevede che il partito che prende più voti alle elezioni esprime in caso di vittoria il premier è stata «tendenzialmente» accettata dai leader di tutta la coalizione, come ha appreso La Verità a riunione ancora in corso (quando siamo andati in stampa, la riunione non era ancora terminata). Ancora da sciogliere invece il nodo della ripartizione dei collegi uninominali. L’incontro si è svolto alla Camera dei deputati, negli uffici della Lega: intorno al tavolo, alle 17.30 di ieri, si sono seduti la Meloni, il vice presidente del Senato Ignazio La Russa e il capogruppo alla Camera Francesco Lollobrigida per Fratelli d’Italia; il segretario Matteo Salvini, il suo vice Giancarlo Giorgetti e il vice presidente del Senato Roberto Calderoli per la Lega; Silvio Berlusconi, il coordinatore Antonio Tajani e la responsabile per i rapporti con gli alleati Licia Ronzulli per Forza Italia. Infine, presenti i centristi Maurizio Lupi, per Noi con l’Italia, Antonio De Poli per l’Udc e Luigi Brugnaro per Coraggio Italia. Berlusconi è arrivato al vertice accompagnato dalla fidanzata, la deputata Marta Fascina.Per quel che riguarda la quota proporzionale, ogni partito (Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia, Udc, Noi con l’Italia e Coraggio Italia) correrà col proprio simbolo, seguendo la logica di non disperdere neanche un voto; discorso diverso per i collegi uninominali, dove l’intera coalizione deve convergere su un solo candidato: Fdi rivendica la metà dei candidati, in base ai sondaggi, che vedono il partito della Meloni segnalato al 23%, più o meno la somma degli altri partiti, mentre gli alleati, come sempre accade in questi casi, cercano di ottenere qualcosa di più. I responsabili dei partiti della coalizione torneranno a riunirsi nei prossimi giorni per mettere a punto la mappa dei candidati. Su questo argomento, in particolare, c’è stata molta tensione tra Fdi e il resto della coalizione, anche perché la Meloni ha convocato per oggi alle 12 la direzione nazionale del partito, alla quale vorrebbe arrivare con una proposta chiara e dopo aver sciolto tutti i nodi. Per le circoscrizioni estere, ci sarà invece un simbolo unico per tutto il centrodestra.Secondo alcune indiscrezioni, Giorgia Meloni avrebbe chiesto agli alleati di chiudere un accordo complessivo che riguardi anche le Regioni dove si va al voto: la Sicilia, dove le elezioni si svolgeranno in autunno, resta un nodo da sciogliere, perché Fdi vuole ricandidare il presidente uscente Nello Musumeci, ma Fi e Lega sono freddi su questa ipotesi. Molto difficile invece sciogliere sin da ora i nodi per le candidature alle regionali del Lazio e della Lombardia, dove si voterà in primavera.«Decidono gli italiani», ha detto Matteo Salvini, che ha lasciato la riunione mentre era ancora in corso, al Tg5, «decidono liberamente i cittadini il 25 settembre: chi prende un voto in più indica alla coalizione e soprattutto al Paese chi prenderà per mano l’Italia per i prossimi cinque anni. La squadra sarà compatta», ha aggiunto Salvini, che ha indicato in «lavoro, tasse e sicurezza» i temi della campagna elettorale. «Azzerare la legge Fornero e quota 41, flat tax estesa anche ai lavoratori dipendenti, bloccare gli sbarchi a migliaia di clandestini», ha specificato il leader del Carroccio. I big del centrodestra hanno deciso di istituire un tavolo per l’elaborazione del programma.«Io sul tema della premiership», aveva anticipato Luigi Brugnaro entrando a Montecitorio, «non ho nessun dubbio: chi prende più voti ha ragione di decidere chi mandare al governo. L’importante è che ci sia unità d’intenti».Tornando all’argomento più scottante, ovvero la ripartizione dei collegi uninominali, l’accordo ieri sera non è stato raggiunto. Del resto, si tratta di un tema delicatissimo, considerato che mai come questa volta, con la divisione tra centrosinistra e M5s, gli uninominali sono per la maggior parte assai appetibili, perché (tranne che in alcune zone dell’Italia, tradizionalmente «rosse») posso significare elezione sicura.Oltretutto, i candidati al parlamento possono anche correre sia all’uninominale che al proporzionale: in caso di elezione sia nel collegio che nel listino, viene privilegiata la vittoria nell’uninominale, e così si libera un posto in più sulla quota proporzionale, facendo così scattare anche il primo dei non eletti. Un puzzle all’apparenza complicatissimo, ma che i responsabili dei partiti conoscono alla perfezione.Tornando all’aspetto che più appassiona gli italiani, ovvero la scelta del premier in caso di vittoria alle elezioni del prossimo 25 settembre, la resistenza alla conferma della regola della indicazione che spetta al partito che prende più voti si è rivelata, come prevedibile, più che altro tattica. Salvini aveva già manifestato il suo ok, mentre qualche malumore era stato espresso da Forza Italia, preoccupata dalla eventuale resistenza di una parte del suo elettorato rispetto all’idea di vedere la Meloni a Palazzo Chigi. Quando ci si è trovati ad affrontare la discussione «in presenza» e non sui giornali o in tv, però, nessuno ha potuto e voluto portare avanti una tesi insostenibile, considerato che quella regola non scritta è stata sempre rispettata da tutti, a partire proprio dalla Meloni, che non l’ha mai messa in discussione anche quando il suo partito era il più piccolo della coalizione.
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