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2019-11-19
Il centrodestra si desta: venduti da Conte
Getty Images
D'improvviso, la riforma del Meccanismo europeo di stabilità piomba al centro del dibattito politico italiano e apre uno scontro frontale tra Giuseppe Conte e Matteo Salvini. Dopo lungo silenzio, da oggi anche gli altri giornali inizieranno inevitabilmente a occuparsi di un tema tanto cruciale quanto trascurato dalla stragrande maggioranza dei parlamentari: i cambiamenti all'ex Fondo salvastati. Cambiamenti criticati anche dal governatore di Bankitalia Ignazio Visco per le condizionalità e i fattori di incertezza che appesantirebbero la situazione del nostro debito pubblico e dunque del nostro sistema bancario e di risparmio privato.
A mettere il carico è stato Matteo Salvini, che - in una diretta Facebook - ha attaccato il premier di cui è stato vice per oltre un anno: «Pare che Conte abbia firmato un accordo per cambiare il Fondo salvastati, di notte, di nascosto, un fondo “ammazza-Stati". Se lui e Tria, senza l'autorizzazione del Parlamento, hanno dato l'ok dell'Italia, sarebbe alto tradimento, e per i traditori in pace e guerra il posto giusto è la galera. Da oggi ogni giorno», ha aggiunto, «chiederemo se lui e qualche ministro hanno messo la testa degli italiani sul tavolo. La Lega non ha dato nessuna autorizzazione» a quello che definisce «crimine».
In effetti il partito di Salvini aveva sollevato il tema anche quando era al governo, con interrogazioni nelle quali aveva chiesto lumi e dato un indirizzo politico contrario a Giovanni Tria e allo stesso premier. Sempre ieri, anche Giorgia Meloni si è unita alla critica sulla riforma al varo in sede Ue: la leader di Fratelli d'Italia ha annunciato le «barricate contro l'ennesimo tradimento verso il popolo». Pure Forza Italia, per bocca del senatore Lucio Malan, fa propria la richiesta - formalizzata poi dal Carroccio - che il premier riferisca in Aula. Il compattarsi del centrodestra deve aver convinto Palazzo Chigi a pubblicare in serata una nota che attacca Salvini («Denota imperdonabile trascuratezza per gli affari pubblici») senza però entrare nel merito della riforma né della posizione italiana. Il premier ribadisce un'ovvietà: «La revisione del trattato sul Mes non è stato ancora sottoscritta: nessuna firma». Verissimo: come scritto più volte, e come spiegato dal presidente dell'Eurogruppo Mario Centeno, la chiusura della riforma è attesa entro l'anno solare. Lo stesso Centeno ha però spiegato che di fatto i testi principali sono già blindati da un «vasto consenso». Conte è inattaccabile anche quando dice che sarà il Parlamento nazionale ad approvare il tutto, ma i precedenti (bail in, fiscal compact) non chiamano certo alla memoria grandi dibattiti nel merito, anzi. Il presidente poi si aggrappa alla «logica di pacchetto» scaturita dal confronto con i partner (ovvero, sì al Mes solo se assieme ad altri provvedimenti attigui): non proprio una risposta nel merito. Il premier infatti non chiarisce la posizione dell'Italia nel negoziato, né dice se il suo governo darà o meno assenso alla formulazione finale. Senza contare che alcuni dei componenti del «pacchetto» (per esempio, l'unione bancaria) sono tuttora in alto mare. Soprattutto, Conte non tocca il cuore del problema, oggetto degli allarmi di Visco : il nuovo Mes ci obbligherà a versare fondi per accedere ai quali, una volta fatta richiesta, potremmo dover subire una ristrutturazione del debito pubblico? È una domanda elusa anche da Centeno, che ieri - rispondendo all'europarlamentare leghista Antonio Maria Rinaldi , ha detto che «non c'è alcuna ristrutturazione automatica». Vero: la ristrutturazione è subordinata a una verifica di sostenibilità a cura del Mes, il che però non risolve il problema della sicurezza del debito stesso, come spiegato anche dall'ex deputato del Pd Giampaolo Galli . Il resto della nota del premier è un attacco a Salvini: «Chi pretende di guidare l'Italia senza premurarsi di studiare i dossier dovrebbe quantomeno evitare di diffondere palesi falsità».
Anche sulla sua relazione in Aula Conte è un po' parziale: il 19 giugno scorso (governo gialloblù) ha sì riferito sul vertice europeo, ma dicendo che «non sono state formalizzate ulteriormente le modalità di svolgimento di analisi di sostenibilità del debito», che invece - stando a Centeno - (lettera del 7 novembre) fanno parte dei documenti approvati dai capi di governo e dall'Eurogruppo. Ancora, Conte - complice il passaggio di maggioranza - non ha dato risposta a una interrogazione del Carroccio che chiedeva di non approvare la versione corrente del nuovo Mes.
Oltre al dibattito politico, si sviluppa un sottofondo social cui si sente in dover di partecipare Carlo Cottarelli, che ha il merito di cristallizzare un paradosso: «La campagna “Stop Mes" è solo demagogia», dice l'ex premier incaricato nel 2018 da Mattarella per «difendere i risparmi degli italiani»: «La proposta di riforma del Mes è sbagliata e l'Italia si deve opporre, ma il Fondo salvastati non va abolito». Dunque, a prendere per buono il tweet di Cottarelli, il nuovo Mes va approvato anche se sbagliato e dannoso per il Paese.
Spicca, nella giornata, il silenzio di Pd e M5s, rotto dal senatore Gianluigi Paragone, che ha condiviso la richiesta di convocare Conte in Aula: «Questa non è una battaglia solo di Salvini, o della Meloni: il Movimento 5 stelle era contro il primo Salvastati e spero che si opponga anche a questa riforma peggiorativa».
Bankitalia schizofrenica: Visco boccia il trattato ma «suggerisce» titoli soft
Chi sabato scorso abbia aperto in sequenza il Sole 24 Ore e La Verità sarà stato colto da disorientamento. Da una parte si titolava «Visco: bene la riforma del Mes, ma serve un safe asset europeo» dall'altra «Conte peggio di Monti: ha già venduto l'Italia», a commento dell'Eurogruppo del 7 novembre il cui resoconto finale dava praticamente per approvata la riforma del Mes.
Sia l'articolo del Sole che quello del nostro giornale commentavano l'intervento del governatore Ignazio Visco a un prestigioso seminario a Roma. Il Sole decideva di uscire con un titolo non proprio rispondente al contenuto delle 7 pagine della relazione letta da Visco e nell'articolo si guardava bene dal citare il virgolettato più esplosivo, con il quale invece La Verità apriva il suo articolo («I piccoli e incerti benefici di una ristrutturazione del debito devono essere bilanciati con il rischio enorme che il semplice annuncio di una sua ristrutturazione possa innescare una spirale perversa di aspettative di default, le quali potrebbero rilevarsi autoavveranti»).
Ma allora sono troppo ottimisti al Sole o siamo catastrofisti su queste colonne? La risposta sta nelle 7 pagine (in inglese) lette da Visco che, se non ci fosse stato il prestigioso logo di Bankitalia, sarebbero state attribuibili a qualche cosiddetto euroscettico. Anche Il Fatto quotidiano l'ha definita «una delle più dure uscite del governatore sullo stato della regolazione finanziaria europea». In particolare, Visco chiede di interrompere lo stallo nel completamento di un'unione monetaria tuttora incompleta e vulnerabile e si sofferma sul debito pubblico come fonte di rischio sistemico. E qui fa a pezzi la riforma del Mes. Secondo Visco, i benefici sono modesti ma i rischi di una perversa spirale di aspettative autovveranti sono enormi. Un banchiere centrale che scrive «rischi enormi» equivale all'allarme rosso diramato dalla Protezione civile. Visco prosegue sostenendo che ridurre l'esposizione del debito sovrano delle banche è mero palliativo, infatti trasferisce il rischio da un soggetto all'altro, ma non lo elimina. Per far ciò serve un fondo sovranazionale a cui trasferire il rischio, finanziato dapprima dai Paesi partecipanti e in ultima istanza da eurobond. Le ultime due stoccate le riserva all'unione bancaria, per il cui completamento si richiede la riduzione del rischio sovrano e delle sofferenze bancarie, ma si trascurano gli asset illiquidi e di difficile valutazione (di cui sono zeppe le banche francesi e tedesche), ed alla disciplina della gestione delle crisi bancarie, che lascia tuttora esposte le banche piccole e medie. Se un banchiere centrale dice che la recente proposta tedesca di completamento dell'unione bancaria è benvenuta ma non affronta i problemi da lui sollevati, significa dire che va cestinata. Altro che «bene la riforma»! Le considerazioni finali su capacità fiscale sovranazionale e mercato unico dei capitali ancora di là da venire completano il quadro a tinte fosche. Venerdì pomeriggio è uscito sul sito della Reuters il resoconto di tale intervento a firma Gavin Jones, a cui non era sfuggita la rilevanza dell'uscita di Visco, tanto che aveva titolato «Visco mette in guardia sulla riforma del fondo salva Stati» (…warns over…) ma, dopo poche ore, è diventato «Visco invita alla cautela sulle proposte di riforma del fondo salva Stati» (…urges caution…). Cosa è accaduto? L'ha spiegato domenica lo stesso Jones in uno scambio di tweet con chi scrive. C'era stata una telefonata di Bankitalia in redazione che chiedeva un «ammorbidimento» del taglio dell'articolo e giustamente Jones giudicava piuttosto «schizofrenica» tale richiesta di fronte a dichiarazioni pubbliche di Visco di rara durezza. Comprensibile la reazione del giornalista, che non ha esitato a renderla pubblica, anche confidando sul peso e l'autorevolezza di un colosso come Reuters.
Alla fine, il quadro che emerge è sconfortante e preoccupante. Visco dice pubblicamente cose di inusitata durezza, e dalla banca esprimono la preferenza per una presentazione morbida, tipo quella del Sole. Sicuramente non quella della Verità.
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Matteo Salvini e Giorgia Meloni annunciano barricate contro la riforma del Fondo salvastati. Pure Forza Italia chiede a Giuseppe Conte di riferire in Aula. Il premier costretto a parlare: «Non c'è nessuna firma, deciderà il Parlamento». Poi attacca la Lega, ma elude i veri nodi scoperti.La Reuters confessa di aver ammorbidito il taglio dell'articolo sulle dure parole del governatore su richiesta di via Nazionale.Lo speciale contiene due articoli.D'improvviso, la riforma del Meccanismo europeo di stabilità piomba al centro del dibattito politico italiano e apre uno scontro frontale tra Giuseppe Conte e Matteo Salvini. Dopo lungo silenzio, da oggi anche gli altri giornali inizieranno inevitabilmente a occuparsi di un tema tanto cruciale quanto trascurato dalla stragrande maggioranza dei parlamentari: i cambiamenti all'ex Fondo salvastati. Cambiamenti criticati anche dal governatore di Bankitalia Ignazio Visco per le condizionalità e i fattori di incertezza che appesantirebbero la situazione del nostro debito pubblico e dunque del nostro sistema bancario e di risparmio privato.A mettere il carico è stato Matteo Salvini, che - in una diretta Facebook - ha attaccato il premier di cui è stato vice per oltre un anno: «Pare che Conte abbia firmato un accordo per cambiare il Fondo salvastati, di notte, di nascosto, un fondo “ammazza-Stati". Se lui e Tria, senza l'autorizzazione del Parlamento, hanno dato l'ok dell'Italia, sarebbe alto tradimento, e per i traditori in pace e guerra il posto giusto è la galera. Da oggi ogni giorno», ha aggiunto, «chiederemo se lui e qualche ministro hanno messo la testa degli italiani sul tavolo. La Lega non ha dato nessuna autorizzazione» a quello che definisce «crimine». In effetti il partito di Salvini aveva sollevato il tema anche quando era al governo, con interrogazioni nelle quali aveva chiesto lumi e dato un indirizzo politico contrario a Giovanni Tria e allo stesso premier. Sempre ieri, anche Giorgia Meloni si è unita alla critica sulla riforma al varo in sede Ue: la leader di Fratelli d'Italia ha annunciato le «barricate contro l'ennesimo tradimento verso il popolo». Pure Forza Italia, per bocca del senatore Lucio Malan, fa propria la richiesta - formalizzata poi dal Carroccio - che il premier riferisca in Aula. Il compattarsi del centrodestra deve aver convinto Palazzo Chigi a pubblicare in serata una nota che attacca Salvini («Denota imperdonabile trascuratezza per gli affari pubblici») senza però entrare nel merito della riforma né della posizione italiana. Il premier ribadisce un'ovvietà: «La revisione del trattato sul Mes non è stato ancora sottoscritta: nessuna firma». Verissimo: come scritto più volte, e come spiegato dal presidente dell'Eurogruppo Mario Centeno, la chiusura della riforma è attesa entro l'anno solare. Lo stesso Centeno ha però spiegato che di fatto i testi principali sono già blindati da un «vasto consenso». Conte è inattaccabile anche quando dice che sarà il Parlamento nazionale ad approvare il tutto, ma i precedenti (bail in, fiscal compact) non chiamano certo alla memoria grandi dibattiti nel merito, anzi. Il presidente poi si aggrappa alla «logica di pacchetto» scaturita dal confronto con i partner (ovvero, sì al Mes solo se assieme ad altri provvedimenti attigui): non proprio una risposta nel merito. Il premier infatti non chiarisce la posizione dell'Italia nel negoziato, né dice se il suo governo darà o meno assenso alla formulazione finale. Senza contare che alcuni dei componenti del «pacchetto» (per esempio, l'unione bancaria) sono tuttora in alto mare. Soprattutto, Conte non tocca il cuore del problema, oggetto degli allarmi di Visco : il nuovo Mes ci obbligherà a versare fondi per accedere ai quali, una volta fatta richiesta, potremmo dover subire una ristrutturazione del debito pubblico? È una domanda elusa anche da Centeno, che ieri - rispondendo all'europarlamentare leghista Antonio Maria Rinaldi , ha detto che «non c'è alcuna ristrutturazione automatica». Vero: la ristrutturazione è subordinata a una verifica di sostenibilità a cura del Mes, il che però non risolve il problema della sicurezza del debito stesso, come spiegato anche dall'ex deputato del Pd Giampaolo Galli . Il resto della nota del premier è un attacco a Salvini: «Chi pretende di guidare l'Italia senza premurarsi di studiare i dossier dovrebbe quantomeno evitare di diffondere palesi falsità». Anche sulla sua relazione in Aula Conte è un po' parziale: il 19 giugno scorso (governo gialloblù) ha sì riferito sul vertice europeo, ma dicendo che «non sono state formalizzate ulteriormente le modalità di svolgimento di analisi di sostenibilità del debito», che invece - stando a Centeno - (lettera del 7 novembre) fanno parte dei documenti approvati dai capi di governo e dall'Eurogruppo. Ancora, Conte - complice il passaggio di maggioranza - non ha dato risposta a una interrogazione del Carroccio che chiedeva di non approvare la versione corrente del nuovo Mes. Oltre al dibattito politico, si sviluppa un sottofondo social cui si sente in dover di partecipare Carlo Cottarelli, che ha il merito di cristallizzare un paradosso: «La campagna “Stop Mes" è solo demagogia», dice l'ex premier incaricato nel 2018 da Mattarella per «difendere i risparmi degli italiani»: «La proposta di riforma del Mes è sbagliata e l'Italia si deve opporre, ma il Fondo salvastati non va abolito». Dunque, a prendere per buono il tweet di Cottarelli, il nuovo Mes va approvato anche se sbagliato e dannoso per il Paese. Spicca, nella giornata, il silenzio di Pd e M5s, rotto dal senatore Gianluigi Paragone, che ha condiviso la richiesta di convocare Conte in Aula: «Questa non è una battaglia solo di Salvini, o della Meloni: il Movimento 5 stelle era contro il primo Salvastati e spero che si opponga anche a questa riforma peggiorativa».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-centrodestra-si-ricompatta-contro-il-mes-2641384364.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="bankitalia-schizofrenica-visco-boccia-il-trattato-ma-suggerisce-titoli-soft" data-post-id="2641384364" data-published-at="1765409978" data-use-pagination="False"> Bankitalia schizofrenica: Visco boccia il trattato ma «suggerisce» titoli soft Chi sabato scorso abbia aperto in sequenza il Sole 24 Ore e La Verità sarà stato colto da disorientamento. Da una parte si titolava «Visco: bene la riforma del Mes, ma serve un safe asset europeo» dall'altra «Conte peggio di Monti: ha già venduto l'Italia», a commento dell'Eurogruppo del 7 novembre il cui resoconto finale dava praticamente per approvata la riforma del Mes. Sia l'articolo del Sole che quello del nostro giornale commentavano l'intervento del governatore Ignazio Visco a un prestigioso seminario a Roma. Il Sole decideva di uscire con un titolo non proprio rispondente al contenuto delle 7 pagine della relazione letta da Visco e nell'articolo si guardava bene dal citare il virgolettato più esplosivo, con il quale invece La Verità apriva il suo articolo («I piccoli e incerti benefici di una ristrutturazione del debito devono essere bilanciati con il rischio enorme che il semplice annuncio di una sua ristrutturazione possa innescare una spirale perversa di aspettative di default, le quali potrebbero rilevarsi autoavveranti»). Ma allora sono troppo ottimisti al Sole o siamo catastrofisti su queste colonne? La risposta sta nelle 7 pagine (in inglese) lette da Visco che, se non ci fosse stato il prestigioso logo di Bankitalia, sarebbero state attribuibili a qualche cosiddetto euroscettico. Anche Il Fatto quotidiano l'ha definita «una delle più dure uscite del governatore sullo stato della regolazione finanziaria europea». In particolare, Visco chiede di interrompere lo stallo nel completamento di un'unione monetaria tuttora incompleta e vulnerabile e si sofferma sul debito pubblico come fonte di rischio sistemico. E qui fa a pezzi la riforma del Mes. Secondo Visco, i benefici sono modesti ma i rischi di una perversa spirale di aspettative autovveranti sono enormi. Un banchiere centrale che scrive «rischi enormi» equivale all'allarme rosso diramato dalla Protezione civile. Visco prosegue sostenendo che ridurre l'esposizione del debito sovrano delle banche è mero palliativo, infatti trasferisce il rischio da un soggetto all'altro, ma non lo elimina. Per far ciò serve un fondo sovranazionale a cui trasferire il rischio, finanziato dapprima dai Paesi partecipanti e in ultima istanza da eurobond. Le ultime due stoccate le riserva all'unione bancaria, per il cui completamento si richiede la riduzione del rischio sovrano e delle sofferenze bancarie, ma si trascurano gli asset illiquidi e di difficile valutazione (di cui sono zeppe le banche francesi e tedesche), ed alla disciplina della gestione delle crisi bancarie, che lascia tuttora esposte le banche piccole e medie. Se un banchiere centrale dice che la recente proposta tedesca di completamento dell'unione bancaria è benvenuta ma non affronta i problemi da lui sollevati, significa dire che va cestinata. Altro che «bene la riforma»! Le considerazioni finali su capacità fiscale sovranazionale e mercato unico dei capitali ancora di là da venire completano il quadro a tinte fosche. Venerdì pomeriggio è uscito sul sito della Reuters il resoconto di tale intervento a firma Gavin Jones, a cui non era sfuggita la rilevanza dell'uscita di Visco, tanto che aveva titolato «Visco mette in guardia sulla riforma del fondo salva Stati» (…warns over…) ma, dopo poche ore, è diventato «Visco invita alla cautela sulle proposte di riforma del fondo salva Stati» (…urges caution…). Cosa è accaduto? L'ha spiegato domenica lo stesso Jones in uno scambio di tweet con chi scrive. C'era stata una telefonata di Bankitalia in redazione che chiedeva un «ammorbidimento» del taglio dell'articolo e giustamente Jones giudicava piuttosto «schizofrenica» tale richiesta di fronte a dichiarazioni pubbliche di Visco di rara durezza. Comprensibile la reazione del giornalista, che non ha esitato a renderla pubblica, anche confidando sul peso e l'autorevolezza di un colosso come Reuters. Alla fine, il quadro che emerge è sconfortante e preoccupante. Visco dice pubblicamente cose di inusitata durezza, e dalla banca esprimono la preferenza per una presentazione morbida, tipo quella del Sole. Sicuramente non quella della Verità.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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