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2022-07-15
Il Cav s’infila tra Lega e Fdi: «Mr Bce o urne»
Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni, Matteo Salvini (Imagoeconomica)
«Il centrodestra di governo prenderà decisioni comuni». Era questo l’impegno di Forza Italia e Lega alla vigilia del 14 luglio, giorno in cui i parigini presero la Bastiglia e, invece, Mario Draghi ha lasciato il governo. Un addio «congelato» fino a mercoledì, come deciso dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, mentre i partiti del centrodestra prendono posizione in modo più dettagliato. A cominciare dalla Lega di Matteo Salvini che in un comunicato spiega: «La Lega è stata leale, costruttiva e generosa per un anno e mezzo, ma da settimane il presidente Draghi e l’Italia erano vittime dei troppi «No» del Movimento 5 stelle e delle forzature ideologiche del Partito democratico. La Lega, unita e compatta anche dopo le numerose riunioni di oggi, condivide la preoccupazione per le sorti del Paese: è impensabile che l’Italia debba subire settimane di paralisi in un momento drammatico come questo, nessuno deve aver paura di restituire la parola agli italiani».
Per la verità Salvini lo aveva già detto prima del voto di fiducia: «Parola agli italiani. Se i 5 stelle escono dall’Aula, la maggioranza non c’è più: basta con litigi, minacce e ritardi». Però nella nota di ieri sera, oltre che al M5s, c’è un attacco anche al Pd e alle sue forzature ideologiche, vedi ius scholae e cannabis, tanto da escludere un Draghi bis perché non ci sarebbero le condizioni come nella passata maggioranza.
Del resto da via Bellerio, per rassicurare l’ala governista del partito a cominciare dai presidenti delle Regioni impegnati sui territori tra pandemia e progetti Pnrr, avevano già sottolineato che «la Lega non ha cercato né voluto alcuna crisi e assiste con viva preoccupazione a quanto sta accadendo nel campo della sinistra. L’Italia», aggiungono le stesse fonti, «non può permettersi un assurdo, logorante e infinito tira e molla sulla pelle dei cittadini mentre gli stipendi non aumentano, l’inflazione e le bollette salgono e alcuni provvedimenti (dalla pace fiscale all’autonomia) sono fermi». Tanto che, subito dopo il voto di fiducia e mentre Draghi era al Colle, Salvini aveva annunciato che «la Lega sta mettendo a punto una proposta di pace fiscale che comprende anche un intervento fiscale ad hoc per le famiglie».
E anche se per il ministro Giancarlo Giorgetti «ci sono sempre i tempi supplementari», la posizione di ieri sera avvicina Salvini molto di più a Giorgia Meloni che su Facebook ha scritto: «Con le dimissioni di Draghi per Fratelli d’Italia questa legislatura è finita. Questo Parlamento non rappresenta più gli italiani. Daremo battaglia affinché si restituisca al popolo italiano quello che i cittadini di tutte le altre democrazie hanno: la libertà di scegliere da chi farsi rappresentare. Elezioni subito».
Parlando alla Festa dei patrioti a Palombara Sabina la Meloni aveva avvertito: «Niente scherzi, questa legislatura è finita. Abbiamo sentito parlare di responsabilità, e ne sentiremo parlare nei prossimi giorni. Noi siamo gli unici responsabili, che hanno tenuto fede agli impegni presi. Di che colore sarà il nuovo governo non lo sappiamo, tenteranno di capire se c’è un’altra maggioranza. Era inevitabile che i compromessi sarebbero stati fatti al ribasso».
In effetti, la leader dell’opposizione da giorni ripeteva «Basta, pietà. Tutti a casa. Elezioni subito!», benché il suo partito, primo nei sondaggi, non avrebbe bisogno del voto per «pesarsi» tanto che più di qualcuno dentro FdI era arrivato a dire: «Ci auguriamo per il Paese di votare presto ma se le cose continuassero così, nei prossimi mesi arriviamo al 30%».
A questo punto la palla passa a Silvio Berlusconiche, pur evocando per primo la necessità di una verifica di maggioranza, era stato già chiaro: «Andare alle urne non ci preoccupa, anzi siamo certi che il risultato elettorale premierebbe il centrodestra, in particolare, come dimostrano tutti i sondaggi, l’atteggiamento responsabile e costruttivo di FI. In ogni caso, siamo pronti ad affrontare ogni eventualità avendo come stella polare l’interesse degli italiani». E poi in serata l’agenzia Agi ha sintetizzato il pensiero del Cav: «O Draghi, o voto». Attacca il M5s il coordinatore nazionale Antonio Tajani: «Complimenti al M5s per aver fatto questo guaio mentre c’è una crisi in corso, la guerra è ai confini dell’Europa, la Borsa crolla, lo spread è salito e c’è un’impennata dei prezzi delle materie prime. È da irresponsabili».
Sembrano già sapere quello che faranno mercoledì quando il premier (o ex) si presenterà in Parlamento Renato Brunetta e Mariastella Gelmini. Infatti, mentre il ministro per la Pubblica amministrazione ieri sera ripeteva che «l’Italia non può fare a meno di Draghi», per la collega degli Affari regionali «la decisione del presidente del Consiglio Draghi merita rispetto: il suo lavoro di questi mesi merita la gratitudine del Paese. Quello che è accaduto in Parlamento per le contorsioni di un movimento politico irresponsabile è stato grave e ha prodotto degli effetti. Il rischio fondamentale da scongiurare adesso è che le conseguenze ricadano sulle italiane e sugli italiani».
Giù Piazza Affari, cresce lo spread. Sui listini pesa pure il taglio del Pil
Con la crisi di governo che impazza, i mercati ieri si sono tutti mostrati in grande difficoltà. La mancata votazione della fiducia sul decreto Aiuti da parte del M5S ha prima di tutto fatto salire lo spread tra il titolo di Stato italiano e quello tedesco. Rispetto ai 206 punti di ieri, il differenziale con il decennale tedesco ha raggiunto ieri i 222,2 punti, in crescita del 5,41%.
Andamento negativo anche per il principale listino di Piazza Affari, il Ftse Mib che ieri ha chiuso la seduta in calo del 3,4%, dopo che in giornata il crollo era arrivato anche al 4%. Come spiega Michele Morra, gestore di Moneyfarm, il Ftse Mib ieri ha fatto peggio rispetto agli altri listini azionari. «Il fattore che influisce più pesantemente sui mercati è l’esposizione ai titoli del settore bancario, che soffrono per l’ampliamento degli spread delle obbligazioni italiane e l’appiattimento della curva dei tassi di interesse. Ma sicuramente i mercati azionari sono sempre condizionati anche da fattori globali e il Ftse Mib, in particolare, sta scontando tra gli altri fattori anche il crollo del prezzo del petrolio e dei titoli energetici», spiega.
«Sul fronte dei mercati obbligazionari, oggi (ieri per chi legge, ndr) tutti gli Stati dell’Europa periferica stanno soffrendo e lo spread italiano si sta allargando più degli altri Paesi. I motivi sono essenzialmente due: per prima cosa, il dato Usa sull’inflazione, rilasciato ieri, ha aumentato le aspettative di restrizione monetaria anche in Europa. In secondo luogo, il rischio di frammentazione politica è generalmente aumentato, prima con Macron che ha perso la maggioranza in Francia, e ora con la crisi politica italiana. Inutile a dirsi, l’ennesima crisi politica potrebbe rappresentare un ulteriore duro colpo per le aspettative di crescita e per la fiducia dei mercati non solo nella forza dell’economia europea, ma anche nel progetto Europa, come mostrato dalla recente volatilità anche per il cambio euro-dollaro, che continua a mantenersi intorno alla parità».
In effetti, la crisi di governo non ha aiutato i mercati italiani, ma in Europa la situazione non resta meno complicata. Parigi, ieri, ha chiuso in calo dell’1,41% e Francoforte a -1,86%. D’altronde, ieri mattina la Commissione Ue ha rivisto al ribasso le stime sul Pil della zona euro e alzato quelle sull’inflazione. Per l’Italia nel 2022 la crescita è prevista del 2,9% (dato rivisto in positivo) mentre nel 2023 la stima dovrebbe scendere al +0,9%, ultima tra i Paesi dell’area euro. Con questi chiari di luna il ministro del Tesoro, Daniele Franco, dovrà lavorare non poco perché la situazione non peggiori ulteriormente.
Tra i titoli che ieri hanno fatto bene ci sono Saipem (dopo due giorni di pesanti ribassi, +5,69%), Amplifon (+2,06%) e Stm (+0,32%). Male, però. I titoli bancari, finanziari e del comparto energia. I ribassi più ampi sono stati quelli di Azimut (-4,07%), Banca Generali (-4,12%), Banca Mediolanum (-3,54%), Banco Bpm (-5,3%), Bper (-6,17%), Enel (-5,7%), Eni (-4,25%), Fineco (-5,07%), Generali (-3,31%), Intesa Sanpaolo (-5,54%), Italgas (-3,39%), Iveco (-3,85%), Leonardo (-3,78%), Mediobanca (-4,7%), Nexi (-4,22%), Poste Italiane (-5,08%), Snam (-4,39%), Telecom Italia (-6,4%), Tenaris (-4,04%), Terna (-4,26%), Unicredit (-6,11%) e Unipol (-4,39%). Tim, con un crollo del 6,4% ha registrato la peggiore performance tra i titoli a grande capitalizzazione.
A rendere tutto ancora più difficile, poi, c’è l’euro. La moneta unica ieri è di nuovo scivolata sotto la parità con il biglietto verde per poi riprendersi e finire la corsa a 1,006 dollari.
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Per Matteo Salvini «si deve restituire la parola agli elettori». Netta pure Giorgia Meloni: «La legislatura è finita, questo Parlamento non rappresenta più gli italiani. Elezioni subito». In serata Silvio Berlusconi schiera anche Forza Italia: o Draghi bis o si va al voto.Giù Piazza Affari, cresce lo spread. Sui listini pesa pure il taglio del Pil. Crollano bancari ed energia. La Commissione rivede le stime di crescita nell’Eurozona.Lo speciale comprende due articoli. «Il centrodestra di governo prenderà decisioni comuni». Era questo l’impegno di Forza Italia e Lega alla vigilia del 14 luglio, giorno in cui i parigini presero la Bastiglia e, invece, Mario Draghi ha lasciato il governo. Un addio «congelato» fino a mercoledì, come deciso dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, mentre i partiti del centrodestra prendono posizione in modo più dettagliato. A cominciare dalla Lega di Matteo Salvini che in un comunicato spiega: «La Lega è stata leale, costruttiva e generosa per un anno e mezzo, ma da settimane il presidente Draghi e l’Italia erano vittime dei troppi «No» del Movimento 5 stelle e delle forzature ideologiche del Partito democratico. La Lega, unita e compatta anche dopo le numerose riunioni di oggi, condivide la preoccupazione per le sorti del Paese: è impensabile che l’Italia debba subire settimane di paralisi in un momento drammatico come questo, nessuno deve aver paura di restituire la parola agli italiani». Per la verità Salvini lo aveva già detto prima del voto di fiducia: «Parola agli italiani. Se i 5 stelle escono dall’Aula, la maggioranza non c’è più: basta con litigi, minacce e ritardi». Però nella nota di ieri sera, oltre che al M5s, c’è un attacco anche al Pd e alle sue forzature ideologiche, vedi ius scholae e cannabis, tanto da escludere un Draghi bis perché non ci sarebbero le condizioni come nella passata maggioranza. Del resto da via Bellerio, per rassicurare l’ala governista del partito a cominciare dai presidenti delle Regioni impegnati sui territori tra pandemia e progetti Pnrr, avevano già sottolineato che «la Lega non ha cercato né voluto alcuna crisi e assiste con viva preoccupazione a quanto sta accadendo nel campo della sinistra. L’Italia», aggiungono le stesse fonti, «non può permettersi un assurdo, logorante e infinito tira e molla sulla pelle dei cittadini mentre gli stipendi non aumentano, l’inflazione e le bollette salgono e alcuni provvedimenti (dalla pace fiscale all’autonomia) sono fermi». Tanto che, subito dopo il voto di fiducia e mentre Draghi era al Colle, Salvini aveva annunciato che «la Lega sta mettendo a punto una proposta di pace fiscale che comprende anche un intervento fiscale ad hoc per le famiglie». E anche se per il ministro Giancarlo Giorgetti «ci sono sempre i tempi supplementari», la posizione di ieri sera avvicina Salvini molto di più a Giorgia Meloni che su Facebook ha scritto: «Con le dimissioni di Draghi per Fratelli d’Italia questa legislatura è finita. Questo Parlamento non rappresenta più gli italiani. Daremo battaglia affinché si restituisca al popolo italiano quello che i cittadini di tutte le altre democrazie hanno: la libertà di scegliere da chi farsi rappresentare. Elezioni subito». Parlando alla Festa dei patrioti a Palombara Sabina la Meloni aveva avvertito: «Niente scherzi, questa legislatura è finita. Abbiamo sentito parlare di responsabilità, e ne sentiremo parlare nei prossimi giorni. Noi siamo gli unici responsabili, che hanno tenuto fede agli impegni presi. Di che colore sarà il nuovo governo non lo sappiamo, tenteranno di capire se c’è un’altra maggioranza. Era inevitabile che i compromessi sarebbero stati fatti al ribasso». In effetti, la leader dell’opposizione da giorni ripeteva «Basta, pietà. Tutti a casa. Elezioni subito!», benché il suo partito, primo nei sondaggi, non avrebbe bisogno del voto per «pesarsi» tanto che più di qualcuno dentro FdI era arrivato a dire: «Ci auguriamo per il Paese di votare presto ma se le cose continuassero così, nei prossimi mesi arriviamo al 30%». A questo punto la palla passa a Silvio Berlusconiche, pur evocando per primo la necessità di una verifica di maggioranza, era stato già chiaro: «Andare alle urne non ci preoccupa, anzi siamo certi che il risultato elettorale premierebbe il centrodestra, in particolare, come dimostrano tutti i sondaggi, l’atteggiamento responsabile e costruttivo di FI. In ogni caso, siamo pronti ad affrontare ogni eventualità avendo come stella polare l’interesse degli italiani». E poi in serata l’agenzia Agi ha sintetizzato il pensiero del Cav: «O Draghi, o voto». Attacca il M5s il coordinatore nazionale Antonio Tajani: «Complimenti al M5s per aver fatto questo guaio mentre c’è una crisi in corso, la guerra è ai confini dell’Europa, la Borsa crolla, lo spread è salito e c’è un’impennata dei prezzi delle materie prime. È da irresponsabili». Sembrano già sapere quello che faranno mercoledì quando il premier (o ex) si presenterà in Parlamento Renato Brunetta e Mariastella Gelmini. Infatti, mentre il ministro per la Pubblica amministrazione ieri sera ripeteva che «l’Italia non può fare a meno di Draghi», per la collega degli Affari regionali «la decisione del presidente del Consiglio Draghi merita rispetto: il suo lavoro di questi mesi merita la gratitudine del Paese. 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Rispetto ai 206 punti di ieri, il differenziale con il decennale tedesco ha raggiunto ieri i 222,2 punti, in crescita del 5,41%. Andamento negativo anche per il principale listino di Piazza Affari, il Ftse Mib che ieri ha chiuso la seduta in calo del 3,4%, dopo che in giornata il crollo era arrivato anche al 4%. Come spiega Michele Morra, gestore di Moneyfarm, il Ftse Mib ieri ha fatto peggio rispetto agli altri listini azionari. «Il fattore che influisce più pesantemente sui mercati è l’esposizione ai titoli del settore bancario, che soffrono per l’ampliamento degli spread delle obbligazioni italiane e l’appiattimento della curva dei tassi di interesse. Ma sicuramente i mercati azionari sono sempre condizionati anche da fattori globali e il Ftse Mib, in particolare, sta scontando tra gli altri fattori anche il crollo del prezzo del petrolio e dei titoli energetici», spiega. «Sul fronte dei mercati obbligazionari, oggi (ieri per chi legge, ndr) tutti gli Stati dell’Europa periferica stanno soffrendo e lo spread italiano si sta allargando più degli altri Paesi. I motivi sono essenzialmente due: per prima cosa, il dato Usa sull’inflazione, rilasciato ieri, ha aumentato le aspettative di restrizione monetaria anche in Europa. In secondo luogo, il rischio di frammentazione politica è generalmente aumentato, prima con Macron che ha perso la maggioranza in Francia, e ora con la crisi politica italiana. Inutile a dirsi, l’ennesima crisi politica potrebbe rappresentare un ulteriore duro colpo per le aspettative di crescita e per la fiducia dei mercati non solo nella forza dell’economia europea, ma anche nel progetto Europa, come mostrato dalla recente volatilità anche per il cambio euro-dollaro, che continua a mantenersi intorno alla parità». In effetti, la crisi di governo non ha aiutato i mercati italiani, ma in Europa la situazione non resta meno complicata. Parigi, ieri, ha chiuso in calo dell’1,41% e Francoforte a -1,86%. D’altronde, ieri mattina la Commissione Ue ha rivisto al ribasso le stime sul Pil della zona euro e alzato quelle sull’inflazione. Per l’Italia nel 2022 la crescita è prevista del 2,9% (dato rivisto in positivo) mentre nel 2023 la stima dovrebbe scendere al +0,9%, ultima tra i Paesi dell’area euro. Con questi chiari di luna il ministro del Tesoro, Daniele Franco, dovrà lavorare non poco perché la situazione non peggiori ulteriormente. Tra i titoli che ieri hanno fatto bene ci sono Saipem (dopo due giorni di pesanti ribassi, +5,69%), Amplifon (+2,06%) e Stm (+0,32%). Male, però. I titoli bancari, finanziari e del comparto energia. I ribassi più ampi sono stati quelli di Azimut (-4,07%), Banca Generali (-4,12%), Banca Mediolanum (-3,54%), Banco Bpm (-5,3%), Bper (-6,17%), Enel (-5,7%), Eni (-4,25%), Fineco (-5,07%), Generali (-3,31%), Intesa Sanpaolo (-5,54%), Italgas (-3,39%), Iveco (-3,85%), Leonardo (-3,78%), Mediobanca (-4,7%), Nexi (-4,22%), Poste Italiane (-5,08%), Snam (-4,39%), Telecom Italia (-6,4%), Tenaris (-4,04%), Terna (-4,26%), Unicredit (-6,11%) e Unipol (-4,39%). Tim, con un crollo del 6,4% ha registrato la peggiore performance tra i titoli a grande capitalizzazione. A rendere tutto ancora più difficile, poi, c’è l’euro. La moneta unica ieri è di nuovo scivolata sotto la parità con il biglietto verde per poi riprendersi e finire la corsa a 1,006 dollari.
Il ministro ha ricordato che il concorrente europeo Fcas (Future combat aircraft system) avanza a ritmo troppo lento per disaccordi tra Airbus (Francia-Germania) e Dassault (Francia) riguardanti i diritti e la titolarità delle tecnologie. «È fallito il programma franco-tedesco […], probabilmente la Germania potrebbe entrare a far parte in futuro di questo progetto [...]. Abbiamo avuto richieste da Canada, Arabia Saudita, e penso che l’Australia possa essere interessata. Più nazioni salgono più aumenta la massa critica che puoi investire e meno costerà ogni esemplare». Tutto vero, rimangono però perplessità su un possibile coinvolgimento dei sauditi per due ragioni. La prima: l’Arabia sta incrementando i rapporti industriali militari con la Cina, che così avrebbe accesso ai segreti del nuovo caccia. La seconda: l’Arabia Saudita aveva finanziato anche altri progetti e tra questi persino uno con la Turchia, nazione che, dopo essere stata espulsa dal programma F-35 durante il primo mandato presidenziale di Trump a causa dell’acquisto dei missili russi S-400, ora sta cercando di rientrarci trovando aperture dalla Casa Bianca. Anche perché lo stesso Trump ha risposto in modo possibilista alla richiesta di Riad di poter acquisire lo stesso caccia nonostante gli avvertimenti del Pentagono sulla presenza cinese.
Per l’Italia, sede della fabbrica Faco di Cameri (Novara) che gli F-35 li assembla, con la previsione di costruire parti del Gcap a Torino Caselle (dove oggi si fanno quelle degli Eurofighter Typhoon), significherebbe creare una ricaduta industriale per qualche decennio. Ma dall’altra parte delle Alpi la situazione Fcas è complicata: un incontro sul futuro caccia che si sarebbe dovuto tenere in ottobre è stato rinviato per i troppi ostacoli insorti nella proprietà intellettuale del progetto. Se dovesse fallire, Berlino potrebbe essere colpita molto più duramente di Parigi. Questo perché la Francia, con Dassault, avrebbe la capacità tecnica di portare avanti da sola il programma, come del resto ha fatto 30 anni fa abbandonando l’Eurofighter per fare il Rafale. Ma l’impegno finanziario sarebbe enorme. Non a caso il Ceo di Dassault, Eric Trappier, ha insistito sul fatto che, se l’azienda non verrà nominata «leader indiscusso» del programma, lo Fcas potrebbe fallire. Il vantaggio su Airbus è evidente: Dassault potrebbe aggiornare ancora i Rafale passando dalla versione F5 a una possibile F6 e farli durare fino al 2060, ovvero due decenni dalla prevista entrata in servizio del nostro Gcap. Ma se Berlino dovesse abbandonare il progetto, non è scontata l’adesione al Gcap come partner industriale, mentre resterebbe un possibile cliente. Non a caso i tedeschi avrebbero già chiesto di poter assumere lo status di osservatori del programma. Senza Fcas anche la Spagna si troverebbe davanti decisioni difficili: in agosto Madrid aveva dichiarato che non avrebbe acquistato gli F-35 ma gli Eurofighter Typhoon e poi i caccia Fcas. Un mese dopo il primo ministro Pedro Sánchez espresse solidarietà alla Germania in relazione alla controversia tra Airbus e Dassault. Dove però hanno le idee chiare: sarebbe un suicidio industriale condividere la tecnologia e l’esperienza maturata con i Rafale, creata da zero con soldi francesi, impiegata con l’aviazione francese e già esportata con successo in India, Grecia ed Emirati arabi.
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Guido Crosetto (Ansa)
Tornando alla leva, «mi consente», aggiunge Crosetto, «di avere un bacino formato che, in caso di crisi o anche calamità naturali, sia già pronto per intervenire e non sono solo professionalità militari. Non c’è una sola soluzione, vanno cambiati anche i requisiti: per la parte combat, ad esempio, servono requisiti fisici diversi rispetto alla parte cyber. Si tratta di un cambio di regole epocale, che dobbiamo condividere con il Parlamento». Crosetto immagina in sostanza un bacino di «riservisti» pronti a intervenire in caso ovviamente di un conflitto, ma anche di catastrofi naturali o comunque situazioni di emergenza. Va precisato che, per procedere con questo disegno, occorre prima di tutto superare la legge 244 del 2012, che ha ridotto il personale militare delle forze armate da 190.000 a 150.000 unità e il personale civile da 30.000 a 20.000. «La 244 va buttata via», sottolinea per l’appunto Crosetto, «perché costruita in tempi diversi e vanno aumentate le forze armate, la qualità, utilizzando professionalità che si trovano nel mercato».
Il progetto di Crosetto sembra in contrasto con quanto proposto pochi giorni fa dal leader della Lega e vicepremier Matteo Salvini: «Sulla leva», ha detto Salvini, «ci sono proposte della Lega ferme da anni, non per fare il militare come me nel '95. Io dico sei mesi per tutti, ragazzi e ragazze, non per imparare a sparare ma per il pronto soccorso, la protezione civile, il salvataggio in mare, lo spegnimento degli incendi, il volontariato e la donazione del sangue. Sei mesi dedicati alla comunità per tutte le ragazze e i ragazzi che siano una grande forma di educazione civica. Non lo farei volontario ma per tutti». Intanto, Crosetto lancia sul tavolo un altro tema: «Serve aumentare le forze armate professionali», dice il ministro della Difesa, «e in questo senso ho detto più volte che l’operazione Strade sicure andava lentamente riaffidata alle forze di polizia». Su questo punto è prevedibile un attrito con Salvini, considerato che la Lega ha più volte sottolineato di immaginare che le spese militari vadano anche in direzione della sicurezza interna. L’operazione Strade sicure è il più chiaro esempio dell’utilizzo delle forze armate per la sicurezza interna. Condotta dall’Esercito italiano ininterrottamente dal 4 agosto 2008, l’operazione Strade sicure viene messa in campo attraverso l’impiego di un contingente di personale militare delle Forze armate che agisce con le funzioni di agente di pubblica sicurezza a difesa della collettività, in concorso alle Forze di Polizia, per il presidio del territorio e delle principali aree metropolitane e la vigilanza dei punti sensibili. Tale operazione, che coinvolge circa 6.600 militari, è, a tutt'oggi, l’impegno più oneroso della Forza armata in termini di uomini, mezzi e materiali.
Alle parole, come sempre, seguiranno i fatti: vedremo quale sarà il punto di equilibrio che verrà raggiunto nel centrodestra su questi aspetti. Sul versante delle opposizioni, il M5s chiede maggiore trasparenza: «Abbiamo sottoposto al ministro Crosetto un problema di democrazia e trasparenza», scrivono in una nota i capigruppo pentastellati nelle commissioni Difesa di Camera e Senato, Arnaldo Lomuti e Bruno Marton, «il problema della segretezza dei target capacitivi concordati con la Nato sulla base dei quali la Difesa porta avanti la sua corsa al riarmo. Non è corretto che la Nato chieda al nostro Paese di spendere cifre folli senza che il Parlamento, che dovrebbe controllare queste spese, conosca quali siano le esigenze che motivano e guidano queste richieste. Il ministro ha risposto, in buona sostanza, che l’accesso a queste informazioni è impossibile e che quelle date dalla Difesa sono più che sufficienti. Non per noi».
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Ecco #DimmiLaVerità del 5 dicembre 2025. Il senatore Gianluca Cantalamessa della Lega commenta il caso dossieraggi e l'intervista della Verità alla pm Anna Gallucci.