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2022-07-15
Il Cav s’infila tra Lega e Fdi: «Mr Bce o urne»
Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni, Matteo Salvini (Imagoeconomica)
«Il centrodestra di governo prenderà decisioni comuni». Era questo l’impegno di Forza Italia e Lega alla vigilia del 14 luglio, giorno in cui i parigini presero la Bastiglia e, invece, Mario Draghi ha lasciato il governo. Un addio «congelato» fino a mercoledì, come deciso dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, mentre i partiti del centrodestra prendono posizione in modo più dettagliato. A cominciare dalla Lega di Matteo Salvini che in un comunicato spiega: «La Lega è stata leale, costruttiva e generosa per un anno e mezzo, ma da settimane il presidente Draghi e l’Italia erano vittime dei troppi «No» del Movimento 5 stelle e delle forzature ideologiche del Partito democratico. La Lega, unita e compatta anche dopo le numerose riunioni di oggi, condivide la preoccupazione per le sorti del Paese: è impensabile che l’Italia debba subire settimane di paralisi in un momento drammatico come questo, nessuno deve aver paura di restituire la parola agli italiani».
Per la verità Salvini lo aveva già detto prima del voto di fiducia: «Parola agli italiani. Se i 5 stelle escono dall’Aula, la maggioranza non c’è più: basta con litigi, minacce e ritardi». Però nella nota di ieri sera, oltre che al M5s, c’è un attacco anche al Pd e alle sue forzature ideologiche, vedi ius scholae e cannabis, tanto da escludere un Draghi bis perché non ci sarebbero le condizioni come nella passata maggioranza.
Del resto da via Bellerio, per rassicurare l’ala governista del partito a cominciare dai presidenti delle Regioni impegnati sui territori tra pandemia e progetti Pnrr, avevano già sottolineato che «la Lega non ha cercato né voluto alcuna crisi e assiste con viva preoccupazione a quanto sta accadendo nel campo della sinistra. L’Italia», aggiungono le stesse fonti, «non può permettersi un assurdo, logorante e infinito tira e molla sulla pelle dei cittadini mentre gli stipendi non aumentano, l’inflazione e le bollette salgono e alcuni provvedimenti (dalla pace fiscale all’autonomia) sono fermi». Tanto che, subito dopo il voto di fiducia e mentre Draghi era al Colle, Salvini aveva annunciato che «la Lega sta mettendo a punto una proposta di pace fiscale che comprende anche un intervento fiscale ad hoc per le famiglie».
E anche se per il ministro Giancarlo Giorgetti «ci sono sempre i tempi supplementari», la posizione di ieri sera avvicina Salvini molto di più a Giorgia Meloni che su Facebook ha scritto: «Con le dimissioni di Draghi per Fratelli d’Italia questa legislatura è finita. Questo Parlamento non rappresenta più gli italiani. Daremo battaglia affinché si restituisca al popolo italiano quello che i cittadini di tutte le altre democrazie hanno: la libertà di scegliere da chi farsi rappresentare. Elezioni subito».
Parlando alla Festa dei patrioti a Palombara Sabina la Meloni aveva avvertito: «Niente scherzi, questa legislatura è finita. Abbiamo sentito parlare di responsabilità, e ne sentiremo parlare nei prossimi giorni. Noi siamo gli unici responsabili, che hanno tenuto fede agli impegni presi. Di che colore sarà il nuovo governo non lo sappiamo, tenteranno di capire se c’è un’altra maggioranza. Era inevitabile che i compromessi sarebbero stati fatti al ribasso».
In effetti, la leader dell’opposizione da giorni ripeteva «Basta, pietà. Tutti a casa. Elezioni subito!», benché il suo partito, primo nei sondaggi, non avrebbe bisogno del voto per «pesarsi» tanto che più di qualcuno dentro FdI era arrivato a dire: «Ci auguriamo per il Paese di votare presto ma se le cose continuassero così, nei prossimi mesi arriviamo al 30%».
A questo punto la palla passa a Silvio Berlusconiche, pur evocando per primo la necessità di una verifica di maggioranza, era stato già chiaro: «Andare alle urne non ci preoccupa, anzi siamo certi che il risultato elettorale premierebbe il centrodestra, in particolare, come dimostrano tutti i sondaggi, l’atteggiamento responsabile e costruttivo di FI. In ogni caso, siamo pronti ad affrontare ogni eventualità avendo come stella polare l’interesse degli italiani». E poi in serata l’agenzia Agi ha sintetizzato il pensiero del Cav: «O Draghi, o voto». Attacca il M5s il coordinatore nazionale Antonio Tajani: «Complimenti al M5s per aver fatto questo guaio mentre c’è una crisi in corso, la guerra è ai confini dell’Europa, la Borsa crolla, lo spread è salito e c’è un’impennata dei prezzi delle materie prime. È da irresponsabili».
Sembrano già sapere quello che faranno mercoledì quando il premier (o ex) si presenterà in Parlamento Renato Brunetta e Mariastella Gelmini. Infatti, mentre il ministro per la Pubblica amministrazione ieri sera ripeteva che «l’Italia non può fare a meno di Draghi», per la collega degli Affari regionali «la decisione del presidente del Consiglio Draghi merita rispetto: il suo lavoro di questi mesi merita la gratitudine del Paese. Quello che è accaduto in Parlamento per le contorsioni di un movimento politico irresponsabile è stato grave e ha prodotto degli effetti. Il rischio fondamentale da scongiurare adesso è che le conseguenze ricadano sulle italiane e sugli italiani».
Giù Piazza Affari, cresce lo spread. Sui listini pesa pure il taglio del Pil
Con la crisi di governo che impazza, i mercati ieri si sono tutti mostrati in grande difficoltà. La mancata votazione della fiducia sul decreto Aiuti da parte del M5S ha prima di tutto fatto salire lo spread tra il titolo di Stato italiano e quello tedesco. Rispetto ai 206 punti di ieri, il differenziale con il decennale tedesco ha raggiunto ieri i 222,2 punti, in crescita del 5,41%.
Andamento negativo anche per il principale listino di Piazza Affari, il Ftse Mib che ieri ha chiuso la seduta in calo del 3,4%, dopo che in giornata il crollo era arrivato anche al 4%. Come spiega Michele Morra, gestore di Moneyfarm, il Ftse Mib ieri ha fatto peggio rispetto agli altri listini azionari. «Il fattore che influisce più pesantemente sui mercati è l’esposizione ai titoli del settore bancario, che soffrono per l’ampliamento degli spread delle obbligazioni italiane e l’appiattimento della curva dei tassi di interesse. Ma sicuramente i mercati azionari sono sempre condizionati anche da fattori globali e il Ftse Mib, in particolare, sta scontando tra gli altri fattori anche il crollo del prezzo del petrolio e dei titoli energetici», spiega.
«Sul fronte dei mercati obbligazionari, oggi (ieri per chi legge, ndr) tutti gli Stati dell’Europa periferica stanno soffrendo e lo spread italiano si sta allargando più degli altri Paesi. I motivi sono essenzialmente due: per prima cosa, il dato Usa sull’inflazione, rilasciato ieri, ha aumentato le aspettative di restrizione monetaria anche in Europa. In secondo luogo, il rischio di frammentazione politica è generalmente aumentato, prima con Macron che ha perso la maggioranza in Francia, e ora con la crisi politica italiana. Inutile a dirsi, l’ennesima crisi politica potrebbe rappresentare un ulteriore duro colpo per le aspettative di crescita e per la fiducia dei mercati non solo nella forza dell’economia europea, ma anche nel progetto Europa, come mostrato dalla recente volatilità anche per il cambio euro-dollaro, che continua a mantenersi intorno alla parità».
In effetti, la crisi di governo non ha aiutato i mercati italiani, ma in Europa la situazione non resta meno complicata. Parigi, ieri, ha chiuso in calo dell’1,41% e Francoforte a -1,86%. D’altronde, ieri mattina la Commissione Ue ha rivisto al ribasso le stime sul Pil della zona euro e alzato quelle sull’inflazione. Per l’Italia nel 2022 la crescita è prevista del 2,9% (dato rivisto in positivo) mentre nel 2023 la stima dovrebbe scendere al +0,9%, ultima tra i Paesi dell’area euro. Con questi chiari di luna il ministro del Tesoro, Daniele Franco, dovrà lavorare non poco perché la situazione non peggiori ulteriormente.
Tra i titoli che ieri hanno fatto bene ci sono Saipem (dopo due giorni di pesanti ribassi, +5,69%), Amplifon (+2,06%) e Stm (+0,32%). Male, però. I titoli bancari, finanziari e del comparto energia. I ribassi più ampi sono stati quelli di Azimut (-4,07%), Banca Generali (-4,12%), Banca Mediolanum (-3,54%), Banco Bpm (-5,3%), Bper (-6,17%), Enel (-5,7%), Eni (-4,25%), Fineco (-5,07%), Generali (-3,31%), Intesa Sanpaolo (-5,54%), Italgas (-3,39%), Iveco (-3,85%), Leonardo (-3,78%), Mediobanca (-4,7%), Nexi (-4,22%), Poste Italiane (-5,08%), Snam (-4,39%), Telecom Italia (-6,4%), Tenaris (-4,04%), Terna (-4,26%), Unicredit (-6,11%) e Unipol (-4,39%). Tim, con un crollo del 6,4% ha registrato la peggiore performance tra i titoli a grande capitalizzazione.
A rendere tutto ancora più difficile, poi, c’è l’euro. La moneta unica ieri è di nuovo scivolata sotto la parità con il biglietto verde per poi riprendersi e finire la corsa a 1,006 dollari.
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Per Matteo Salvini «si deve restituire la parola agli elettori». Netta pure Giorgia Meloni: «La legislatura è finita, questo Parlamento non rappresenta più gli italiani. Elezioni subito». In serata Silvio Berlusconi schiera anche Forza Italia: o Draghi bis o si va al voto.Giù Piazza Affari, cresce lo spread. Sui listini pesa pure il taglio del Pil. Crollano bancari ed energia. La Commissione rivede le stime di crescita nell’Eurozona.Lo speciale comprende due articoli. «Il centrodestra di governo prenderà decisioni comuni». Era questo l’impegno di Forza Italia e Lega alla vigilia del 14 luglio, giorno in cui i parigini presero la Bastiglia e, invece, Mario Draghi ha lasciato il governo. Un addio «congelato» fino a mercoledì, come deciso dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, mentre i partiti del centrodestra prendono posizione in modo più dettagliato. A cominciare dalla Lega di Matteo Salvini che in un comunicato spiega: «La Lega è stata leale, costruttiva e generosa per un anno e mezzo, ma da settimane il presidente Draghi e l’Italia erano vittime dei troppi «No» del Movimento 5 stelle e delle forzature ideologiche del Partito democratico. La Lega, unita e compatta anche dopo le numerose riunioni di oggi, condivide la preoccupazione per le sorti del Paese: è impensabile che l’Italia debba subire settimane di paralisi in un momento drammatico come questo, nessuno deve aver paura di restituire la parola agli italiani». Per la verità Salvini lo aveva già detto prima del voto di fiducia: «Parola agli italiani. Se i 5 stelle escono dall’Aula, la maggioranza non c’è più: basta con litigi, minacce e ritardi». Però nella nota di ieri sera, oltre che al M5s, c’è un attacco anche al Pd e alle sue forzature ideologiche, vedi ius scholae e cannabis, tanto da escludere un Draghi bis perché non ci sarebbero le condizioni come nella passata maggioranza. Del resto da via Bellerio, per rassicurare l’ala governista del partito a cominciare dai presidenti delle Regioni impegnati sui territori tra pandemia e progetti Pnrr, avevano già sottolineato che «la Lega non ha cercato né voluto alcuna crisi e assiste con viva preoccupazione a quanto sta accadendo nel campo della sinistra. L’Italia», aggiungono le stesse fonti, «non può permettersi un assurdo, logorante e infinito tira e molla sulla pelle dei cittadini mentre gli stipendi non aumentano, l’inflazione e le bollette salgono e alcuni provvedimenti (dalla pace fiscale all’autonomia) sono fermi». Tanto che, subito dopo il voto di fiducia e mentre Draghi era al Colle, Salvini aveva annunciato che «la Lega sta mettendo a punto una proposta di pace fiscale che comprende anche un intervento fiscale ad hoc per le famiglie». E anche se per il ministro Giancarlo Giorgetti «ci sono sempre i tempi supplementari», la posizione di ieri sera avvicina Salvini molto di più a Giorgia Meloni che su Facebook ha scritto: «Con le dimissioni di Draghi per Fratelli d’Italia questa legislatura è finita. Questo Parlamento non rappresenta più gli italiani. Daremo battaglia affinché si restituisca al popolo italiano quello che i cittadini di tutte le altre democrazie hanno: la libertà di scegliere da chi farsi rappresentare. Elezioni subito». Parlando alla Festa dei patrioti a Palombara Sabina la Meloni aveva avvertito: «Niente scherzi, questa legislatura è finita. Abbiamo sentito parlare di responsabilità, e ne sentiremo parlare nei prossimi giorni. Noi siamo gli unici responsabili, che hanno tenuto fede agli impegni presi. Di che colore sarà il nuovo governo non lo sappiamo, tenteranno di capire se c’è un’altra maggioranza. Era inevitabile che i compromessi sarebbero stati fatti al ribasso». In effetti, la leader dell’opposizione da giorni ripeteva «Basta, pietà. Tutti a casa. Elezioni subito!», benché il suo partito, primo nei sondaggi, non avrebbe bisogno del voto per «pesarsi» tanto che più di qualcuno dentro FdI era arrivato a dire: «Ci auguriamo per il Paese di votare presto ma se le cose continuassero così, nei prossimi mesi arriviamo al 30%». A questo punto la palla passa a Silvio Berlusconiche, pur evocando per primo la necessità di una verifica di maggioranza, era stato già chiaro: «Andare alle urne non ci preoccupa, anzi siamo certi che il risultato elettorale premierebbe il centrodestra, in particolare, come dimostrano tutti i sondaggi, l’atteggiamento responsabile e costruttivo di FI. In ogni caso, siamo pronti ad affrontare ogni eventualità avendo come stella polare l’interesse degli italiani». E poi in serata l’agenzia Agi ha sintetizzato il pensiero del Cav: «O Draghi, o voto». Attacca il M5s il coordinatore nazionale Antonio Tajani: «Complimenti al M5s per aver fatto questo guaio mentre c’è una crisi in corso, la guerra è ai confini dell’Europa, la Borsa crolla, lo spread è salito e c’è un’impennata dei prezzi delle materie prime. È da irresponsabili». Sembrano già sapere quello che faranno mercoledì quando il premier (o ex) si presenterà in Parlamento Renato Brunetta e Mariastella Gelmini. Infatti, mentre il ministro per la Pubblica amministrazione ieri sera ripeteva che «l’Italia non può fare a meno di Draghi», per la collega degli Affari regionali «la decisione del presidente del Consiglio Draghi merita rispetto: il suo lavoro di questi mesi merita la gratitudine del Paese. 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Rispetto ai 206 punti di ieri, il differenziale con il decennale tedesco ha raggiunto ieri i 222,2 punti, in crescita del 5,41%. Andamento negativo anche per il principale listino di Piazza Affari, il Ftse Mib che ieri ha chiuso la seduta in calo del 3,4%, dopo che in giornata il crollo era arrivato anche al 4%. Come spiega Michele Morra, gestore di Moneyfarm, il Ftse Mib ieri ha fatto peggio rispetto agli altri listini azionari. «Il fattore che influisce più pesantemente sui mercati è l’esposizione ai titoli del settore bancario, che soffrono per l’ampliamento degli spread delle obbligazioni italiane e l’appiattimento della curva dei tassi di interesse. Ma sicuramente i mercati azionari sono sempre condizionati anche da fattori globali e il Ftse Mib, in particolare, sta scontando tra gli altri fattori anche il crollo del prezzo del petrolio e dei titoli energetici», spiega. «Sul fronte dei mercati obbligazionari, oggi (ieri per chi legge, ndr) tutti gli Stati dell’Europa periferica stanno soffrendo e lo spread italiano si sta allargando più degli altri Paesi. I motivi sono essenzialmente due: per prima cosa, il dato Usa sull’inflazione, rilasciato ieri, ha aumentato le aspettative di restrizione monetaria anche in Europa. In secondo luogo, il rischio di frammentazione politica è generalmente aumentato, prima con Macron che ha perso la maggioranza in Francia, e ora con la crisi politica italiana. Inutile a dirsi, l’ennesima crisi politica potrebbe rappresentare un ulteriore duro colpo per le aspettative di crescita e per la fiducia dei mercati non solo nella forza dell’economia europea, ma anche nel progetto Europa, come mostrato dalla recente volatilità anche per il cambio euro-dollaro, che continua a mantenersi intorno alla parità». In effetti, la crisi di governo non ha aiutato i mercati italiani, ma in Europa la situazione non resta meno complicata. Parigi, ieri, ha chiuso in calo dell’1,41% e Francoforte a -1,86%. D’altronde, ieri mattina la Commissione Ue ha rivisto al ribasso le stime sul Pil della zona euro e alzato quelle sull’inflazione. Per l’Italia nel 2022 la crescita è prevista del 2,9% (dato rivisto in positivo) mentre nel 2023 la stima dovrebbe scendere al +0,9%, ultima tra i Paesi dell’area euro. Con questi chiari di luna il ministro del Tesoro, Daniele Franco, dovrà lavorare non poco perché la situazione non peggiori ulteriormente. Tra i titoli che ieri hanno fatto bene ci sono Saipem (dopo due giorni di pesanti ribassi, +5,69%), Amplifon (+2,06%) e Stm (+0,32%). Male, però. I titoli bancari, finanziari e del comparto energia. I ribassi più ampi sono stati quelli di Azimut (-4,07%), Banca Generali (-4,12%), Banca Mediolanum (-3,54%), Banco Bpm (-5,3%), Bper (-6,17%), Enel (-5,7%), Eni (-4,25%), Fineco (-5,07%), Generali (-3,31%), Intesa Sanpaolo (-5,54%), Italgas (-3,39%), Iveco (-3,85%), Leonardo (-3,78%), Mediobanca (-4,7%), Nexi (-4,22%), Poste Italiane (-5,08%), Snam (-4,39%), Telecom Italia (-6,4%), Tenaris (-4,04%), Terna (-4,26%), Unicredit (-6,11%) e Unipol (-4,39%). Tim, con un crollo del 6,4% ha registrato la peggiore performance tra i titoli a grande capitalizzazione. A rendere tutto ancora più difficile, poi, c’è l’euro. La moneta unica ieri è di nuovo scivolata sotto la parità con il biglietto verde per poi riprendersi e finire la corsa a 1,006 dollari.
Laurent Vinatier (Ansa)
Vinatier, 49 anni, a giugno 2024 era stato arrestato dalle forze di sicurezza russe con l’accusa di spionaggio: non si era registrato come «agente straniero» mentre raccoglieva informazioni sulle «attività militari e tecnico-militari» della Russia, che avrebbero potuto essere utilizzate a scapito della sicurezza nazionale. All’epoca il francese, la cui moglie è di origine russa, era consulente dell’Ong svizzera Centro per il dialogo umanitario e aveva stabilito nell’ambito del suo lavoro contatti con politologi, economisti, funzionari ed esperti militari.
A ottobre 2024 era arrivata la condanna «amministrativa» a Vinatier, tre anni di reclusione per la mancata registrazione nell’elenco degli agenti stranieri. La difesa aveva chiesto una multa per l’errore che l’imputato ha riconosciuto di aver commesso «per ignoranza», mentre l’accusa chiedeva 3 anni e 3 mesi. Lo scorso 24 febbraio, questa condanna estremamente severa è stata confermata in appello sulla base della legislazione contro i presunti agenti stranieri.
Nell’agosto 2025, un fascicolo sul sito web del tribunale del distretto di Lefortovo a Mosca ha rivelato che un cittadino francese è accusato di spionaggio. Rischia fino a vent’anni di carcere ai sensi dell’articolo 276 del codice penale russo. «Il caso Vinatier ha ottenuto visibilità solo dopo che il giornalista di TF1 Jérôme Garraud, durante la conferenza stampa annuale del presidente russo Vladimir Putin il 19 dicembre, ha chiesto al capo dello Stato: “Sappiamo che in questo momento c’è molta tensione tra Russia e Francia, ma il nuovo anno si avvicina. La sua famiglia (di Laurent Vinatier, ndr) può sperare in uno scambio o nella grazia presidenziale?”. Il presidente russo ha risposto di non sapere nulla del caso ma ha promesso di indagare», sostiene TopWar.ru sito web russo di notizie e analisi militari. Putin ha aggiunto che «se esiste una possibilità di risolvere positivamente questa questione, se la legge russa lo consente, faremo ogni sforzo per riuscirci».
Il politologo è attualmente detenuto nella prigione di Lefortovo, penitenziario di massima sicurezza. Prima era «in un altro carcere a Mosca e poi per un mese a Donskoy nella regione di Tula, a Sud della capitale», ha riferito la figlia Camille alla rivista Altraeconomia spiegando che il padre «si occupa di diplomazia “secondaria”, ha studiato la geopolitica post-sovietica e negli ultimi anni si è occupato della guerra tra Russia e Ucraina» e che il secondo processo, dopo quello relativo a questioni amministrative è per accuse di spionaggio. Sarebbe vittima delle tensioni tra Mosca e Parigi a causa della guerra in Ucraina.
«Questo arresto e le accuse sono davvero mosse da una scelta politica e avvengono in un contesto specifico di crescenti tensioni tra Francia e Russia […] la chiave di tutto questo sta nella politica, non nella legge», concludeva la figlia, confermando l’ipotesi di uno scambio di prigionieri come possibile chiave di svolta della vicenda Vinatier.
L’avvocato della famiglia, Frederic Belot, ha affermato che sperano nel rilascio entro il Natale ortodosso del 7 gennaio. Uno scambio di prigionieri è possibile, ma vuole essere «estremamente prudente».
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Volodymyr Zelensky (Ansa)
A confermare il bilaterale, dopo l’indiscrezione lanciata da Axios, è stato lo stesso leader di Kiev: «Abbiamo un programma ampio e l’incontro si terrà questo fine settimana, credo domenica», ha detto ai giornalisti, non escludendo la partecipazione, in collegamento da remoto, dei rappresentanti dei Paesi europei. D’altronde, le conversazioni tra Kiev e la Casa Bianca non si sono fermate nemmeno il giorno di Natale: Zelensky ha avuto una lunga telefonata con l’inviato americano, Steve Witkoff, e con il genero di Trump, Jared Kushner, per approfondire «i formati, gli incontri e le tempistiche» per fermare la guerra. A quel colloquio telefonico sono poi seguiti ulteriori «contatti» tra il capo negoziatore ucraino, Rustem Umerov, e «la parte americana».
Al centro del dialogo con il tycoon ci saranno «alcune sfumature» sulle garanzie di sicurezza, ma soprattutto i nodi irrisolti per arrivare alla pace: il controllo del Donbass e dei territori orientali rivendicati dalla Russia e la gestione della centrale nucleare di Zaporizhzhia. Sul tavolo ci sono dunque le questioni più delicate e il significato del meeting, a detta di Zelensky, è «finalizzare il più possibile» visto anche che alcuni temi «possono essere discussi solo a livello di leader». A rivelare ulteriori dettagli è stato il presidente ucraino in un’intervista telefonica rilasciata ad Axios. Per la prima volta si è detto disposto a indire un referendum sul piano americano qualora Mosca accettasse un cessate il fuoco di 60 giorni. Pare però, secondo un funzionario americano, che la Russia sia disposta a concedere una tregua più breve. Riguardo alle garanzie di sicurezza, Zelensky ha affermato che servono discussioni sulle «questioni tecniche». In particolare, Washington ha proposto un patto di 15 anni che può essere rinnovato, ma secondo il presidente ucraino «il bisogno» sarà «per più di 15 anni». In ogni caso, l’incontro tra i due leader, come riferito da Axios, rifletterebbe «i progressi significativi dei colloqui». Vero è che Trump aveva dato la sua disponibilità solo qualora fosse vicino il raggiungimento di un accordo. Un’ulteriore conferma dei «progressi» emerge dalle parole di Zelensky, che ha dichiarato: «Il piano di 20 punti su cui abbiamo lavorato è pronto al 90%. Il nostro compito è assicurarci che tutto sia pronto al 100%. Non è facile, ma dobbiamo avvicinarci al risultato desiderato con ogni incontro, con ogni conversazione». Un membro della delegazione ucraina, Sergiy Kyslytsya, ha rivelato al Financial Times che le posizioni della Casa Bianca e di Kiev sarebbero piuttosto vicine. Ed è dunque arrivato «il momento» che i due presidenti «benedicano, modifichino e calibrino, se necessario» il piano di pace.
In vista dell’incontro in Florida, Zelensky ha già iniziato a consultarsi con i partner. Ieri pomeriggio ha avuto «un’ottima conversazione» con il primo ministro canadese, Mark Carney, per aggiornarlo «sullo stato di avanzamento» del «lavoro diplomatico» ucraino «con gli Stati Uniti». Zelensky ha poi aggiunto: «Nei prossimi giorni si potrà ottenere molto sia a livello bilaterale fra Ucraina e Stati Uniti, sia con i nostri partner della coalizione dei Volenterosi». Anche il segretario generale della Nato, Mark Rutte, è stato consultato dal presidente ucraino per discutere «degli sforzi congiunti per garantire la sicurezza» e «coordinare le posizioni» prima dei colloqui con il tycoon. La maratona telefonica del leader di Kiev ha incluso anche il cancelliere tedesco, Friedrich Merz, e il primo ministro danese, Mette Frederiksen.
Nel frattempo, proseguono i contatti anche tra il Cremlino e la Casa Bianca. A rivelarlo è stato il portavoce russo, Dmitry Peskov: «Dopo che Kirill Dmitriev ha riferito al presidente sui risultati del suo viaggio in America e sui suoi contatti con gli americani, queste informazioni sono state analizzate e, su indicazione del presidente Putin, si sono già verificati contatti tra i rappresentanti delle amministrazioni russa e statunitense». A guidare le conversazioni telefoniche, da parte di Mosca, è stato il consigliere presidenziale russo, Yuri Ushakov. Riguardo alle questioni territoriali, secondo la rivista russa Kommersant, Putin, durante una riunione con gli imprenditori avvenuta la vigilia di Natale, ha dichiarato che potrebbe essere disposto a rinunciare a parte del territorio ucraino controllato dai soldati di Mosca, ma non è disposto a fare marcia indietro sul Donbass. Lo zar, nel meeting, ha affrontato anche la gestione della centrale nucleare di Zaporizhzhia. E, stando a quanto rivelato da Kommersant, Putin ha comunicato che non prevede la partecipazione ucraina, ma solamente una gestione congiunta con gli Stati Uniti con cui sono in corso le trattative. Sul piano di pace, il viceministro degli Esteri russo, Sergei Ryabkov, è tornato a sbilanciarsi. Nel talk show 60 minuti, trasmesso dalla tv russa Rossija-1, ha affermato che il piano di pace rivisto dall’Ucraina è «radicalmente diverso dai 27 punti» su cui ha lavorato Mosca. E pur annunciando che la fine della guerra è «vicina», Ryabkov ha accusato l’Ucraina e l’Europa di aver «raddoppiato gli sforzi» per «affossare» l’accordo di pace.
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