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2022-07-15
Il Cav s’infila tra Lega e Fdi: «Mr Bce o urne»
Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni, Matteo Salvini (Imagoeconomica)
«Il centrodestra di governo prenderà decisioni comuni». Era questo l’impegno di Forza Italia e Lega alla vigilia del 14 luglio, giorno in cui i parigini presero la Bastiglia e, invece, Mario Draghi ha lasciato il governo. Un addio «congelato» fino a mercoledì, come deciso dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, mentre i partiti del centrodestra prendono posizione in modo più dettagliato. A cominciare dalla Lega di Matteo Salvini che in un comunicato spiega: «La Lega è stata leale, costruttiva e generosa per un anno e mezzo, ma da settimane il presidente Draghi e l’Italia erano vittime dei troppi «No» del Movimento 5 stelle e delle forzature ideologiche del Partito democratico. La Lega, unita e compatta anche dopo le numerose riunioni di oggi, condivide la preoccupazione per le sorti del Paese: è impensabile che l’Italia debba subire settimane di paralisi in un momento drammatico come questo, nessuno deve aver paura di restituire la parola agli italiani».
Per la verità Salvini lo aveva già detto prima del voto di fiducia: «Parola agli italiani. Se i 5 stelle escono dall’Aula, la maggioranza non c’è più: basta con litigi, minacce e ritardi». Però nella nota di ieri sera, oltre che al M5s, c’è un attacco anche al Pd e alle sue forzature ideologiche, vedi ius scholae e cannabis, tanto da escludere un Draghi bis perché non ci sarebbero le condizioni come nella passata maggioranza.
Del resto da via Bellerio, per rassicurare l’ala governista del partito a cominciare dai presidenti delle Regioni impegnati sui territori tra pandemia e progetti Pnrr, avevano già sottolineato che «la Lega non ha cercato né voluto alcuna crisi e assiste con viva preoccupazione a quanto sta accadendo nel campo della sinistra. L’Italia», aggiungono le stesse fonti, «non può permettersi un assurdo, logorante e infinito tira e molla sulla pelle dei cittadini mentre gli stipendi non aumentano, l’inflazione e le bollette salgono e alcuni provvedimenti (dalla pace fiscale all’autonomia) sono fermi». Tanto che, subito dopo il voto di fiducia e mentre Draghi era al Colle, Salvini aveva annunciato che «la Lega sta mettendo a punto una proposta di pace fiscale che comprende anche un intervento fiscale ad hoc per le famiglie».
E anche se per il ministro Giancarlo Giorgetti «ci sono sempre i tempi supplementari», la posizione di ieri sera avvicina Salvini molto di più a Giorgia Meloni che su Facebook ha scritto: «Con le dimissioni di Draghi per Fratelli d’Italia questa legislatura è finita. Questo Parlamento non rappresenta più gli italiani. Daremo battaglia affinché si restituisca al popolo italiano quello che i cittadini di tutte le altre democrazie hanno: la libertà di scegliere da chi farsi rappresentare. Elezioni subito».
Parlando alla Festa dei patrioti a Palombara Sabina la Meloni aveva avvertito: «Niente scherzi, questa legislatura è finita. Abbiamo sentito parlare di responsabilità, e ne sentiremo parlare nei prossimi giorni. Noi siamo gli unici responsabili, che hanno tenuto fede agli impegni presi. Di che colore sarà il nuovo governo non lo sappiamo, tenteranno di capire se c’è un’altra maggioranza. Era inevitabile che i compromessi sarebbero stati fatti al ribasso».
In effetti, la leader dell’opposizione da giorni ripeteva «Basta, pietà. Tutti a casa. Elezioni subito!», benché il suo partito, primo nei sondaggi, non avrebbe bisogno del voto per «pesarsi» tanto che più di qualcuno dentro FdI era arrivato a dire: «Ci auguriamo per il Paese di votare presto ma se le cose continuassero così, nei prossimi mesi arriviamo al 30%».
A questo punto la palla passa a Silvio Berlusconiche, pur evocando per primo la necessità di una verifica di maggioranza, era stato già chiaro: «Andare alle urne non ci preoccupa, anzi siamo certi che il risultato elettorale premierebbe il centrodestra, in particolare, come dimostrano tutti i sondaggi, l’atteggiamento responsabile e costruttivo di FI. In ogni caso, siamo pronti ad affrontare ogni eventualità avendo come stella polare l’interesse degli italiani». E poi in serata l’agenzia Agi ha sintetizzato il pensiero del Cav: «O Draghi, o voto». Attacca il M5s il coordinatore nazionale Antonio Tajani: «Complimenti al M5s per aver fatto questo guaio mentre c’è una crisi in corso, la guerra è ai confini dell’Europa, la Borsa crolla, lo spread è salito e c’è un’impennata dei prezzi delle materie prime. È da irresponsabili».
Sembrano già sapere quello che faranno mercoledì quando il premier (o ex) si presenterà in Parlamento Renato Brunetta e Mariastella Gelmini. Infatti, mentre il ministro per la Pubblica amministrazione ieri sera ripeteva che «l’Italia non può fare a meno di Draghi», per la collega degli Affari regionali «la decisione del presidente del Consiglio Draghi merita rispetto: il suo lavoro di questi mesi merita la gratitudine del Paese. Quello che è accaduto in Parlamento per le contorsioni di un movimento politico irresponsabile è stato grave e ha prodotto degli effetti. Il rischio fondamentale da scongiurare adesso è che le conseguenze ricadano sulle italiane e sugli italiani».
Giù Piazza Affari, cresce lo spread. Sui listini pesa pure il taglio del Pil
Con la crisi di governo che impazza, i mercati ieri si sono tutti mostrati in grande difficoltà. La mancata votazione della fiducia sul decreto Aiuti da parte del M5S ha prima di tutto fatto salire lo spread tra il titolo di Stato italiano e quello tedesco. Rispetto ai 206 punti di ieri, il differenziale con il decennale tedesco ha raggiunto ieri i 222,2 punti, in crescita del 5,41%.
Andamento negativo anche per il principale listino di Piazza Affari, il Ftse Mib che ieri ha chiuso la seduta in calo del 3,4%, dopo che in giornata il crollo era arrivato anche al 4%. Come spiega Michele Morra, gestore di Moneyfarm, il Ftse Mib ieri ha fatto peggio rispetto agli altri listini azionari. «Il fattore che influisce più pesantemente sui mercati è l’esposizione ai titoli del settore bancario, che soffrono per l’ampliamento degli spread delle obbligazioni italiane e l’appiattimento della curva dei tassi di interesse. Ma sicuramente i mercati azionari sono sempre condizionati anche da fattori globali e il Ftse Mib, in particolare, sta scontando tra gli altri fattori anche il crollo del prezzo del petrolio e dei titoli energetici», spiega.
«Sul fronte dei mercati obbligazionari, oggi (ieri per chi legge, ndr) tutti gli Stati dell’Europa periferica stanno soffrendo e lo spread italiano si sta allargando più degli altri Paesi. I motivi sono essenzialmente due: per prima cosa, il dato Usa sull’inflazione, rilasciato ieri, ha aumentato le aspettative di restrizione monetaria anche in Europa. In secondo luogo, il rischio di frammentazione politica è generalmente aumentato, prima con Macron che ha perso la maggioranza in Francia, e ora con la crisi politica italiana. Inutile a dirsi, l’ennesima crisi politica potrebbe rappresentare un ulteriore duro colpo per le aspettative di crescita e per la fiducia dei mercati non solo nella forza dell’economia europea, ma anche nel progetto Europa, come mostrato dalla recente volatilità anche per il cambio euro-dollaro, che continua a mantenersi intorno alla parità».
In effetti, la crisi di governo non ha aiutato i mercati italiani, ma in Europa la situazione non resta meno complicata. Parigi, ieri, ha chiuso in calo dell’1,41% e Francoforte a -1,86%. D’altronde, ieri mattina la Commissione Ue ha rivisto al ribasso le stime sul Pil della zona euro e alzato quelle sull’inflazione. Per l’Italia nel 2022 la crescita è prevista del 2,9% (dato rivisto in positivo) mentre nel 2023 la stima dovrebbe scendere al +0,9%, ultima tra i Paesi dell’area euro. Con questi chiari di luna il ministro del Tesoro, Daniele Franco, dovrà lavorare non poco perché la situazione non peggiori ulteriormente.
Tra i titoli che ieri hanno fatto bene ci sono Saipem (dopo due giorni di pesanti ribassi, +5,69%), Amplifon (+2,06%) e Stm (+0,32%). Male, però. I titoli bancari, finanziari e del comparto energia. I ribassi più ampi sono stati quelli di Azimut (-4,07%), Banca Generali (-4,12%), Banca Mediolanum (-3,54%), Banco Bpm (-5,3%), Bper (-6,17%), Enel (-5,7%), Eni (-4,25%), Fineco (-5,07%), Generali (-3,31%), Intesa Sanpaolo (-5,54%), Italgas (-3,39%), Iveco (-3,85%), Leonardo (-3,78%), Mediobanca (-4,7%), Nexi (-4,22%), Poste Italiane (-5,08%), Snam (-4,39%), Telecom Italia (-6,4%), Tenaris (-4,04%), Terna (-4,26%), Unicredit (-6,11%) e Unipol (-4,39%). Tim, con un crollo del 6,4% ha registrato la peggiore performance tra i titoli a grande capitalizzazione.
A rendere tutto ancora più difficile, poi, c’è l’euro. La moneta unica ieri è di nuovo scivolata sotto la parità con il biglietto verde per poi riprendersi e finire la corsa a 1,006 dollari.
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Per Matteo Salvini «si deve restituire la parola agli elettori». Netta pure Giorgia Meloni: «La legislatura è finita, questo Parlamento non rappresenta più gli italiani. Elezioni subito». In serata Silvio Berlusconi schiera anche Forza Italia: o Draghi bis o si va al voto.Giù Piazza Affari, cresce lo spread. Sui listini pesa pure il taglio del Pil. Crollano bancari ed energia. La Commissione rivede le stime di crescita nell’Eurozona.Lo speciale comprende due articoli. «Il centrodestra di governo prenderà decisioni comuni». Era questo l’impegno di Forza Italia e Lega alla vigilia del 14 luglio, giorno in cui i parigini presero la Bastiglia e, invece, Mario Draghi ha lasciato il governo. Un addio «congelato» fino a mercoledì, come deciso dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, mentre i partiti del centrodestra prendono posizione in modo più dettagliato. A cominciare dalla Lega di Matteo Salvini che in un comunicato spiega: «La Lega è stata leale, costruttiva e generosa per un anno e mezzo, ma da settimane il presidente Draghi e l’Italia erano vittime dei troppi «No» del Movimento 5 stelle e delle forzature ideologiche del Partito democratico. La Lega, unita e compatta anche dopo le numerose riunioni di oggi, condivide la preoccupazione per le sorti del Paese: è impensabile che l’Italia debba subire settimane di paralisi in un momento drammatico come questo, nessuno deve aver paura di restituire la parola agli italiani». Per la verità Salvini lo aveva già detto prima del voto di fiducia: «Parola agli italiani. Se i 5 stelle escono dall’Aula, la maggioranza non c’è più: basta con litigi, minacce e ritardi». Però nella nota di ieri sera, oltre che al M5s, c’è un attacco anche al Pd e alle sue forzature ideologiche, vedi ius scholae e cannabis, tanto da escludere un Draghi bis perché non ci sarebbero le condizioni come nella passata maggioranza. Del resto da via Bellerio, per rassicurare l’ala governista del partito a cominciare dai presidenti delle Regioni impegnati sui territori tra pandemia e progetti Pnrr, avevano già sottolineato che «la Lega non ha cercato né voluto alcuna crisi e assiste con viva preoccupazione a quanto sta accadendo nel campo della sinistra. L’Italia», aggiungono le stesse fonti, «non può permettersi un assurdo, logorante e infinito tira e molla sulla pelle dei cittadini mentre gli stipendi non aumentano, l’inflazione e le bollette salgono e alcuni provvedimenti (dalla pace fiscale all’autonomia) sono fermi». Tanto che, subito dopo il voto di fiducia e mentre Draghi era al Colle, Salvini aveva annunciato che «la Lega sta mettendo a punto una proposta di pace fiscale che comprende anche un intervento fiscale ad hoc per le famiglie». E anche se per il ministro Giancarlo Giorgetti «ci sono sempre i tempi supplementari», la posizione di ieri sera avvicina Salvini molto di più a Giorgia Meloni che su Facebook ha scritto: «Con le dimissioni di Draghi per Fratelli d’Italia questa legislatura è finita. Questo Parlamento non rappresenta più gli italiani. Daremo battaglia affinché si restituisca al popolo italiano quello che i cittadini di tutte le altre democrazie hanno: la libertà di scegliere da chi farsi rappresentare. Elezioni subito». Parlando alla Festa dei patrioti a Palombara Sabina la Meloni aveva avvertito: «Niente scherzi, questa legislatura è finita. Abbiamo sentito parlare di responsabilità, e ne sentiremo parlare nei prossimi giorni. Noi siamo gli unici responsabili, che hanno tenuto fede agli impegni presi. Di che colore sarà il nuovo governo non lo sappiamo, tenteranno di capire se c’è un’altra maggioranza. Era inevitabile che i compromessi sarebbero stati fatti al ribasso». In effetti, la leader dell’opposizione da giorni ripeteva «Basta, pietà. Tutti a casa. Elezioni subito!», benché il suo partito, primo nei sondaggi, non avrebbe bisogno del voto per «pesarsi» tanto che più di qualcuno dentro FdI era arrivato a dire: «Ci auguriamo per il Paese di votare presto ma se le cose continuassero così, nei prossimi mesi arriviamo al 30%». A questo punto la palla passa a Silvio Berlusconiche, pur evocando per primo la necessità di una verifica di maggioranza, era stato già chiaro: «Andare alle urne non ci preoccupa, anzi siamo certi che il risultato elettorale premierebbe il centrodestra, in particolare, come dimostrano tutti i sondaggi, l’atteggiamento responsabile e costruttivo di FI. In ogni caso, siamo pronti ad affrontare ogni eventualità avendo come stella polare l’interesse degli italiani». E poi in serata l’agenzia Agi ha sintetizzato il pensiero del Cav: «O Draghi, o voto». Attacca il M5s il coordinatore nazionale Antonio Tajani: «Complimenti al M5s per aver fatto questo guaio mentre c’è una crisi in corso, la guerra è ai confini dell’Europa, la Borsa crolla, lo spread è salito e c’è un’impennata dei prezzi delle materie prime. È da irresponsabili». Sembrano già sapere quello che faranno mercoledì quando il premier (o ex) si presenterà in Parlamento Renato Brunetta e Mariastella Gelmini. Infatti, mentre il ministro per la Pubblica amministrazione ieri sera ripeteva che «l’Italia non può fare a meno di Draghi», per la collega degli Affari regionali «la decisione del presidente del Consiglio Draghi merita rispetto: il suo lavoro di questi mesi merita la gratitudine del Paese. 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Rispetto ai 206 punti di ieri, il differenziale con il decennale tedesco ha raggiunto ieri i 222,2 punti, in crescita del 5,41%. Andamento negativo anche per il principale listino di Piazza Affari, il Ftse Mib che ieri ha chiuso la seduta in calo del 3,4%, dopo che in giornata il crollo era arrivato anche al 4%. Come spiega Michele Morra, gestore di Moneyfarm, il Ftse Mib ieri ha fatto peggio rispetto agli altri listini azionari. «Il fattore che influisce più pesantemente sui mercati è l’esposizione ai titoli del settore bancario, che soffrono per l’ampliamento degli spread delle obbligazioni italiane e l’appiattimento della curva dei tassi di interesse. Ma sicuramente i mercati azionari sono sempre condizionati anche da fattori globali e il Ftse Mib, in particolare, sta scontando tra gli altri fattori anche il crollo del prezzo del petrolio e dei titoli energetici», spiega. «Sul fronte dei mercati obbligazionari, oggi (ieri per chi legge, ndr) tutti gli Stati dell’Europa periferica stanno soffrendo e lo spread italiano si sta allargando più degli altri Paesi. I motivi sono essenzialmente due: per prima cosa, il dato Usa sull’inflazione, rilasciato ieri, ha aumentato le aspettative di restrizione monetaria anche in Europa. In secondo luogo, il rischio di frammentazione politica è generalmente aumentato, prima con Macron che ha perso la maggioranza in Francia, e ora con la crisi politica italiana. Inutile a dirsi, l’ennesima crisi politica potrebbe rappresentare un ulteriore duro colpo per le aspettative di crescita e per la fiducia dei mercati non solo nella forza dell’economia europea, ma anche nel progetto Europa, come mostrato dalla recente volatilità anche per il cambio euro-dollaro, che continua a mantenersi intorno alla parità». In effetti, la crisi di governo non ha aiutato i mercati italiani, ma in Europa la situazione non resta meno complicata. Parigi, ieri, ha chiuso in calo dell’1,41% e Francoforte a -1,86%. D’altronde, ieri mattina la Commissione Ue ha rivisto al ribasso le stime sul Pil della zona euro e alzato quelle sull’inflazione. Per l’Italia nel 2022 la crescita è prevista del 2,9% (dato rivisto in positivo) mentre nel 2023 la stima dovrebbe scendere al +0,9%, ultima tra i Paesi dell’area euro. Con questi chiari di luna il ministro del Tesoro, Daniele Franco, dovrà lavorare non poco perché la situazione non peggiori ulteriormente. Tra i titoli che ieri hanno fatto bene ci sono Saipem (dopo due giorni di pesanti ribassi, +5,69%), Amplifon (+2,06%) e Stm (+0,32%). Male, però. I titoli bancari, finanziari e del comparto energia. I ribassi più ampi sono stati quelli di Azimut (-4,07%), Banca Generali (-4,12%), Banca Mediolanum (-3,54%), Banco Bpm (-5,3%), Bper (-6,17%), Enel (-5,7%), Eni (-4,25%), Fineco (-5,07%), Generali (-3,31%), Intesa Sanpaolo (-5,54%), Italgas (-3,39%), Iveco (-3,85%), Leonardo (-3,78%), Mediobanca (-4,7%), Nexi (-4,22%), Poste Italiane (-5,08%), Snam (-4,39%), Telecom Italia (-6,4%), Tenaris (-4,04%), Terna (-4,26%), Unicredit (-6,11%) e Unipol (-4,39%). Tim, con un crollo del 6,4% ha registrato la peggiore performance tra i titoli a grande capitalizzazione. A rendere tutto ancora più difficile, poi, c’è l’euro. La moneta unica ieri è di nuovo scivolata sotto la parità con il biglietto verde per poi riprendersi e finire la corsa a 1,006 dollari.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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