2019-08-22
Il cambio di sesso della detenuta a carico dello Stato
Orange is the new black, serie ambientata in un carcere Usa [Jojo Whilden]
Reclusa a Genova, viene portata a Torino per le sedute di terapia sostenute dall'Asl. La polizia penitenziaria: «Spesa da evitare».Il racconto di Denise Shick, attivista che difende i figli dei genitori che si scoprono trans.Lo speciale contiene due articoli. Nella casa circondariale di Pontedecimo, a Genova, c'è una detenuta che intende diventare un detenuto. Liberissima di farlo, ovviamente. Il fatto che è il cambio di sesso è a carico dei contribuenti italiani. La signora in questione non è esattamente un angioletto: deve scontare una condanna fino al 2022 per reati di futo, evasione e resistenza. A quanto pare, è stata trasferita a Pontedecimo da Torino proprio per motivi di ordine e sicurezza, visto che aveva aggredito alcuni agenti della polizia penitenziaria. Questa donna è soltanto all'inizio del percorso di transizione, ed è questo particolare che rende il suo caso quasi inedito. Nelle carceri italiane, infatti, ci sono decine di detenuti transgender, i quali spesso ottengono di poter assumere i medicinali necessari a continuare le terapie ormonali. Più difficile è imbattersi in un detenuto che decida di cambiare sesso. In ogni caso, la reclusa di cui stiamo parlando ha ottenuto il via libera da parte delle autorità. Proprio in questi giorni è stata condotta a Torino per la terza volta in poche settimane, onde poter affrontare i colloqui psicologici. In tutto la donna dovrà partecipare a 12 sedute di terapia prima di poter procedere alla transizione chirurgica. In tutte e dodici le occasioni - oltre che alla necessaria visita endocrinologica - sarà la polizia penitenziaria ligure a condurre la detenuta all'Asl. Un particolare che ha fatto irritare non poco il sindacato degli agenti. Secondo il segretario regionale della Uilpa, Fabio Pagani, «uomini e donne della Polizia penitenziaria saranno impegnati da Genova a Torino per ben 12 volte, solo per iniziare, in pieno piano ferie , in carenza di organico e senza ore di straordinario pagate, senza anticipo delle missioni, per un calendario psicologico e per la volontà di una detenuta di cambiare sesso, quando la stessa poteva essere assegnata in un istituto nei pressi dell'Ospedale di Torino, risparmiando straordinario, mezzi e missioni». Insomma, secondo il rappresentante dei poliziotti si tratta di un dispendio assurdo di uomini e mezzi. «Facendo un calcolo a spanne», dice Pagani alla Verità, «ogni uscita verrà a costare circa 500 euro». Ai quali poi si devono aggiungere i costi a carico dell'Asl per le varie terapie. «Questi errori dell'amministrazione penitenziaria», continua Pagani, «incidono fortemente sui carichi di lavoro della Polizia penitenziaria: non ci sono i soldi per pagare le missioni e gli straordinari agli agenti, non ci sono soldi per garantire il trasporto dei detenuti». Il sindacalista sostiene che il caso della detenuta che intende cambiare sesso sia il primo in Italia a presentarsi con queste modalità. E si chiede: «Non poteva attendere la fine della detenzione? La sua pena si conclude nel 2022, non è tantissimo tempo, forse poteva attendere di essere fuori per rivolgersi all'Asl». Le ragioni degli agenti penitenziari sono più che condivisibili. Tuttavia la detenuta ha la legge dalla sua parte. Se alla reclusa è concesso di cambiare sesso a spese dello Stato, il merito è del decreto legislativo numero 123 del 2 ottobre 2018, intitolato «Disposizioni per riforma dell'assistenza sanitaria in ambito penitenziario». A firmarlo è stato il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. L'articolo 1 comma 10 del suddetto decreto recita: «Ai detenuti e agli internati che, al momento della custodia cautelare in carcere o dell'esecuzione dell'ordine di carcerazione, abbiano in corso un programma terapeutico ai fini di cui alla legge 14 aprile 1982, n. 164, sono assicurati la prosecuzione del programma e il necessario supporto psicologico». La legge 164 del 1982 è quella che contiene la «norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso». In buona sostanza, i detenuti che hanno iniziato un percorso per il cambiamento di sesso è garantita per legge la prosecuzione delle terapie. Se debbano essere loro a pagarle o l'Asl competente dipende dall'orientamento delle varie regioni, e a quanto pare alla detenuta di Pontedecimo è andata molto bene, visto che sarà l'azienda sanitaria pubblica a pagare tutto. Qui però sorgono almeno due interrogativi. Il primo riguarda lo specifico della vicenda. La legge infatti garantisce la prosecuzione delle terapie a coloro che hanno già intrapreso il percorso di transizione e poi finiscono in custodia cautelare. Nel caso della detenuta di Genova, tuttavia, sembra che il percorso sia iniziato proprio all'interno della casa circondariale (se non in Liguria, a Torino). Dunque si tratterebbe di una bella novità. In più c'è l'annosa questione riguardante il cambio di sesso più in generale. Come noto, il 25 maggio 2019 la World Health Assembly, l'organo direttivo dell'Organizzazione mondiale della sanità che rappresenta i 194 stati membri, ha votato a favore di nuove linee guida diagnostiche che «non definiscono più la non-conformità di genere come un “disordine mentale"». Insomma, chi vuole cambiare sesso non presenta più una patologia. Il punto è esattamente questo: se una persona non è malata, perché i contribuenti devono pagarle le cure? <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-cambio-di-sesso-della-detenuta-a-carico-dello-stato-2639941778.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="mio-padre-mi-disse-divento-donna-quel-giorno-lho-perso-per-sempre" data-post-id="2639941778" data-published-at="1758178651" data-use-pagination="False"> «Mio padre mi disse: divento donna. Quel giorno l’ho perso per sempre» Le «nuove famiglie» con soggetti che hanno sperimentato il cambiamento di sesso: questo è il traguardo di civiltà che politici come Monica Cirinnà (che rideva fragorosamente al richiamo di Salvini alle famiglie con padre e madre) ci indicano come obbligatorio. Ma cosa accade quando il traguardo viene raggiunto? Cosa viene dopo l'happy end? La scrittrice Denise Shick porta la sua testimonianza e quella di altri figli di trans. Membro del consiglio accademico dell'International Children Rights Institute, autrice di libri come Il segreto del mio papà, Quando la speranza sempre persa e Capire la confusione di genere la Shick è soprattutto una ex-adolescente cresciuta con un padre che a un certo punto ha chiesto di essere considerato come donna. La sua è quel tipo di esperienza che gli entusiasti cantori delle nuove famiglie e dell'indefinito numero di generi non vorrebbe farti ascoltare. Eppure è difficile tacciare di omofobia quella che è la narrazione di un vissuto concreto. La Shick non usa mezzi termini quando parla di quel vissuto, ad esempio nell'articolo pubblicato su The Federalist e intitolato: «Quando gli adulti come Caitlyn Jenner perseguono fantasie genitoriali transgender, i bambini soffrono». L'autrice si riferisce a Bruce Jenner, ex campione di atletica transitato in Caitilyn, che a un certo punto è diventato anche un campione mediatico della prolificità in versione arcobaleno. Jenner infatti ha sei figli biologici e quattro figli acquisiti, ma non si sente ancora soddisfatto perché dichiara che non ha «mai avuto la possibilità di crescere un bambino nel ruolo di madre» che ha sempre sognato. Denise si chiede: siamo sicuri che i sogni di alcuni adulti non si trasformino in incubi per i bambini? Altre coppie trans, come quella di Precious e Myles Brady Davis, vengono esaltate dai media e i loro esempi vengono definiti «ispiranti», secondo una espressione petalosa in voga nell'ambiente che combatte per i «nuovi diritti». Ma Denise Shick ha comparato le sue esperienze familiari con quelle di molti altri figli di genitori trans e ha sottolineato che spesso ai bambini viene imposto di accettare stoicamente la nuova identità dei genitori e le esperienze spiacevoli che portano caos nella loro vita. I casi citati non sono pochi: un adolescente di 16 anni dichiara di essersi sentito rifiutato dal padre perché non era d'accordo con la sua scelta. Un'altra ragazza giovanissima ha confidato a Denise il suo disagio quando il padre voleva giocare con lei vestito da donna: «Voglio che mio padre sia mio padre, non una ragazza», ha protestato. Alcuni padri in transizione inviano lettere ai figli adolescenti chiedendo di concordare con la scelta compiuta. Quando i figli esprimono disapprovazione spesso la rottura assume tinte forti. Scrive la Shick: «La pressione ad accettare il genitore in transizione può generare rabbia, paura e ansia, nonché solitudine e sentimenti di abbandono. A volte il dolore prolungato e irrisolto dei bambini porta a depressione, disturbi alimentari o abuso di sostanze». L'autrice aggiunge: «So come si sentono questi bambini». Suo padre dichiarò di considerare i figli avuti da maschio come se fossero un errore. In famiglia si instaurò un clima di litigiosità a volte anche ridicolo: come quando il padre di nascosto sottraeva la biancheria intima alla figlia per farla propria. Nei suoi colloqui la Shick ha imparato che quelle situazioni non erano uniche, ma al contrario decisamente diffuse: «Quando gli adulti perseguono fantasie transgender, i bambini soffrono» è il suo punto di vista. Si possono ancora prendere in considerazione queste testimonianze oppure, in nome del politicamente corretto, debbono essere catalogate come omofobe o addirittura sanzionate ai sensi di norme come quelle sulla «omotransnegatività»?
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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