2019-07-06
Il calo dello spread ennesima conferma. Conta solo la Bce, non cosa fa il governo
Con l'azione degli ultimi sette giorni il differenziale è calato a 200. Ma sei mesi di quasi mancati acquisti di Btp sono stati durissimi.Smaltita la soddisfazione per la mancata procedura, l'esecutivo si rimetta in moto con un mix di salari più alti, sgravi fiscali e strumenti come i minibot per favorire la spesa pubblica. Altrimenti il deficit al 2% ci strozzerà.Lo speciale contiene due articoli.La narrazione di questi mesi sul costo del debito pubblico è riassunta perfettamente in un titolo del Sole 24 Ore di alcuni giorni fa: «L'effetto Draghi batte l'incertezza politica, tassi giù in Italia». Che tradotto significa più o meno questo: se il costo del nostro debito sale la colpa è di Matteo Salvini mentre se scende il merito è di Mario Draghi.Ora, sia chiaro, che una Banca centrale abbia l'indubbia capacità di far scendere - se necessario - i tassi di interesse lo scriviamo da sempre, non fosse altro che quello è il suo mestiere. Francoforte governa i tassi di interesse così come un falegname lavora il legno. Ed infatti in sette giorni il differenziale dei tassi di rendimento fra i nostri Btp a 10 anni e gli omologhi bund tedeschi (lo spread) è sceso di addirittura 50 punti sfondando il pavimento di 200 punti. Rimane da capire se la responsabilità di una Banca centrale possa essere estesa o meno anche all'aumento dei tassi. La storia recente sembra a prima vista confermare la narrazione del Sole. Quando nel novembre 2011 Mario Monti sale al governo del Paese lo spread oscillava intorno a 570 punti base. Più o meno la stessa cifra di sette mesi dopo. Le lacrime della ministra Elsa Fornero ed il sangue degli italiani (con l'innalzamento dell'età pensionabile e l'aumento dell'Imu) non erano cioè serviti a placare la volatilità sui nostri titoli, tanto che solo l'intervento di Mario Draghi col suo famoso «whatever it takes (faremo ciò che serve per salvare l'euro)» riuscì a indirizzare la discesa dei rendimenti. Quindi sembrerebbe effettivamente così.Guardando poi a cosa è accaduto nel primo semestre del 2019, troviamo dati che sembrerebbero ulteriormente confermare quest'apparentemente assurda tesi. L'Italia ha infatti collocato circa 197 miliardi di titoli di stato attraverso 130 emissioni. Il costo medio ponderato delle emissioni è stato pari all'1,05% circa. I dati in nostro possesso in merito al costo complessivo di tutto il debito si fermano invece a marzo 2019. Nei primi tre mesi del corrente anno questo è stato pari al 2,67% circa. Quindi il costo del nostro debito sta scendendo, come del resto documentiamo da mesi sulla Verità, dal momento che il costo delle nuove emissioni è significativamente più basso rispetto allo stock di debito in essere. Ma questa discesa del costo del debito è più o meno rapida e ripida rispetto allo scorso anno? Per rispondere a questa domanda è sufficiente dare un'occhiata a quello che è stato il costo medio ponderato delle emissioni della nostra Repubblica nel primo semestre 2018. Un valore pari allo 0,63%. Ne consegue che l'aggravio rispetto ai costi di emissione del primo semestre del 2018 è stato pari allo 0,42% vale a dire circa 825 milioni. Una cifra già ridimensionata rispetto ai 5 miliardi sparata dall'ex premier dem Paolo Gentiloni appena insediatosi questo governo. Tutta colpa di Salvini dunque se i tassi salgono e tutto merito della Bce se i tassi scendono, vista l'euforia di questi giorni sui nostri titoli di Stato, accelerata pure dalla mancata attivazione della procedura di infrazione da parte della Commissione Ue. Per puro scrupolo facciamo comunque un'ultima verifica. Una semplice formalità. Come si è comportata la Bce (per il tramite della Banca d'Italia) nell'acquistare titoli di Stato italiani? Ebbene scopriamo che Francoforte da gennaio a giugno del 2018 ha acquistato circa 22 miliardi di titoli di Stato mentre nello stesso periodo del 2019 poco meno di due miliardi. La Banca centrale ha cioè ridotto i propri acquisiti di Bot e Btp di quasi il 90%. Venendo quindi meno il primo compratore, è fin troppo chiaro che il prezzo dei titoli diminuisca e quindi - a parità di condizioni, essendo le cedole fisse - i nostri tassi aumentino e tutto sommato neanche più di tanto. Come volevasi dimostrare. È la Banca Centrale che più di ogni altro al mondo governa la struttura dei tassi: sia quando salgono sia quando scendono. Con buona pace della narrazione ufficiale.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-calo-dello-spread-ennesima-conferma-conta-solo-la-bce-non-cosa-fa-il-governo-2639098888.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ma-se-non-va-in-circolo-denaro-fresco-aver-scampato-il-cappio-ue-sara-vano" data-post-id="2639098888" data-published-at="1757794629" data-use-pagination="False"> Ma se non va in circolo denaro fresco aver scampato il cappio Ue sarà vano Esageratamente ampio è stato il plauso degli osservatori e dei mezzi di informazione per la momentanea rinuncia dei Commissari ue ad investire l'Italia della procedura di infrazione per deficit eccessivo. In realtà, il deficit non era più eccessivo (rispetto agli accordi precedenti del 2,04%) perché i conti italiani hanno presentato minori spese - principalmente per il risultato delle domande riguardanti il reddito di cittadinanza - ed entrate superiori alle previsioni precedenti Checché se ne dica, però, si tratta di notizie di cui non rallegrarsi, infatti: la massa delle entrate continua a risultare maggiore delle spese al netto degli interessi, quindi il Paese si impoverisce, il Pil non aumenta perché l'incremento di reddito continua ad essere tutto asciugato dalle tasse e dagli interessi; il mancato inizio della procedura di infrazione determina una definitiva - salvo quanto si cercherà di dire tra poco - vittoria della componente moderata del governo che ha indicato come priorità il non superamento di una determinata soglia di deficit. Il calo dello spread porterà ad una limitazione degli interessi sulle nuove emissioni di titoli, ma deriva dal favore (o, se si vuole dalla decisione, di rinviare le possibili vendite anticipate) di cui l'Italia sta godendo agli occhi degli operatori più influenti che sono i fondi speculativi americani: essi, infatti, giudicano più importante osservare le possibili conseguenze del conflitto Trump-Ue (dove l'Italia gioca una funzione pregna di sviluppi solo in parte prevedibili), invece di inseguire decimali che, come si è visto, risentono spesso di situazioni contingenti e trascurabili. I problemi dati dal mancato perfezionamento della procedura di infrazione sono di gran lunga più grandi dell'apertura formale della stessa. In teoria, infatti, l'Italia è adesso condannata a non superare il 2% nei mesi prossimi, nel 2020, negli anni a venire. Nei comparti ad alta redditività - dove l'Italia è, peraltro, messa bene, in quanto competitiva, capace di esportare e di sostituire importazioni - domanda di lavoro e salari risultano decrescenti: si osserva che l'aumento dei profitti sia, in valore assoluto, minore della diminuzione di reddito della massa degli occupati. Ciò vuol dire che il Pil, nei comparti redditizi, è, nel complesso, destinato a scendere, comunque. Invece, nei comparti a minore redditività (produzioni immateriali, servizi di cura delle persone e dell'ambiente) se mancano gli investimenti pubblici, l'unica strada sono le imprese del «terzo settore» che pagano la manodopera 500 euro al mese quando va bene. I bassi salari sono stati, da sempre, la ricetta non keynesiana per risolvere i problemi del basso reddito in quanto avrebbero dovuto trascinare i prezzi verso il basso e riavviare le produzioni. Questa tecnica non può funzionare in una società dove affitti, assicurazioni, utenze, spese condominiali e quant'altro crescono da decenni e sono destinati a farlo nel tempo. La trappola del 2% è, pertanto, insostenibile dal sistema Italia e può essere superata - allo stato delle cose - solo attraverso due strade: le componenti più politiche del governo decidono di andare oltre (per il quadro analitico anzidetto, riduzione della pressione fiscale e aumento dei salari - e, almeno, della paga oraria minima - sono assolutamente necessari); inserimento nel circuito economico di moneta non a debito ad emissione pubblica (si dovrebbe riprendere la proposta dei minibot - o qualsiasi altra forma similare - ed utilizzarla per spese pubbliche senza aumento del deficit perché tali strumenti avrebbero lo stesso segno algebrico delle tasse, si sommerebbero ad esse e contribuirebbero a pareggiare la differenza tra spese ed entrate). I minibot - in forma cartacea ed elettronica - potrebbero circolare soltanto in Italia (quindi non rientrerebbero nella valuta regolata dal Trattato di Lisbona); la loro contabilizzazione non avverrebbe «a partita doppia» (come per la moneta a debito delle banche centrali o il credito bancario) non necessitando, essi, di «copertura» o di formare una passività in vista della loro conversione in euro. Si tratterebbe, quindi, di effetti senza sottostante che, accettati negli scambi ordinari tra tutti gli operatori, allevierebbero la fame profonda di liquidità che caratterizza l'economia reale (al contrario di quella finanziaria che ne dispone illimitatamente grazie all'azione delle banche centrali in tal senso). Si tratterebbe di una moneta «cattiva» a più rapida circolazione (meno desiderata per scopi di risparmio) e ciò, paradossalmente, rafforzerebbe l'euro nella sua duplice funzione di moneta internazionale e di riserva del valore. La trappola del 2% - senza intraprendere almeno una delle due strade indicate - trasformerebbe l'attuale governo in una sorta di governo «tecnicoide»; in tal caso, non solo il declino e la crisi del Paese si aggraverebbero, ma presto se ne avvertirebbero le conseguenze politiche, perché l'effettiva riduzione delle tasse risulterebbe trascurabile. Per ottenere un'adeguata riduzione delle stesse (senza deprimere ancora di più i servizi pubblici essenziali) occorre quindi pensare di introdurre una moneta parallela, una sorta di «statonote» che niente ha a che vedere con le banconote in euro di cui parlano Draghi e i Trattati.