In Italia ci sono almeno 50.000 minori allontanati dalle famiglie e altri 100.000 destinati ai servizi sociali, per un giro d'affari totale in grado di fare gola a molti. Ma c'è una mancanza assoluta di trasparenza e si calcola che la cifra possa anche superare i 6 miliardi.Quattro miliardi e mezzo di euro, spesi ogni anno, possono giustificare almeno un vago sospetto sul fenomeno dell'affido familiare? Possono bastare quei 12 milioni di euro pagati dagli enti locali ogni giorno che Dio manda in terra (domeniche comprese) per dare senso e forza alla crescente richiesta di trasparenza su uno dei più opachi settori della spesa pubblica? E che cosa farà e dirà la politica, se poi si aggiunge che questa stima del più cinico business italiano è molto prudente, perché in realtà la cifra potrebbe anche superare i sei miliardi? Sull'onda dello scandalo scoppiato alla fine di giugno a Bibbiano, il piccolo Comune emiliano oggetto dall'inchiesta «Angeli e demoni» della Procura di Reggio Emilia sui bimbi «rapiti» alle famiglie dai servizi sociali, La Verità ha raccolto le stime su questo business. Da settimane, l'indagine emiliana giustamente sconvolge l'Italia, perché accende un faro su un sistema opaco, fatto di amministratori locali, assistenti sociali e psicologi che strappano bimbi e ragazzi alle loro case per assegnarli ad altre famiglie o per collocarli in centri d'affido temporaneo: e per farlo inventano abusi inesistenti, o certificano false situazioni di disagio, al solo scopo di trarne un guadagno economico o d'immagine. Ma se la piccola galleria degli orrori di Bibbiano agita le coscienze, la colossale dimensione del business valutato dalla Verità non può che indignare.Per intenderci, si tratta di cifre almeno equivalenti alla spesa che l'Italia impegna per l'accoglienza degli immigrati, compresi il soccorso in mare, la sanità e l'istruzione: 4,3 miliardi di euro nel Documento economia e finanza 2017, saliti a 4,7 nel 2018. «Nel settore minorile», spiega Francesco Morcavallo, «bisogna dividere il flusso di denaro pubblico almeno in due parti: quella relativa ai bambini presunti maltrattati, portati via dai servizi sociali e collocati in ambito extra-familiare; e quella dei bambini che invece restano a casa, ma vengono affidati ai servizi sociali». Morcavallo, che dal 2009 al 2013 è stato giudice del Tribunale dei minori a Bologna, ha combattuto una dura battaglia contro quel che vedeva attorno a sé: falsi abusi strumentalizzati, proprio come a Bibbiano, e illeciti, e conflitti d'interesse. Si è scontrato con un muro di gomma e per il disgusto ha lasciato la toga. Ora fa l'avvocato, ma resta una delle voci più indipendenti e competenti sulla materia.Secondo i suoi calcoli la prima voce, quella degli allontanamenti nelle case famiglia, oggi coinvolge almeno 50.000 bambini: «Nel 2011, in base a stime ministeriali, erano 40.000», dice Morcavallo, «ma le collocazioni erano e sono in aumento, così un numero di 50.000 è più che prudenziale». Le rette vanno da 70 a 400 euro al giorno, a seconda delle terapie mediche e psicologiche somministrate. Ipotizzando una media realistica di 200 euro, si arriva a 73.000 euro annui per ogni piccolo «recluso». Moltiplicando gli euro per il numero delle teste, il totale supererebbe i 3,6 miliardi. Però, dopo mesi trascorsi nelle strutture, molti minori vengono collocati presso famiglie affidatarie, che dagli enti locali ottengono cifre inferiori: da 400 a 700 euro al mese (anche se a Bibbiano si è scoperto che certe coppie percepivano il doppio). Così, per prudenza, riduciamo la stima di più della metà, a 1,5 miliardi di euro. La seconda voce, quella dei minori che vengono affidati ai servizi sociali ma restano comunque con i genitori, riguarda un numero di casi molto più elevato: sono all'incirca 100.000. «Ciascun bambino affidato», spiega Morcavallo, «viene però sottoposto a percorsi di diagnosi e terapia psicologica, e spesso deve frequentare centri diurni o servizi di educativa domiciliare». I servizi sociali spesso impongono anche un sostegno scolastico, o la correzione di presunti disturbi dell'apprendimento. Poi ci sono le decine di migliaia di diagnosi e terapie svolte sulla fumosa categoria dell'«idoneità genitoriale». Ognuno di questi servizi, ovviamente, ha un prezzo che viene pagato dagli enti locali a cooperative e onlus. «Per ogni minore», stima Morcavallo, «tra fondi a strutture convenzionate e compensi agli enti privati cui vengono esternalizzati i servizi di assistenza, ogni giorno si spende almeno quanto viene dato a una casa famiglia. Considerando che ciascun minore di solito è sottoposto a più di un percorso, il flusso complessivo di denaro va stimato in altri 3 miliardi di euro all'anno».Ma è possibile che ci si debba affidare a stime, e che non esista una vera contabilità? «Io continuo a chiedere a Comuni e Regioni», spiega un altro grande esperto della materia, Cristina Franceschini, avvocato veronese e fondatore della onlus Finalmente liberi, «ma nessuno riesce a dire quanto costino i minori affidati, non c'è alcuna rendicontazione». Lo Stato paga, insomma, però non sa né quanto, né per che cosa. E almeno 4,5 miliardi, ogni anno, vanno ad alimentare un mercato che nessuno riesce minimamente a controllare. Il business in realtà è ancora più ampio, perché ci sono altre voci, non incluse nel calcolo. L'avvocato Franceschini ne ricorda una: «Gli incontri agevolati in spazio neutro tra genitori e minori sottratti costano da 50 a 70 euro orari, quasi sempre appaltati dai Comuni a cooperative». Quanti incontri avvengono? Mistero. Ma ogni anno sono decine di migliaia.Il mercato è così ricco da attrarre una vera galassia di operatori, in continua espansione. Sono cooperative, ma anche comunità socio-educative, centri psicologici e d'ascolto, centri per l'accoglienza: nel 2014 le strutture erano 3.192, nel 2015 erano salite a 3.352. Quante siano oggi, come al solito, non si sa.Che ci siano operatori corretti, con psicologi onesti, e case famiglia impeccabili, nessuno lo mette in dubbio. Ma è evidente che un business da almeno 4,5 miliardi fa gola e la sottrazione dei minori provoca troppi illeciti. Per questo servono regole. Serve trasparenza. Anche perché è un business sulla pelle dei bimbi.Viene in mente Salvatore Buzzi, il cooperativista rosso in affari con tutte le giunte romane, il businessman dell'accoglienza che in una telefonata intercettata e finita agli atti dell'inchiesta Mafia Capitale sghignazzava: «Ma tu c'hai idea de quanto ce guadagno sull'immigrati? Er traffico de droga rende meno». Era il dicembre 2014: allora in pochi se n'erano resi conto, ma da lì si sarebbe cominciato a scavare, per scoprire che l'emergenza immigrazione ogni anno frutta miliardi a migliaia di cooperative e onlus farlocche e a troppi «furbetti dell'alberghino». Cinque anni fa iniziava a emergere il marcio sistema dello sfruttamento dei migranti, cinicamente creato a tavolino proprio da chi si erge a difesa della «libera accoglienza».Ecco, oggi forse non c'è ancora l'evidenza dell'intercettazione di un Buzzi degli affidi familiari. Ma anche grazie allo scandalo di Bibbiano qualcosa può muoversi. Ed è forse proprio per questo se, tranne La Verità e Panorama, non ne parla quasi nessuno.
Lirio Abbata (Ansa)
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(Stellantis)
Nel 2026 il marchio tornerà a competere nella massima categoria rally, dopo oltre 30 anni di assenza, con la Ypsilon Rally2 HF. La storia dei trionfi del passato dalla Fulvia Coupé alla Stratos alla Delta.
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Lo ha annunciato uno dei protagonisti degli anni d'oro della casa di Chivasso, Miki Biasion, assieme al ceo Luca Napolitano e al direttore sportivo Eugenio Franzetti: la Lancia, assente dal 1992 dalla massima categoria rallystica, tornerà protagonista nel campionato Wrc con la Ypsilon Rally2 HF. La gara d'esordio sarà il mitico rally di Monte Carlo, in programma dal 22 al 26 gennaio 2026.
Lancia è stata per oltre quarant’anni sinonimo di vittoria nei mondiali di Rally. Un dominio quasi senza rivali, partito all’inizio degli anni Cinquanta e terminato con il ritiro dalle competizioni all’inizio degli anni Novanta.
Nel primo dopoguerra, la casa di Chivasso era presente praticamente in tutte le competizioni nelle diverse specialità: Formula 1, Targa Florio, Mille Miglia e Carrera. All’inizio degli anni ’50 la Lancia cominciò l’avventura nel circo dei Rally con l’Aurelia B20, che nel 1954 vinse il rally dell’Acropoli con il pilota francese Louis Chiron, successo replicato quattro anni più tardi a Monte Carlo, dove al volante dell’Aurelia trionfò l’ex pilota di formula 1 Gigi Villoresi.
I successi portarono alla costituzione della squadra corse dedicata ai rally, fondata da Cesare Fiorio nel 1960 e caratterizzata dalla sigla HF (High Fidelity, dove «Fidelity» stava alla fedeltà al marchio), il cui logo era un elefantino stilizzato. Alla fine degli anni ’60 iniziarono i grandi successi con la Fulvia Coupè HF guidata da Sandro Munari, che nel 1967 ottenne la prima vittoria al Tour de Corse. Nato ufficialmente nel 1970, il Mondiale rally vide da subito la Lancia come una delle marche protagoniste. Il trionfo arrivò sempre con la Fulvia 1.6 Coupé HF grazie al trio Munari-Lampinen-Ballestrieri nel Mondiale 1972.
L’anno successivo fu presentata la Lancia Stratos, pensata specificamente per i rallye, la prima non derivata da vetture di serie con la Lancia entrata nel gruppo Fiat, sotto il cui cofano posteriore ruggiva un motore 6 cilindri derivato da quello della Ferrari Dino. Dopo un esordio difficile, la nuova Lancia esplose, tanto da essere definita la «bestia da battere» dagli avversari. Vinse tre mondiali di fila nel 1974, 1975 e 1976 con Munari ancora protagonista assieme ai navigatori Mannucci e Maiga.
A cavallo tra i due decenni ’70 e ’80 la dirigenza sportiva Fiat decise per un momentaneo disimpegno di Lancia nei Rally, la cui vettura di punta del gruppo era all’epoca la 131 Abarth Rally.
Nel 1982 fu la volta di una vettura nuova con il marchio dell’elefantino, la 037, con la quale Lancia tornò a trionfare dopo il ritiro della casa madre Fiat dalle corse. Con Walter Röhrl e Markku Alèn la 037 vinse il Mondiale marche del 1983 contro le più potenti Audi Quattro a trazione integrale.
Ma la Lancia che in assoluto vinse di più fu la Delta, che esordì nel 1985 nella versione speciale S4 sovralimentata (S) a trazione integrale (4) pilotata dalle coppie Toivonen-Wilson e Alen-Kivimaki. Proprio durante quella stagione, la S4 fu protagonista di un drammatico incidente dove morì Henri Toivonen assieme al navigatore Sergio Cresto durante il Tour de Corse. Per una questione di giustizia sportiva il titolo piloti fu tolto alla Lancia alla fine della stagione a favore di Peugeot, che era stata accusata di aver modificato irregolarmente le sue 205 Gti.
L’anno successivo esordì la Delta HF 4WD, che non ebbe rivali con le nuove regole del gruppo A: fu un dominio assoluto anche per gli anni successivi, dove la Delta, poi diventata HF Integrale, conquistò 6 mondiali di fila dal 1987 al 1992 con Juha Kankkunen e Miki Biasion. Lancia si ritirò ufficialmente dal mondo dei rally nel 1991 L’ultimo mondiale fu vinto l’anno successivo dal Jolly Club, una scuderia privata appoggiata dalla casa di Chivasso.
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