
Dopo lo sforamento di 1,1 miliardi in finanziaria, la crisi della Pop Bari costringe il governo a trovare altre risorse. Un incubo per i giallorossi, che infilano un errore dietro l'altro. Ma il leghista Massimo Garavaglia tende la mano: «Scorporate il Milleproroghe».Chat e messaggini whatsapp roventi da ieri mattina, nel circuito che unisce governo, maggioranza e funzionari dello Stato, dopo l'uscita sulla Verità dell'articolo di Giorgio Gandola sulla notte magica di Luigi Carbone, capo di gabinetto al Mef, impegnato in una memorabile performance musicale alle tastiere nelle ore decisive per la chiusura della manovra. Ma a preoccupare i giallorossi non è solo questa ennesima figuraccia: l'ansia riguarda soprattutto il fatto che i conti non tornano. Come sempre La Verità ha spiegato ieri, ci sarebbe uno sforamento complessivo di 1,1 miliardi nella manovra. Fonti della maggioranza - che ovviamente chiedono l'anonimato - non osano più nemmeno negare: si limitano a ridimensionare le cifre, a sostenere che il buco sia decisamente inferiore.Purtroppo per loro, però, si è aggiunto il caso della Popolare di Bari, che va risolto prima di domani, prima cioè che la riapertura dei mercati generi ulteriore panico. E anche lì servirà un altro miliardo: quindi, in un modo o nell'altro - dentro o fuori manovra - Roberto Gualtieri è chiamato a trovarne circa 2.Inutile girarci intorno. La gestione della manovra è stata catastrofica sia nei tempi che nei contenuti. Nei tempi, per lo slittamento determinato dalle liti continue. Diversamente dall'anno scorso, quest'anno non si può nemmeno invocare come scusante la difficoltà di interlocuzione con Bruxelles: sono stati i giallorossi a impantanarsi da soli, di fatto impedendo alla Camera di poter toccare palla sulla manovra (che è tuttora ingolfata al Senato). Ma la catastrofe è anche nei contenuti, e non solo per le tasse, ma per le toppe inserite qua e là, per i microinterventi quasi da fine legislatura che hanno preso il sopravvento. Si potrebbe dire che, incorporando il Milleproroghe, la manovra si sia essa stessa trasformata in un Milleproroghe: un patchwork senza progetto e senza strategia. Interpellato dalla Verità, il leghista Massimo Garavaglia, già viceministro al Mef, oppositore duro dei giallorossi, centra il punto: «Non hanno avuto tenuta nella discussione parlamentare. Va bene, le notti della manovra sono faticose, ma proprio per questo dovevano essere ancora più attenti. Anzi, di solito, è il governo che approfitta della fatica generale per indurre le opposizioni a commettere errori. Qui è accaduto il contrario».Chiediamo a Garavaglia, a proposito degli emendamenti che rischiano di far saltare il banco, come sia andata - a suo avviso - l'interlocuzione tra governo e Ragioneria generale dello Stato. E anche qui Garavaglia fa l'ipotesi più realistica: «È da ritenere che governo e maggioranza non abbiano ascoltato la Ragioneria. Di solito, quando c'è un emendamento dubbio, nel senso che può generare più spesa, lo si accantona, si fanno le verifiche del caso, si procede alle quantificazioni, ed eventualmente si ragiona su dove prendere le risorse». In effetti, la sensazione è che la gestione caotica dei giallorossi sia arrivata al punto di dimenticare perfino queste regole elementari. E ora che si fa? Come rimediare al caos? Ricordiamo che la manovra è in Aula al Senato, domani ci saranno le repliche dei relatori (di maggioranza e di minoranza), poi il maxiemendamento, e la richiesta della fiducia. Dopo di che, tutto andrà alla Camera senza possibilità di apportare alcuna modifica, visto che ogni eventuale cambiamento richiederebbe un ulteriore passaggio al Senato (precluso dal calendario, visto che occorre approvare tutto entro il 31 dicembre).Nel quadro della proposta lanciata ieri da Matteo Salvini per una chiusura ordinata della legislatura, è ancora Massimo Garavaglia, dall'opposizione, a offrire una soluzione tecnica ragionevole ai suoi avversari, almeno per evitare lo sfascio: «Scorporino il Milleproroghe, lo tengano come decreto a latere, e lo usino come strumento per correggere gli errori». In sostanza, se il governo accettasse questa mano tesa per uscire dalla palude, i giallorossi dovrebbero ammettere con trasparenza di aver sbagliato, chiedere a tutti i gruppi l'accordo per uno stralcio, separare il Milleproroghe, e tenerlo come veicolo autonomo utile a emendare una manovra resa altrimenti immodificabile dai ritardi accumulati. Se ci fosse buon senso, la maggioranza dovrebbe cogliere questa palla al balzo, evitando sia di negare l'evidenza, sia di cucinare improbabili decreti ulteriori e ad hoc, che porrebbero in grande imbarazzo anche il presidente della Repubblica, che sarebbe costretto - a quel punto - a scegliere se dare copertura ai pasticci del governo. Per il momento, però, Giuseppe Conte è in piena denial strategy: nega problemi, parla d'altro, rivendica successi, e si lancia in immaginari piani di spesa: «Da qui al 2023 mi piacerebbe lanciare un patto sulla salute e sforare o sfiorare i 10 miliardi di investimenti». Sarà. Ma intanto sarebbe interesse in primo luogo di Roberto Gualtieri uscire dignitosamente da questo vicolo cieco. A meno di porsi sulla linea musicale del suo capo di gabinetto, cosa che gli sarebbe per alcuni versi congeniale. Purtroppo (o per fortuna, a seconda dei punti di vista) non ci sono video a testimoniare la cosa, ma Gualtieri non sarebbe solo un chitarrista (ormai stracult il clip della sua versione acustica di Bella ciao, con tanto di espressione concentrata e assorta): chi lo conosce riferisce pure - leggenda o realtà? - di sue presunte performance da ballerino, in particolare danze brasiliane e latinoamericane. Chissà se a via XX Settembre, sede del Mef, allestiranno locali adatti per tenersi in esercizio nel periodo natalizio.
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