
Il vèrmut fu inventato a Torino dal giovane erborista Antonio Benedetto Carpano aromatizzando il moscato con artemisia e spezie amaricanti.1786. A Torino, nella pasticceria-liquoreria di monsù Marendazzo in piazza delle Fiere, oggi piazza Castello, nasce il vèrmut. Mancano tre anni alla rivoluzione francese, ma le idee illuministiche lacerano ogni anno che passa il tessuto consunto della codina società aristocratica. In Toscana l'illuminato granduca Pietro Leopoldo abolisce la tortura e la pena di morte. In Germania Friedrich Schiller pubblica l'Inno alla gioia che, ripreso e musicato da Ludwig van Beethoven nella Nona sinfonia, diventerà l'inno d'Europa. Al Burgtheater di Vienna Wolfgang Amadeus Mozart mette in scena Le nozze di Figaro. L'8 agosto nasce l'alpinismo moderno: i savoiardi Jacques Balmat e Michel Gabriel Paccard conquistano il Monte Bianco. Il 4 settembre Wolfgang von Goethe parte da Karlsbad per il suo viaggio in Italia, anticipando quei milioni e milioni di connazionali che, dopo di lui, caleranno dal Brennero in cerca d'arte, di sole, di buon cibo e ottimo vino. Suo grande ammiratore è il papà del vèrmut, il giovanissimo erborista vercellese Antonio Benedetto Carpano, 21 anni, distillatore di bottega di Marendazzo. Il geniale Carpano crea il vino liquoroso aromatizzando il moscato con l'artemisia, soprattutto, e con altre erbe, radici e spezie amaricanti, fiori e bucce di agrumi. Il vèrmut, destinato a scorrere a fiumi nei calici, nei mixing glass, nei tumbler e negli shaker dei barman di tutto il mondo, ha un successo immediato. Piace al popolo che riempie il locale di Marendazzo, è molto gradito a Vittorio Amedeo III, il Savoia sul trono in quel tempo, e piace agli inglesi ai quali non par vero di trovare - oltre al porto e al marsala - un altro vino forte da sostituire ai cognac e agli armagnac francesi.A Torino diventa subito il vino ideale per preparare lo stomaco al pasto. Tanto che, nel capoluogo piemontese, il momento dell'aperitivo diventa, sulla bocca di tutti, «l'ora del vèrmut». Ecco come ne parla Edmondo De Amicis un centinaio d'anni dopo: «Come Parigi ha l'ora dell'assenzio, Torino ha l'ora del vèrmut, l'ora in cui la sua faccia si colora e il suo sangue circola più rapido e più caldo. Allora le scuole riversano per le strade nuvoli di ragazzi, dagli opifici escono turbe di operai, i tranvai passano stipati di gente, le botteghe dei liquorosi s'affollano».Qual è la grafia esatta del vèrmut? A battezzarlo così fu lo stesso Carpano che lo dedusse dal germanico «wermut», termine con il quale i tedeschi indicano l'artemisia maggiore (Artemisia absinthium). La Treccani pretende che si scriva all'italiana e si ponga l'accento sulla «e»: «vèrmut», appunto. Lo esige anche il ministero delle Politiche agricole che gli ha conferito il titolo di Pat, prodotto agroalimentare tradizionale piemontese. A cercare il pelo nell'uovo, nel vocabolario piemontese-italiano troviamo «vèrmot». I francesi, aggiungendo una «o» lo fecero diventare «vermout». Gli inglesi, che vogliono avere sempre l'ultima parola, aggiunsero l'acca finale: «vermouth». I toscani, che impararono ad apprezzarlo non appena i loro rappresentanti (Bettino Ricasoli, Ubaldino Peruzzi, Tommaso Corsi...) misero piede nella prima capitale d'Italia, lo italianizzarono: «vermutte», parola finita anche nei dizionari dei puristi. Ci sono, infine, gli appassionati che ordinando «un vermuttino, prego», se lo coccolano al bar. Un guazzabuglio linguistico? Sì, però testimonia l'internazionalità del vèrmut.A moltiplicarne la fama per mille ci voleva la penna di un bevitore trascendentale, Ernest Hemingway. In Addio alle armi Mr. Papa, ricoverato in ospedale, manda a chiamare il portiere. «Quando venne gli dissi in italiano di comprarmi una bottiglia di Cinzano e un fiasco di Chianti alla bottiglieria e i giornali della sera. Se ne andò e me li portò avvolti nel giornale, li scartò e, quando glielo chiesi, tolse i tappi e mise il vino e il vermut sotto il letto». È vero che Hemingway pretendeva un Martini dry secco come il deserto del Kalahari esagerando la dose di gin, ma è altrettanto vero che senza il vèrmut il leggendario cocktail non sarebbe nato. E così il Manhattan, altra celebre bevanda miscelata creata da un barman newyorchese alla fine dell'Ottocento, nella quale il vèrmut è componente essenziale. Sulle dosi per un Martini dry la pensava come Hemingway il poeta a stelle e strisce Ogden Nash: «There is something about a Martini, / a tingle remarkably pleasant... / it is not the vermouth / I think that perhaps it's the gin» («C'è qualcosa in un Martini, un formicolio straordinariamente piacevole... Non è il vermouth, penso che forse è il gin).Nell'ultimo quarto del secolo scorso il vèrmut conosce una forte parabola discendente che continua nel primo decennio del nuovo millennio. I vermuttieri diminuiscono e anche i grandi produttori conoscono la crisi. Ma il vino aromatizzato creato dal giovane Carpano, che con il vèrmut fondò una dinastia, risorge come l'araba fenice. Merito degli appassionati del bere miscelato, di giovani distillatori, di aziende liquoristiche che puntano decisamente alla qualità e di imprenditori capaci di leggere il futuro sui libri del passato. Filippo Antonelli, sangue piemontese nelle vene e albero genealogico di tutto rispetto (è pronipote di Luigi Albertini, il mitico direttore del Corriere della sera, e sua bisnonna era la figlia di Giuseppe Giacosa, drammaturgo e librettista), ha fondato un'azienda con un orecchio rivolto alle sirene Usa, ma con il cuore rivolto alla Torino del 1786. «Sono stati gli americani a risvegliare il mio sangue piemontese. Vittorio Zoppi, il socio che opera sul mercato statunitense, si è accorto che là c'è sete di vèrmut di qualità e ricco di storia. E non solo per miscelarlo. Gli americani hanno scoperto quanto è buono berlo anche da solo. Siccome il 75% di vèrmut è fatto di vino, che è il mio campo, ho dato vita con Vittorio all'azienda Antica Torino. Produciamo vèrmut secondo l'antica formula di Carpano con uve - cortese e chardonnay - piemontesi. Anche l'artemisia è piemontese. Sono 13 le piante aromatiche utilizzate. Tra queste assenzio, rabarbaro e genziana, bucce di pompelmo e baccelli di vaniglia, rosmarino, alloro e timo rosso. Il colore ambrato è donato dallo zucchero di canna caramellato».Aperitivo, cocktail, dopocena; liscio o miscelato con bitter, whiskey, gin, rhum; con una goccia di angostura o una di curacao, con ghiaccio o senza, il vèrmut è ricercato prima e dopo pasto, ma anche durante come ingrediente di piatti particolari. Matteo Baronetto, chef del ristorante Del Cambio in piazza Carignano a Torino, locale dov'era solito pranzare Cavour, propone il Brodo ristretto di gallina al vèrmut. L'euro-toque Enrico Derflingher cucina il risotto Regina Vittoria (carnaroli, gambero rosso siciliano e tartufo nero) profumandolo con il vèrmut dry. Lo chef alessandrino Andrea Ribaldone, spalla televisiva di Antonella Clerici alla Prova del cuoco, ha presentato a Identità golose il tiramisù vegetale con caffè arabica infuso nel vermouth.Il merito di aver creato il vèrmut moderno va a Carpano, ma il vino aromatizzato ha radici millenarie. Gli antichi greci lo «tagliavano» nelle anfore con la resina del pino d'Aleppo, cosa che i loro discendenti fanno ancora: il retsina è un vino da tavola di una certa fama, anche tra i turisti. Pare che sia stato il medico Ippocrate (V secolo avanti Cristo) il primo a estrarre gli aromi da fiori ed erbe officinali, soprattutto artemisia e dittamo, e a trasfonderli nel vino. Almeno lo credevano i romani che chiamarono vino ippocratico quell'antico vèrmut e lo arricchirono con altri aromi, soprattutto timo, mirto e rosmarino. Plinio definisce questi vini «stomachici» perché stimolanti e digestivi. Il vino ippocratico, o ippocrasso, arriva al medioevo e va oltre sempre più arricchito di nuove sfumature e nuovi aromi. I mercanti veneziani importano dall'oriente cardamomo, cannella, chiodi di garofano, rabarbaro che entrano nel ventaglio della miscela. Sono una quarantina le erbe e le spezie amaricanti che vanno ad aggiungersi al 75% di vino prescritto dalla legge. Oltre alle già citate ci sono maggiorana, cardo santo, anice stellato, camomilla, coriandolo, finocchio, vaniglia, imperatoria, zafferano... I puristi sottolineano che il vèrmut si fa esclusivamente con vino ottenuto da uve di bacca bianca. Diventa rosso con l'aggiunta di caramello. Molto apprezzato è il vèrmut dry. Particolari tipi di vèrmut sono il Punt e Mes, una punta di dolce e mezza di amaro, e l'Americano, così chiamato non perché viene dall'America, ma per una distorsione del nome: è il vin amaricà, cioè amaro.
- Il Paese è diventato un gigante da 100 milioni di abitanti ed è in costante crescita economica. Riferimento dell'industria manifatturiera, è partner commerciale privilegiato degli Usa come alternativa a Pechino. Dal giugno 2025 è membro dei Brics e punta a crescere ancora.
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Lo speciale contiene due articoli.
Federico Cafiero De Raho (Ansa)
L’ex procuratore nazionale antimafia, sentito dai pm che indagano su Laudati e il finanziere, fa muro: «Non sapevo nulla».
Il 20 maggio 2025 Federico Cafiero De Raho, ex procuratore nazionale antimafia ora parlamentare pentastellato, varca le porte della Procura di Roma, dove è approdato il fascicolo che ricostruisce la sequenza di accessi alle banche dati ai danni di esponenti del mondo della politica, delle istituzioni e non solo. E che ha prodotto 56 capi d’imputazione per le 23 persone indagate. Un funambolico de Raho risponde alle domande del procuratore aggiunto Giuseppe Falco e della pm Giulia Guccione. Sessantadue pagine in cui l’ex procuratore nazionale antimafia ripete sempre lo stesso schema. Che in più punti appare come uno scaricabarile in piena regola. E con una trentina di chiodi (quelli piantati con i vari «non ricordo, non avevamo questa possibilità, lo escludo») tutti nella stessa direzione: la difesa della sua estraneità. Tutti utili a puntellare ogni snodo critico emerso dall’ufficio che guidava e che, nella sua narrazione, gli è passato accanto senza mai toccarlo.
(Totaleu)
Lo ha detto l'eurodeputato di Fratelli d'Italia Paolo Inselvini alla sessione plenaria di Strasburgo.
Sergio Mattarella (Ansa)
Di fatto tutti i quotidiani adottano lo stesso schema: minimizzare la vicenda e, ogni volta che un esponente di destra parla, agitare lo spettro di macchinazioni di Fdi per colpire Sergio Mattarella su mandato di Giorgia Meloni.
Non sarà «provvidenziale», ma lo scossone c’è stato. È quel 60% di italiani che non è andato a votare, e il presidente della Repubblica certo ha preso buona nota. Ieri era a Lecce - con Michele Emiliano al suo ultimo atto ad accoglierlo (e non pareva euforico) - per l’assembla annuale delle Province e ha detto un paio di frasi che suonano come un avvertimento a nuora perché suocera intenda. Sopire, troncare - come avrebbe detto il Conte zio - le turbolenze attorno all’affare Garofani, ripensando all’uscita di lunedì del presidente del Senato.





