2025-06-07
L’ideona di Schlein & Boccia. Perdere i referendum e chiedere l’addio alla Meloni
Cgil e Pd sanno che domenica sarà impossibile raggiungere il quorum e fissano soglie farlocche per la vittoria. Non hanno imparato nulla dall’esperienza di Renzi del 2016.Al voto di domenica la sinistra non corre per vincere, ma per perdere. Sia la Cgil che il Pd sanno che sarà impossibile superare il quorum previsto dal referendum e dunque abrogare le norme del Jobs act (che peraltro sono state introdotte proprio da un governo in cui il Partito democratico era maggioranza) e quelle che riguardano la cittadinanza.Ma avendo messo sin dall’inizio in conto la sconfitta, la sinistra spera di spacciare la debacle in un successo. A svelare - non sappiamo quanto volontariamente e quanto ingenuamente - l’inghippo è stato Francesco Boccia, capogruppo del Pd al Senato e plenipotenziario per conto di Elly Schlein per le trame di partito. Alla vigilia del voto, l’esponente dem ha spiegato che l’obiettivo da raggiungere non è il quorum, ma il numero di votanti. A qualcuno sembrerà la stessa cosa, ma in realtà non lo è e spiego subito perché. In Italia gli aventi diritto a mettere una crocetta sulle schede elettorali sono poco più di 51 milioni. Dunque, il quorum necessario per validare il risultato di un referendum si aggira intorno ai 26 milioni di votanti, cifra che negli ultimi 30 anni è stata raggiunta solo in un paio di occasioni, nonostante gli italiani siano stati chiamati a votare per l’abrogazione di una serie di norme una decina di volte. Gli unici successi sono quelli che riguardarono nel 1995 le concessioni televisive nazionali (e a spingere gli elettori ai seggi fu anche la campagna di Mediaset) e nel 2011 le concessioni di servizi pubblici come acqua ed energia. Tutto il resto (cioè commi inerenti la caccia, la procreazione assistita, la separazione delle carriere dei magistrati e altro) è stato un flop. Quindi, riuscire a portare alle urne la metà più uno degli aventi diritto al voto è difficile se non impossibile. E a Largo del Nazareno, quartier generale di Elly Schlein, e anche a Corso Italia, casamatta del sindacato rosso, lo sanno benissimo. Però, come dicevo, per loro non è importante vincere, bensì perdere bene, cioè raggiungere un’affluenza che legittimi l’operazione. Boccia lo ha spiegato senza troppi giri di parole. «La premier Meloni ha preso alle politiche di tre anni fa 12 milioni e 300.000 voti. Se al referendum andassero a votare 12 milioni 400.000 persone sarebbe un avviso di sfratto alla presidente del Consiglio».Al capogruppo del Pd in Senato non passa neppure per la testa che tra quegli ipotetici 12 milioni e 400.000 elettori potrebbero esserci anche alcuni milioni che voteranno No all’abrogazione delle norme proposta da Cgil e sinistra. Nella foga di trovare un sistema per contrapporsi a Giorgia Meloni, Boccia arruola anche chi si schiererà contro le modifiche alla legge sulla cittadinanza e pure coloro che rifiuteranno di cambiare le leggi sul lavoro. Votare Sì o No, per l’esponente del partito democratico, è ininfluente, perché sarà sufficiente recarsi ai seggi per vedere trasformata la propria scheda in un contributo alla causa dell’opposizione.Boccia e compagni, tuttavia, oltre a non aver capito che in questo modo danno un motivo in più per l’astensione, dimostrano di non avere imparato nulla dagli errori del passato. Infatti, anche prendendo per buona la tesi farlocca che chiunque voti lo faccia per sostenere la sinistra, e dunque la consultazione non sia un referendum sul Jobs act e sulla cittadinanza ma su Giorgia Meloni, c’è un elemento che dovrebbe far riflettere l’opposizione. Nel 2016, forte del risultato alle elezioni europee (il Pd grazie agli 80 euro regalati da Matteo Renzi raggiunse il 40 per cento) l’allora presidente del Consiglio sfidò gli italiani con la riforma costituzionale e perse. Il referendum fu bocciato, ma il Sì alla legge Boschi ottenne il 40 per cento, 12 o 13 milioni di voti. Il premier fu costretto alle dimissioni, perché le aveva promesse, ma si convinse di avere un suo patrimonio di voti che rappresentava circa quattro italiani su dieci. Renzi provò a portare gli italiani subito al voto, ma incontrò la resistenza di Mattarella e un anno e mezzo dopo, quando ci riuscì, il Pd prese il 19 per cento e il Rottamatore fu costretto, dopo quella di Palazzo Chigi, a lasciare anche la poltrona di Largo del Nazareno. Oggi il suo partito, che ha fondato a propria immagine e somiglianza, naviga intorno al 2 per cento: fatte le proporzioni un milione di preferenze o giù di lì. Non voglio dire che Boccia e compagni faranno la stessa fine, però confondere il risultato di un referendum con quello delle politiche, dove non si vota con un No o un Sì, è un errore grave. Così come scambiare una sconfitta per un successo.
Chuck Schumer (Getty Images)