2025-04-22
«Ictus e collasso cardiocircolatorio». Così è terminata la passione del Papa
Bergoglio ieri si era svegliato alle 6 come sempre. Poi il malore, il coma e il decesso alle 7.35. Inutili i consigli dei medici, che chiedevano prudenza. Il testamento del 2022: «Seppellitemi in terra, scrivete “Franciscus”».Papa Francesco è stato colpito da ictus cerebrale che l’ha fatto sprofondare in un coma irreversibile ed è morto per un collasso cardiocircolatorio alle 7.35 di ieri, dopo essersi svegliato alle 6 come sempre. A spiegare la causa del decesso è stato il certificato del direttore della direzione Sanità e igiene del Vaticano, Andrea Arcangeli. È stato diramato anche il testamento del Papa, redatto il 29 giugno 2022, dove Bergoglio chiede di essere sepolto nella basilica di Santa Maria Maggiore: «Il sepolcro «deve essere nella terra; semplice, senza particolare decoro e con l’unica iscrizione: Franciscus».Il Pontefice era fortemente provato, per il lungo ricovero al Gemelli e i numerosi impegni a cui non aveva voluto rinunciare malgrado le raccomandazioni mediche. Bergoglio entra in ospedale lo scorso 14 febbraio in seguito a un’infezione polimicrobica alle vie respiratorie, che si era trasformata in polmonite bilaterale. Soffre anche di bronchiectasie e bronchite asmatiforme. Per due volte è in pericolo di vita, con episodi di insufficienza respiratoria acuta che richiedono ossigeno e trasfusioni. Dopo 38 giorni di degenza, il 23 marzo i «medici lo dimettono prescrivendo riposo e una convalescenza di due mesi e sconsigliano incontri con gruppi e grandi sforzi», fa sapere il professor Sergio Alfieri, coordinatore dell’équipe che ha curato il pontefice. Avverte che «le infezioni più gravi sono state risolte ma per l’infezione polimicrobica ci vuole tempo». È necessaria una convalescenza protetta, ma Bergoglio a Santa Marta segue la fisioterapia respiratoria e quella motoria, solo in parte le prescrizioni mediche. Troppo forte rimane il desiderio di essere vicino ai fedeli anche come presenza fisica. Invece di proseguire con il riposo e l’isolamento, fa il suo ritorno in pubblico domenica 6 aprile, durante la speciale messa per il Giubileo degli ammalati.«Buona domenica a tutti, grazie tante», aveva detto in Piazza San Pietro, la voce appena più ferma di quella con la quale aveva salutato i fedeli il 23 marzo, prima di lasciare il Gemelli, affacciato al balconcino al secondo piano del policlinico romano. Quell’immagine del Pontefice sofferente, seduto sulla sedia a rotelle e con le cannule nasali per sostenere la respirazione, eppure pronto ad avvicinarsi ai malati, a benedirli durante un breve giro del sagrato, era la conferma di una volontà fermissima. I medici lo avevano sconsigliato di avere colloqui, di stringere mani, di tornare alla decina di udienze quotidiane che erano la sua tabella di marcia. «Sarà importante limitare il numero dei contatti, per evitare che il Santo Padre venga a contatto con virus», spiegava Francesco Vaia, componente dell’Autorità garante nazionale dei diritti delle persone con disabilità. Solo i medici, gli infermieri, i collaboratori più stretti avrebbero dovuto avvicinarlo perché aveva difese immunitarie molto basse, ogni possibile infezione poteva risultare fatale. Invece Bergoglio non voleva restare lontano dai suoi impegni. Così aveva lasciato Casa Santa Marta per un bagno di folla in San Pietro, tra i fedeli che avevano bisogno di toccare con mano che il capo della Chiesa universale era tornato, dopo la malattia.Non si era limitato a questo segnale forte. Il 9 aprile aveva incontrato re Carlo III d’Inghilterra e la regina consorte, Camilla. Una visita privata, certo, però durata una ventina di minuti durante la quale né i reali né lo staff indossavano mascherine di protezione in rispetto della salute del pontefice, ancora in convalescenza e con bronchite cronica assieme ad altre comorbidità. Francesco proseguiva con la terapia farmacologica, con fisioterapia respiratoria e motoria, poteva stare «per periodi prolungati senza ossigeno», ma aveva il fisico provato dalla polmonite. Ciononostante, il 10 aprile aveva deciso di controllare il restauro dei monumenti funebri dei pontefici Paolo III e Urbano VIII ai lati della Cattedra di San Pietro, nella Basilica vaticana. Sulla carrozzina sospinta dal suo infermiere personale, Massimiliano Strappetti, con addosso una maglia di lana bianca e un singolare poncho a righe, aveva salutato i fedeli e stretto anche la mano di una delle due giovani restauratrici, scusandosi perché la sua era fredda. Avrebbe dovuto evitare ogni contatto. Il volto sempre gonfio per l’utilizzo di cortisone, i naselli per l’ossigeno agganciato alla sedia a rotelle, mostrava ancora una volta tutta la sua sofferenza. Il 17 aprile era andato nel carcere romano di Regina Coeli dove si era intrattenuto con una settantina di detenuti. Messaggi di conforto e di speranza erano state le sue parole, come sempre, ma quella visita rappresentò un grave sforzo fisico. L’ultimo incontro il Papa l’aveva avuto con il vicepresidente americano, JD Vance, la mattina di Pasqua. Pochi minuti di conversazione, un altro grande strappo al divieto di avere incontri ufficiali, dannosi per una persona anziana nelle sue condizioni. E non si era risparmiato nemmeno dopo la benedizione Urbi et Orbi che aveva impartito al termine della messa pasquale, con voce tremante, il respiro ancora più affannoso. Era sceso in piazza San Pietro per un giro con la Papa-mobile, lasciando ai fedeli la sua immagine di Papa sofferente però sempre accanto al popolo di Dio.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)