2018-12-13
I vescovi francesi si mettono il gilet giallo
Mentre la Conferenza episcopale italiana si preoccupa del Global compact e dell'accoglienza, la Chiesa d'oltralpe dimostra di aver compreso le ragioni della protesta: «Bisogna essere ciechi per non vedere la miseria che ha generato questa rabbia».I vescovi di Francia lanciano un messaggio al Paese e sono tutt'altro che indifferenti alle istanze dei gilet gialli, il movimento popolare che dal 17 novembre scorso sta attraversando la Francia. Nato come protesta rispetto al rincaro delle accise sui carburanti, in realtà quello dei gilet gialli si è rivelato un movimento di una larga parte sociale del Paese che si sente sempre più esclusa e schiacciata da un modello politico economico elitario.«Nel momento in cui scriviamo», si legge nel comunicato del Consiglio permanente della Conferenza episcopale di Francia, «il nostro Paese non è ancora emerso dalla cosiddetta crisi dei “gilet gialli": una crisi che rivela un malessere molto profondo e di vecchia data, che genera una seria sfiducia nei confronti dei leader politici». Il testo dei vescovi, rilasciato l'11 dicembre, è rivolto come un appello ai cattolici francesi e ai «nostri concittadini» ed è firmato da Georges Pontier, arcivescovo di Marsiglia e presidente della Cef, insieme ad altri dieci vescovi. La chiesa in Francia prende sul serio il grido del popolo, ripudia la violenza, ma si schiera con le istanze della protesta senza troppi giri di parole.«Bisognerebbe essere sordi o ciechi», scrivono i prelati d'Oltralpe, «per non essere consci di stanchezza, frustrazioni, a volte paure e persino rabbia, intensificati dagli attentati e dalle aggressioni, che abitano in una parte importante degli abitanti del nostro Paese e che esprimono così attese e profondi desideri di cambiamento. Sarebbe necessario essere indifferenti e insensibili per non essere toccati dalle situazioni di precarietà ed esclusione che molti vivono sul territorio nazionale».Monsignor Bernard Ginoux, vescovo di Montauban, aveva già scritto ai gilet gialli il 7 dicembre manifestando vicinanza, come riportato martedì dalla Verità. Domenica scorsa, 9 dicembre, ha indossato il gilet ed è andato in strada per incontrare un gruppo di manifestanti che si stava scaldando al fuoco di alcuni pallet. «La Chiesa deve andare a vederli, ad ascoltarli», ha dichiarato Ginoux. «Qualcuno mi dirà che sono manipolato, che questi sono degli estremisti. Ma che vengano a vedere questa miseria! Questa dice più di ogni analisi intellettuale su questo movimento». Quindi è stato chiesto al prelato se questa disconnessione tra popolo ed élite riguardi anche laChiesa. «Un secolo fa», ha risposto il pastore, «la stragrande maggioranza dei giubbotti gialli sarebbe andata a messa oggi (domenica, ndr). La Chiesa ha perso qualcosa».Nel comunicato dei vescovi si propone come interlocutore del popolo proprio la Chiesa, mostrando di provare a colmare questo fossato: «Sarebbe certamente molto dannoso se questa situazione deleteria si prolungasse. Ma ciascuno sente, più o meno confusamente, che l'uscita dalla crisi sarà difficile perché la posta in gioco è tutt'altro che congiunturale: riguarda la nostra capacità collettiva di sperare e costruire il futuro». Per questo propongono le parrocchie come laboratorio per cercare tutti insieme le risposte, per «stimolare ovunque possibile gruppi di confronto e di proposte, invitando altre persone, che condividano o meno la nostra fede, le quali possano essere interessate a partecipare e a portare le loro idee».È una Chiesa francese che parte dal basso, per nulla schiacciata, almeno a parole, dai poteri mainstream. Nella maggioranza dei comunicati dei vescovi francesi di questi giorni non c'è traccia di Global compact o di Europa unita, come, invece, avviene con sinistra insistenza alle nostre latitudini italiche, ma tanta attenzione al disagio dei cittadini e dei fedeli francesi. Le cinque domande che i vescovi offrono alla riflessione di tutti lo dimostrano: «Quali sono secondo voi», chiedono al popolo dei gilet gialli, «le cause principali dell'attuale disagio e delle forme violente che ha assunto? Cosa potrebbe consentire ai cittadini nella nostra democrazia di sentirsi maggiormente coinvolti nelle decisioni politiche? Quali luoghi o organismi intermedi potrebbero favorire questa partecipazione? Quale “bene comune" ricercato insieme potrebbe unire i nostri concittadini e orientarli verso il futuro? Quali ragioni di speranza vorreste trasmettere ai vostri figli e nipoti?».«Il nostro Paese», ha scritto François Fonlupt, vescovo di Rodez e Vabres, «sta vivendo da tre settimane un movimento sociale importante per la sua espressione e la sua grandezza. Ciò mostra una reale difficoltà, per molti di noi, a vivere decentemente e in condizioni dignitose. Esprime un sentimento profondo di ingiustizia, ma anche di disprezzo, di non considerazione». Il movimento, dice Marc Aillet, vescovo di Bayonne, «esprime la sofferenza di molti dei nostri concittadini lasciati da una società in cui il divario tra i più ricchi e i poveri si sta allargando». E mette il dito nella piaga della «sfiducia» del popolo verso i sindacati e i partiti politici, non più riconosciuti come interlocutori affidabili, così come indica il «deplorevole dissolvimento dei corpi intermedi la cui missione è di promuovere la giustizia sociale».Ecco la Francia, già «figlia prediletta della Chiesa», in cui i vescovi si mettono «in mezzo al popolo» come insegna Francesco. Evitando quei rapporti tra Chiesa e politica che, sono ancora parole del Papa in un'intervista del 2013, «convergono prima, senza il popolo, o infischiandosene del popolo». Un monito valido anche per i vescovi italiani che, invece, in questi tempi sono seduti a tavolino per la costruzione di partiti politici che sembrano nascere un po' troppo schizzinosi rispetto al popolo.