2019-05-12
I veri antifascisti avevano principi che i giustizialisti di oggi ignorano
Sono nato mentre scoppiava la Seconda guerra mondiale e ne ho conosciuti parecchi. Erano anticonformisti, coraggiosi e schivi. Il totalitarismo allora era reale: chi oggi finge di vivere sotto un regime rasenta l'assurdo.Attenzione però, ragazzi: gli antifascisti non furono tutti così paurosi e «giudiziari» come la sinistra coppia di potenti Sergio Chiamparino - Chiara Appendino. Fossero stati così, le dittature del Novecento sarebbero ancora tranquillamente in sella. Il caso Torino vs Altaforte ha fornito un'immagine dell'antifascismo (... simile in modo preoccupante allo stereotipo fascista che si dichiarava di combattere. Sono nato mentre scoppiava la Seconda guerra mondiale e quindi di antifascisti veri ne vidi diversi, da piccolo e dopo: la gran parte di loro di loro furono dignitosi, anticonformisti, molto spesso schivi e coraggiosi. Completamente diversi dagli esibizionisti amanti di manette, proibizioni e condanne che hanno calcato le scene dello spettacolo politico in questi giorni. Avevano certo personalità differenti, ma un tratto era abbastanza comune: l'amore per la libertà, la propria e quella degli altri. Per difendere la quale, per ciò che ho potuto vedere, erano pronti a mettere in campo una buona dose di audacia; infatti furono per molti anni in pochi, contro la quasi totalità delle popolazioni, autenticamente fasciste, e il potere altrettanto fascista che di loro avrebbe fatto volentieri a meno. Poi, certo ognuno aveva il suo temperamento. Tipo il partigiano monarchico Edgardo Sogno Rata del Vallino, che entra fingendosi un ufficiale tedesco nel comando delle Ss dell'Hotel Regina a Milano chiedendo che gli venga consegnato il capo della resistenza repubblicana Ferruccio Parri; ma viene scoperto e inviato in un campo di prigionia tedesca fino alla fine della guerra. Molto diverso da lui (ad esempio, tra chi conobbi) fu il profondo filosofo del diritto Renato Treves, che rientrato dall'esilio in Argentina cui era stato costretto dalle leggi razziali, formerà poi a Milano le nuove generazioni della sociologia in Italia. Erano tutti comunque in genere poco inclini al lamento, e non amavano che altri togliessero loro le castagne dal fuoco: preferivano farlo direttamente. (Tutto molto diverso dall'attuale Salone del libro di Torino, con suoi ansiosi scaricabarile!). Per lo più tutti abbastanza esperti della vita da sapere che il fuoco c'era davvero ed era compito di ognuno affrontarlo. Questa è un'altra, fondamentale differenza dalla situazione attuale: lì il totalitarismo era realmente al potere, mentre oggi il fascismo ha -come scrive lo storico Emilio Gentile, in Italia solo una «limitata attività». Presentarlo come fosse al potere è falso e chiedere che venga represso dalla giustizia assurdo e incostituzionale. La gente è stufa di rappresentanti in scadenza che chiedono la repressione di idee diverse dalle loro. Un antifascista autentico, molto diverso dai polizieschi «antifascisti» attuali, è perfettamente descritto nel recentissimo: Cavalcata anonima, a metà tra la biografia romanzata e la cronaca storica. L'autore è l'inquieto militante antifascista, antimilitarista e internazionalista Louis Mercier Vega (che è però solo uno dei suoi numerosi e per lo più falsi cognomi: quello vero era Charles Cortvrint, e dopo l'adolescenza non lo usò mai). Il non mettersi troppo in vista fu un altro tratto frequente in molti antifascisti d'antan. Anche qui, che differenza con questi ansiosi antifascisti dell'immagine e del comunicato stampa! La riservatezza fu soprattutto lo stile degli antifascisti e antimilitaristi libertari, come appunto Mercier, che combattevano le dittature, ma non avevano nessuna fiducia nei generici «fronti antifascisti» che Marianne Enckel ricorda nella prefazione del libro. Mercanzia politica che anche allora veniva allestita dalle burocrazie dei partiti tradizionali per tornare al governo e prendere dei ministeri, come fecero anche in Spagna con la Repubblica spagnola, indebolendola e provocando l'avvento del franchismo. Non che tutti gli antifascisti fossero introversi e amanti del segreto e dell'azione come Mercier. Sandro Pertini (il presidente più amato dagli italiani secondo l'agiografia politica del dopoguerra), nel 1926 per evitare un confino di cinque anni sull'Isola di Santo Stefano si fece condurre con un motoscafo in Corsica, portando con sé In Francia anche Filippo Turati, e scortare a Bastia dal filosofo Carlo Rosselli e il giovane Ferruccio Parri. Per fare colpo in Francia vennero fornite alla stampa locale informazioni sul fatto, né mancarono foto sul molo (presenti anche oggi su Internet). Peccato che quando Carlo Rosselli e Ferruccio Parri (grandi gentiluomini, ma distratti sul punto) furono di ritorno, trovassero poi al molo di Carrara la polizia che li aspettava, e venissero condannati a 10 mesi di carcere. Non un disastro, ma con meno pubblicità si poteva evitare. Il fatto è che, come dimostrano anche la brutta telenovela torinese e molti degli episodi ne La cavalcata anonima, la politica «di scena«, diversamente da quella di azione, non è mai anonima, perché è sempre in cerca di visibilità e di voti. Comprensibile ma pericoloso, anche per le idee. Sull'istante fanno colpo gesti e parole, ma la storia si nutre di emozioni profonde e ricerca di verità, e smaschera le false rappresentazioni quando meno te l'aspetti. Nel 1936 Mercier ha 20 anni e ha lasciato da un pezzo Bruxelles, dove è nato. È anarchico da quando ha 16 anni, contrario al servizio militare, e se ne è andato a Parigi col nome di Charles Ridel. È «facchino, lavapiatti, correttore di bozze, operaio, sindacalista», naturalmente libertario. Quando scoppia la guerra civile in Spagna, ci corre, assieme all'amico Charles Carpentier, di dieci anni più grande, come tanti antifascisti da tutta Europa, e dagli Stati Uniti. Mercier-Ridel è tra i fondatori del gruppo di guerriglieri libertari franco italiani Sébastien Faure della Colonna Durruti, poco amata dai partiti comunisti d'Europa e dalle loro brigate in Spagna, appoggiate direttamente dall'Unione Sovietica. La Durruti è diversa dalle loro arie minacciose: le foto d'epoca fanno venire in mente piuttosto i western di Sergio Leone: avventura, anticonformismo, coraggio e molta umanità. Il capo delle Colonna, Buenaventurra Durruti, ammazzato poi da fuoco amico comunista, era uno che quando gli portavano i franchisti da uccidere chiedeva: «Come si è comportato questo coi suoi contadini?». Se gli dicevano: «Non male», rispondeva: «E volete ucciderlo solo perché è stato ricco? Badate che faccia il maestro alla scuola del villaggio, e che lavori molto».Anima del gruppo era (mi scusino i lettori perché salta fuori spesso, ma è anche un pezzo della mia anima), la giovane filosofa ebrea e cattolica Simone Weil, che dovette poi ritirarsi perché fragilissima. La sua testarda ribellione alla violenza stupida impregnava questo stile di vita: generoso, antiburocratico, umanissimo. Tutto fu poi travolto dalla guerra mondiale, come ognuno di loro già si aspettava. Ma la battaglia che avevano più a cuore era quella con la loro coscienza. Come noi con la nostra, ferita da questo brutto episodio.