2020-09-05
Tutte le bugie di Conte sull'emergenza
Giuseppe Conte e Roberto Speranza (Ansa)
Nelle carte, desegretate dopo settimane, la conferma dell'ambiguità. Anziché rivendicare la propria autonomia, l'esecutivo aveva scaricato la responsabilità sugli esperti. Che però avevano detto di fare subito le zone rosse a Bergamo, mentre Giuseppi ha atteso.Primo: il governo ha mentito al Paese. Per mesi, ha raccontato di aver agito applicando pedissequamente le indicazioni del Comitato tecnico scientifico. Al contrario, su due punti qualificanti se ne è distaccato: il Cts chiedeva la chiusura dei Comuni della Bergamasca, e invece il governo ha traccheggiato; poi il Cts non consigliava un lockdown nazionale, e invece il governo si è orientato in quel senso. Diranno i difensori di Giuseppe Conte che il governo ha legittimamente fatto valere la sua autonomia. Sacrosanto: ma avrebbe dovuto dirlo, non coprirsi dietro «la scienza» anche quando in realtà decideva altro. Secondo: pure il Cts ha preso le sue clamorose topiche. Sottovalutando la crisi in Lombardia fino a fine febbraio; insistendo per limitare i tamponi ai soli sintomatici (facendo l'opposto di ciò che è stato invece con successo deciso in Veneto); approvando ex post l'azione del governo, anche quando disattendeva le indicazioni del Comitato; e poi occupandosi in modo sindacale della propria «salvaguardia», anche minacciando dimissioni, e litigando con il commissario Domenico Arcuri. Terzo: Cts e governo hanno fatto il possibile per non far arrivare un'informazione corretta e completa all'opinione pubblica. In un passaggio, come vedremo, si legge addirittura la preoccupazione di «evitare che i numeri arrivino alla stampa». Dunque, Cts e governo per un verso hanno alimentato paura e panico, e per altro verso hanno paternalisticamente trattato i cittadini alla stregua di minorenni.Sono questi i tre punti roventi che emergono da un'approfondita analisi dei 95 verbali del Cts messi ieri online sul sito della Protezione civile. Si tratta di riunioni che coprono un arco temporale dal 7 febbraio al 20 luglio. E allora passiamo ai dettagli, cominciando dal primo fronte, quello del governo. È evidente che l'esecutivo abbia sottovalutato l'allarme crescente del Cts sulla Lombardia (e su Veneto ed Emilia Romagna), espresso il 28 febbraio (verbale n. 12), aggravato il 2 marzo (verbale n. 15), e poi definitivamente deflagrato il 3 marzo (verbale n. 16). In quest'ultima occasione, il Cts cita esplicitamente «i dati relativi ai Comuni di Alzano Lombardo e Nembro», riferisce di aver «sentito per via telefonica l'assessore Gallera e il dg Caiazzo della Regione Lombardia», e propone formalmente «di adottare le opportune misure restrittive già adottate nei Comuni della zona rossa anche in questi due». Cosa che, come sappiamo, nonostante la mobilitazione di soldati, il governo non fece. È evidente che ora tutto questo andrà incrociato con le dichiarazioni rese dal premier davanti ai pm. Paradossalmente, il governo disattese anche i consigli successivi del Cts, che il 4 marzo (verbale n. 18) parlava di «situazione differenziata» nel Paese, e il 7 marzo (verbale n. 21) chiedeva esplicitamente «due livelli», uno più rigido per la Lombardia e alcune province di Veneto, Piemonte, Emilia Romagna, Marche, e uno meno rigoroso per il resto del territorio nazionale. Il governo, come sappiamo, decise invece un lockdown nazionale indifferenziato. Quanto al secondo fronte, quello relativo agli svarioni del Cts, il 26 febbraio (verbale n. 9) il Comitato prende sotto gamba la situazione in Lombardia, affermando di non ritenere necessarie «ulteriori misure restrittive». Il 27 febbraio (verbale n. 11) ribadisce l'indicazione sballata di effettuare i tamponi «ai soli casi sintomatici». Il 10 marzo (verbale n. 23), quando il governo ha ormai fatto il contrario di ciò che il Cts aveva suggerito, il Comitato, anziché dolersi, legittima ex post l'azione dell'esecutivo e «valuta coerenti le misure adottate». Il 15 marzo (verbale n. 28) pretende «una norma di salvaguardia che tuteli l'operato dei membri del Cts», minacciando, in mancanza, di rassegnare «in maniera unitaria il proprio mandato». Curiosamente, nella stessa seduta, il Cts definisce «marginale» il contributo di eventuali «sistemi di tracciamento e geolocalizzazione», il che contrasta con l'enfasi poi posta dal governo sull'app Immuni. Il 3 maggio (verbale n. 65) è il giorno della protesta («preoccupazione e profondo rammarico») per alcune note del commissario straordinario (Arcuri) «interpretabili come una delegittimazione del lavoro svolto dal gruppo». Quanto infine al terzo fronte, quello di una «riservatezza» a dir poco sospetta, il 12 febbraio (verbale n. 3) viene liquidata in appena due righe neutre («sono stati presentati i dati relativi allo studio…») la presentazione di un cupo scenario sulla pandemia predisposto da Stefano Merler della Fondazione Kessler. Il 24 febbraio (verbale n. 8) si raccomanda «cautela nella diffusione del documento onde evitare che i numeri arrivino alla stampa». Il 2 marzo (verbale n. 15) si evoca un «piano di organizzazione dell'Italia in caso di epidemia» che il Comitato adotta «nella versione finale», stabilendo però di mantenerne «riservato» il contenuto. Il 22 aprile (verbale n. 57) si legge che il segretario del Cts ricorda a tutti i componenti che «ciascun membro ha sottoscritto un patto di riservatezza». È questa la considerazione che si ha del cittadino contribuente, che, con le sue tasse, paga ministri, parlamentari e comitati vari, e che, secondo questi signori, dovrebbe ricevere solo le informazioni (a rate) decise da qualche Cinegiornale Luce?
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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