2019-03-13
I tour non servono a sbloccare 300 cantieri
Conte ha inaugurato il suo viaggio per far ripartire i lavori pubblici da una strada statale in Sicilia. Un intervento importante, ma in Italia sono impantanate opere per 24 miliardi. Serve al più presto la riforma del codice degli appalti. E basta con la solfa Tav.È iniziato il mini tour di Giuseppe Conte. Prima tappa, ieri, la strada statale 640 Agrigento-Caltanissetta, definita il giorno prima dal premier - c'è da sperare che sia stata una battuta di spirito - «più strategica della Tav», opera della quale - per altro - si è dibattuto ossessivamente per settimane, riducendo il dibattito sulle infrastrutture solo alla Torino-Lione. Ad ogni modo ieri Conte, accompagnato dal ministro dei Trasporti Danilo Toninelli, si è presentato al cantiere: davanti ai sindaci e ai prefetti delle due città, è entrato nel tunnel, per uscirne annunciando il completamento dell'opera entro giugno 2020: «Non siamo qui per fare miracoli ma per portare il nostro impegno affinché inizino i lavori». Nessuna volontà da parte nostra di fare ironia o sottovalutare la portata dell'evento. Anzi: chiunque abbia onestà intellettuale sa che, non meno importante delle grandi opere, è la valanga delle piccole opere che, territorio per territorio, sono necessarie per l'ammodernamento infrastrutturale del paese e per il rilancio dell'economia. A patto - però - che di valanga si tratti, e in tutta Italia: e non solo di una photo opportunity, di un set per cineoperatori, di una passerella politica in una giornata siciliana quasi primaverile. Il giorno prima, Matteo Salvini aveva parlato di «300 cantieri fermi da anni: sbloccarli è un'emergenza nazionale». A dicembre, l'Ance aveva elencato ben 27 cantieri di importo superiore a 100 milioni fermi o congelati, per un valore complessivo superiore ai 24 miliardi (considerando l'indotto, 86 miliardi e 380.000 posti di lavoro). L'associazione dei costruttori aveva lanciato il sito www.sbloccacantieri.it che, attraverso un'impressionante cartina interattiva, mostra la geografia dell'Italia bloccata: dalla Gronda di Genova all'ospedale Morelli di Reggio Calabria, dalla tratta Brescia-Verona dell'alta velocità all'A33 Asti-Cuneo, dall'autostrada tirrenica in Toscana a quella regionale cispadana in Emilia-Romagna, e così via. Pochi giorni fa, la Filca-Cisl ha addirittura allungato la lista, parlando di 600 cantieri, tra piccoli e grandi, per un valore di 36 miliardi e con una «leva» superiore a quella calcolata dall'Ance: 125 miliardi (e 350.000 posti di lavoro). Due settimane fa, intervistato dalla Verità, Toninelli aveva allontanato le responsabilità dal governo nazionale: «La stragrande maggioranza di quei cantieri sono regionali e comunali», aveva detto. Toninelli si era spinto a una dichiarazione forte, accettando la sollecitazione del nostro giornale a ipotizzare un potere sostitutivo statale in caso di inerzia regionale. Un'altra opera sulla quale ovviamente si punta moltissimo è il Ponte Morandi a Genova: nel contratto stipulato con imprese di primo piano (Salini Impregilo, Fincantieri, Italferr, Fagioli) sono state previste penali giornaliere in caso di eventuali ritardi. La tempistica prevede da marzo (cioè da ora) a dicembre la ricostruzione, e ad aprile del 2020 l'apertura. Ieri, intanto, Conte è stato protagonista di una rovente polemica social, essendo circolata una sua foto del giorno prima (presso lo stabilimento Fincantieri di Veleggio sul Mincio) in cui taglia sorridente una torta a forma di ponte (a onor del vero, era il logo di Fincantieri Infrastructure): inevitabili le proteste. In ogni caso, da quanto ci è stato confermato da fonti governative di primo piano, il governo intende muoversi con tre strumenti: da un lato, la nomina di commissari straordinari; dall'altro una legge delega per il riordino di tutta la materia; e infine - e si tratta della prima mossa, ormai attesa a giorni - l'ormai ultrannunciato decreto Sbloccacantieri, che dovrebbe fare a pezzi le parti più sclerotizzate del Codice degli appalti voluto dal ministro Graziano Delrio. Inutile girarci intorno: il Pd ha lasciato un disastro, una paralisi. Sotto la pressione psicologica della pur sacrosanta lotta alla corruzione, si sono strette le maglie in misura eccessiva. Risultato? Per un verso, nessuno se l'è più sentita di firmare nulla, e per altro verso è iniziato il festival delle deroghe e delle eccezioni, di fatto ammettendo implicitamente l'inutilizzabilità delle norme Delrio. Anche i grillini hanno però la loro parte di responsabilità: nella scorsa legislatura, chiesero a volte norme perfino più aspre di quelle di Delrio. Oggi il loro atteggiamento sembra mutato. Non solo perché, stando al governo, hanno compreso la dannosità di quegli ingranaggi. Ma anche perché - nella loro logica - ora si sentono tutelati dalla loro legge Spazzacorrotti. Come dice lo stesso Toninelli, «con la Spazzacorrotti, abbiamo stretto le maglie sulla corruzione; ora, forti di questo ombrello, possiamo allargarle in termini di semplificazione e snellimento». C'è da sperare che già questa settimana questa seconda fase si apra davvero. Da segnalare infine, sul versante Tav, la lettera del governatore piemontese Sergio Chiamparino a Matteo Salvini per chiedere un referendum il 26 maggio, in contemporanea con le elezioni europee e regionali. Il più lesto a rispondere, aizzato dai grillini che (pur tifosi della democrazia diretta) vedono questa consultazione come il fumo negli occhi, è stato Conte: «Il referendum? Non è previsto». Più aperto Salvini: «Magari... Ma Chiamparino ignora: non si può, non si può perché manca la legge della Regione Piemonte. E si potrebbe fare cambiando la Costituzione, cosa che sono dispostissimo a fare perché io i referendum li adoro».
Matteo Salvini e Giorgia Meloni (Ansa)
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