2019-10-06
I teorici del «siamo tutti uguali» tacciano di nazismo chi studia il Dna
Il genetista David Reich sta analizzando le diversità tra le razze per aiutare l'uomo di oggi a stare meglio. E per ricostruire i movimenti delle popolazioni sul nostro pianeta. Superando i vecchi modelli di Charles Darwin.Ricordate la filastrocca politicamente correttissima: «ormai è scientificamente dimostrato, siamo tutti uguali e tutti mischiati, le razze non sono mai esistite e chi ne parla è solo un nazista che progetta stermini», con sottintesa minaccia di denunce penali in caso di non condivisione entusiasta?Beh, non era vero, come quasi sempre quando si usa la scienza come una clava. Le differenze tra i gruppi ci sono (come provano quegli antichi e preziosi strumenti della conoscenza umana che sono gli occhi) e gli scienziati seri, oggi come ieri, sono interessati ad approfondirne lo studio non per sterminare ma per aiutare le persone a riconoscere le rispettive forze e debolezze, e stare meglio. Uno di questi è David Reich (allievo di Luca Cavalli Sforza, fondatore degli studi genetici sul passato) che ne parla nel suo ultimo libro: Come siamo arrivati fin qui. Il Dna antico e la nuova scienza del passato dell'umanità (Raffaello Cortina Editore). Professore di genetica ad Harvard e fra i più autorevoli pionieri nelle analisi sui Dna dei nostri progenitori (il «genoma antico», ritrovato nelle ossa e antichi reperti), Reich sta ricostruendo la storia dell'umanità attraverso la tracciatura delle modifiche avvenute nel Dna con i grandi movimenti di popolazione che hanno dato forma al mondo di oggi, soprattutto negli ultimi 10.000 anni. I laboratori che studiano il genoma, come quello del Max Planck institute di Lipsia o quello dello stesso Reich sono ormai in grado di raccontare la storia dell'umanità e dei suoi movimenti e trasformazioni, iscritta nelle mappature genetiche elaborate in tempi sempre più veloci; con campionature sempre più importanti e incrociate con i ritrovamenti di reperti preistorici e moderni. Quella raccontata dalla genetica è una storia ormai molto lontana dall'immagine quasi immobile di cui si è servito Charles Darwin nel suo L'origine della specie: «un grande albero» con le attuali popolazioni sbocciate da quelle del passato, diramatesi da una comune radice africana. Lo studio del genoma antico ci mostra infatti che la storia umana ha avuto uno sviluppo molto più dinamico: l'umanità non è insomma costituita da un solo albero, ma da molti, che hanno poi mostrato una sorprendente capacità di spostarsi e di ibridarsi con altri (e molti sono poi scomparsi). Anche nella storia dell'Europa lo studio del genoma antico ci permette di relativizzare diverse narrazioni ormai di uso e abuso corrente (anche per le loro strumentalizzazioni politiche), a cominciare dall'importanza dell'Africa nella nostra storia umana. Gli antenati africani risalgono, a quanto pare, a 700.000 anni fa, quando gruppi di loro vennero al Nord, dove raggiunsero le popolazioni locali. La nostra genealogia, però, ha molto più a che fare, per esempio, con Ötzi, l'uomo di 53.000 anni fa circa, trovato perfettamente conservato con il suo mantello di erbe intrecciate e le scarpe finemente cucite tra i ghiacci del Tirolo, ucciso da una freccia nella spalla che gli aveva lacerato un'arteria. Infatti il materiale genetico di Ötzi non rimanda già più in nulla all'Africa (e neppure ai tirolesi attuali), ma agli attuali abitanti della Sardegna. Il Dna dei sardi attuali viene trovato continuamente anche in altri antichi reperti, come altri individui vissuti 5.000 anni fa in Svezia, che invece di avere il Dna degli antichi cacciatori-raccoglitori svedesi hanno quello presente nei sardi contemporanei. Ciò perché gli attuali abitanti della Sardegna sono l'ultimo residuo degli agricoltori che popolarono l'Europa già circa 8.000 anni fa: raggiunsero quell'isola e lì rimasero sopravvivendo agli sconvolgimenti demografici che nel frattempo cambiarono ulteriormente le popolazioni del continente europeo. È allora infatti, dai 7.000 ai 5.000 anni fa, che dalle grandi steppe dell'Europa centrale si diffusero le ondate di allevatori nomadi di pecore, bovini e cavalli, che con la loro scoperta della ruota in poco tempo cambiarono il volto del continente. Attaccando i loro animali ai carri, addomesticando i cavalli e consentendo così a un cavaliere di seguire interi branchi di animali, i popoli delle steppe conquistarono rapidamente gran parte dell'Europa (dal Centronord italiano alla Britannia), con la loro forza, le loro case mobili, e la loro cultura maschile a intensa attività riproduttiva. Al Sud rimasero i primi agricoltori, geneticamente simili agli odierni sardi, anch'essi arrivati in precedenza con le popolazioni agricole giunte dall'Anatolia. E qui la genetica tende a incrociarsi coi paesaggi dei poemi omerici, e con le loro descrizioni del mondo agricolo delle isole greche culture, genti e divinità molto lontane dall'Africa. Sono appunto le diversità tra gli esseri umani e le loro culture, e le profondità dei lontani tempi in cui hanno origine, a inquietare e ostacolare però anche gli sviluppi di questa scienza del genoma antico, così profondamente legata alla storia dell'umanità. Reich racconta in questo libro l'emozione di quando scoperse che il cancro alla prostata era molto più frequente negli afroamericani che negli americani di origine europea, e quindi la possibilità di curarlo e trovare altri fattori genetici di rischio per altri malattie. Ciò gli procurò subito critiche di possibili derive razziste, e pelosi consigli di sostituire le popolazioni in questione con le solite lettere dell'alfabeto (A, B, eccetera); cosa cui si rifiutò perché non la riteneva onesta. L'anatema scagliato sulla razza, al solito, si traduce poi in censura. Con proposte come quella della politologa Jacqueline Stevens che «ha addirittura chiesto che si vietassero le ricerche e persino le discussioni via email sulle differenze biologiche tra le popolazioni, e che gli Stati Uniti emanino un regolamento che proibisca... di divulgare sotto qualsiasi forma, compresi documenti interni e citazioni di altri studi, affermazioni riguardanti la genetica associata alle variabili della razza, etnia, nazionalità o qualsiasi altra categoria demografica osservata o immaginata come ereditaria...». «Però», osserva Reich, «che piaccia o no, non è possibile bloccare la rivoluzione del genoma». Ammette le ambiguità passate e i tentativi di non aver grane: «quando ci chiedevano se potevano esserci differenze biologiche tra le popolazioni umane, tendevamo a scantonare... ma ora non è più possibile difendere ancora la visione ortodossa» perché i risultati forniti dal genoma «danno prove concrete di differenze sostanziali tra le popolazioni». Le diversità non vanno più negate, ma riconosciute e trattate con rispetto. «Ascendenza», nota Reich rispondendo a chi vorrebbe sopprimere anche quella parola considerata colpevole di riconoscere un'importanza al passato, indica la propria storia e identità. Non si può cancellare l'anima dei popoli. È anch'essa iscritta nel Dna.