2020-07-29
I tecnici al governo: sbagliate i conti su tasse, deficit e Cig
L'Upb valuta gli impatti dei decreti d'urgenza: troppi soldi per ammortizzatori e pochi per garanzie. Pnr senza strategia.Roberto Gualtieri resta vago sul fisco davanti alle commissioni. E il centrodestra si ricompatta.Lo speciale contiene due articoli.Fino a oggi il governo ha incassato la fiducia o l'ok del Parlamento a scatola chiusa. A Giuseppe Conte è bastato sventolare un Dpcm o un decreto per portare a casa scostamenti di bilancio importanti, con cui ha fatto deficit e ha finanziato interventi da lui stesso definiti di «emergenza». Il lockdown ha permesso tutto ciò. Adesso le cose sono cambiate, non solo perché la maggioranza e la minoranza hanno mangiato la foglia. Ma anche perché finalmente si comincia a fare un po' di valutazioni d'impatto. Purtroppo quelle ex ante sono abolite in Italia, ma almeno quella fatta ieri in Aula da Giuseppe Pisauro, presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio, pur essendo ex post è servita a fare chiarezza e a mettere a nudo le scelte del governo. Era proprio necessario mettere sugli ammortizzatori sociali una così imponente somma di denaro? La risposta sembra essere no. «Parlando delle misure messe in campo dal governo a sostegno del lavoro, il ricorso alle casse integrazioni Covid-19 potrebbe risultare in qualche misura inferiore alle attese in termini di beneficiari, di durata e di tiraggio, generando pertanto risparmi di spesa rispetto a quanto stimato ufficialmente», ha spiegato Pisauro. Nel trimestre marzo-maggio le integrazioni sono state utilizzare per poco più di 1,1 miliardi di ore, con un picco ad aprile per oltre 590 milioni di ore e un forte rallentamento nei mesi successivi. «Restringendo il campo di osservazione ai mesi aprile-maggio, emerge una percentuale di tiraggio che tuttavia risulterà a posteriori sovrastimata, dal momento che al denominatore potrebbero mancare ore di competenza di aprile e di maggio autorizzate a marzo, pari a circa il 63%, a fronte di un autorizzato di competenza di circa 1,5 miliardi», ha aggiunto. In pratica alla data del 9 luglio le persone che hanno effettivamente beneficiato di assegni sono state 5,5 milioni invece delle 8 stimate nella relazione tecnica. Al di là della maggiore spesa e quindi dell'errata destinazione di una fetta di risorse, l'effetto paradossale è stato anche quello di finanziare con la Cig aziende che non hanno registrato cali di fatturato. Il governo avrebbe dovuto riversare quei fondi in altri settori, come ad esempio la ristorazione, invece di intervenire a pioggia. Purtroppo, non è l'unico errore di valutazione. Le informazioni disponibili, ha proseguito Pisauro, «mostrano forti peggioramenti dei saldi di finanza pubblica rispetto allo scorso anno, destinati ad aumentare anche per i nuovi interventi attesi». Considerando le stime del quadro macroeconomico indicate dall'Upb nel suo ultimo rapporto (che tenevano conto degli effetti dei Cura Italia, Liquidità e Rilancio), il «deficit risulterebbe più elevato di quello previsto dal governo, in misura di poco superiore al mezzo punto percentuale di Pil. Il rapporto tra il debito e il Pil, risentendo delle varie determinanti e in particolare del più sfavorevole contributo dell'andamento negativo del prodotto, potrebbe essere più elevato di circa 3 punti percentuali». Fino a oggi i calcoli dell'Upb hanno dimostrato capacità di analisi e anche di previsione. Dunque, quando l'ufficio tecnico avvisa che non ci sono fondi per tagliare le tasse a settembre o semplicemente slittarle bisogna prenderne atto, anche se il governo può prendere il consiglio come una spina nel fianco. Pisauro è stato anche molto chiaro in relazione al Fondo di garanzia collegato al Mediocredito centrale e utilizzato per erogare garanzie alla base dei finanziamenti bancari. Il Fondo va al più presto rifinanziato per evitare che a fine anno tracolli o debba fare un aumento di capitale. A oggi sono state chieste dalle banche garanzie per circa 60 miliardi. Pochissimo rispetto ai 400 promessi da Conte, ma tanti in proporzione per i soli 2,7 miliardi messi a capitale. La fumosità del decreto rischia di avere forti impatti pure sul deficit del 2021. Più fallimenti faranno le aziende garantite più aumenterà il deficit. Ma è sul piano nazionale di riforme che Pisauro andrà preso alla lettera se vogliamo evitare un doppio commissariamento da parte della Commissione Ue. «Il Pnr elenca un vasto programma di interventi settoriali, non dissimile da quelli contenuti nei precedenti Pnr e non sembra cogliere l'occasione per individuare alcune priorità strategiche sulla base delle quali predisporre in autunno il “Piano di ripresa e resilienza" in modo da concentrare», ha tagliato corto il capo dell'Upb, «le risorse del Dispositivo europeo su aree di intervento ritenute fondamentali». Tradotto, Conte e il ministro Roberto Gualtieri non possono fare copia e incolla dei vecchi Def e sperare di presentarsi a Bruxelles così. Altrimenti corriamo due rischi. O non ricevere nemmeno un euro. Oppure riceverli sulla pseudo fiducia per poi dover accettare che siano altri a decidere come e dove spenderli e a fronte di quali tagli di spesa pubblica. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-tecnici-al-governo-sbagliate-i-conti-su-tasse-deficit-e-cig-2646819129.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="fi-rifiuta-la-parte-della-stampella-nel-test-in-aula-sullo-scostamento" data-post-id="2646819129" data-published-at="1595958989" data-use-pagination="False"> Fi rifiuta la parte della stampella nel test in Aula sullo scostamento Audito dalle commissioni Bilancio di Camera e Senato, il ministro Roberto Gualtieri ha scelto la carta dell'estrema vaghezza sullo scostamento di bilancio da 25 miliardi, per cui il governo si appresta a chiedere l'autorizzazione al Parlamento: lo sforamento - ha laconicamente spiegato il titolare del Mef - vedrà le risorse maggiormente utilizzate «per occupazione, fisco, liquidità, enti territoriali, istruzione». Insomma, il governo si tiene le mani libere e non sembra affatto corrispondere alla puntualità delle richieste dell'opposizione, in particolare sull'anno bianco fiscale. Vago proprio il passaggio sulle scadenze fiscali: «Saranno riprogrammate le scadenze relative ai versamenti sospesi nella fase di emergenza, prevedendo la possibilità di rateizzare il debito su un orizzonte temporale definito, in modo da assicurare che per il 2020 si riduca sensibilmente il peso dell'onere. E saranno ulteriormente differiti i termini per la ripresa della riscossione attualmente fissati al 31 agosto». Ma di tutta evidenza la formula è elusiva, e non offre alcuna certezza né sui tempi né sul quantum. Minaccioso, poi, il passaggio successivo: occorre «superare il meccanismo del saldo e acconto», per andare verso un sistema che comprenda la «diluizione nel corso dell'anno degli importi da versare, basato su quanto effettivamente incassato». Quanto all'opposizione, ieri è stato il giorno del riallineamento di Fi agli alleati Lega e Fdi. A onor del vero, la mattinata era cominciata con una (almeno apparente) virata degli azzurri verso la maggioranza, con una doppia intervista di Renato Brunetta, sul Corriere e sulla Stampa, riguardo alla sua candidatura a guidare l'eventuale commissione bicamerale (o una delle due monocamerali) sul Recovery fund. Le dichiarazioni di Brunetta erano in realtà più caute e meno nette di quanto i titoli lasciassero presagire, ma la doppia intervista e l'enfasi dei due quotidiani davano la sensazione di un pressing sugli azzurri per disarticolare il centrodestra. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato un contemporaneo retroscena di Repubblica che dava per probabile il sì solitario di Fi allo scostamento. Mettendo insieme tutto, la sensazione del do ut des diveniva troppo forte. Morale: ieri in giornata Giorgia Meloni e Antonio Tajani hanno raggiunto Matteo Salvini presso il suo ufficio al Senato, e i tre hanno diffuso una posizione comune, concordando che «il voto dipenderà dalle risposte dell'esecutivo alle proposte avanzate», di fatto configurando uno schieramento unitario. Quanto ai numeri, per le richieste di sforamento, occorre la maggioranza assoluta. A Montecitorio il problema non si pone: anche senza aiutini, i quattro partiti di maggioranza dispongono di 333 voti su 630, un margine ampio. Al Senato il quadro sarebbe in teoria più complicato. Ma, intendiamoci bene: a Palazzo Madama il quadripartito M5s-Pd-Italia viva-Leu usufruisce quasi sempre del supporto dei due gruppi misti, il Misto propriamente detto e il gruppo per le Autonomie, più il concorso nei casi di necessità dei senatori a vita. Mettendo tutto e tutti nel calderone, si arriva oltre quota 180, circa 20 unità sopra il necessario. Dunque, il paradosso è che perfino un'«operazione-stampella», pur ufficialmente esclusa dagli azzurri, si sarebbe potuta rivelare superflua, determinando un costo politico senza nemmeno un dividendo in cambio. Certo, c'è chi fa notare che Palazzo Madama sia ormai un suk in cui pesano assenze, dissidenze palesi e silenziose, sgretolamenti progressivi di gruppi. Per questo il voto potrebbe comunque presentare qualche incognita, forse non tanto per l'esito (difficile che un incidente si verifichi proprio sullo scostamento), quanto per il conteggio finale dei sì, che sarà un indicatore dello stato di salute e della tenuta della maggioranza.