2020-07-20
I ristoratori chiedono i danni a Giuseppi
Dopo l'infelicissima uscita del viceministro Laura Castelli sul settore in crisi («cambino mestiere»), 50.000 professionisti elencano i danni dell'esecutivo: niente aiuti a fondo perduto, tasse da pagare e turisti calati dell'86%. Il 70% degli esercizi potrebbe fallire. Cinquantamila ristoranti presentano un conto salato e arrabbiato alla viceministra all'economia, la pentastellata Laura Castelli e danno l'avviso di sfratto a governo. In una lettera aperta che è un preciso atto d'accusa al ministero dell'Economia - indirizzata a nuora Laura perché suocera Giuseppe Conte intenda - questo esercito di cuochi, osti, pasticceri, baristi che ha come capitano giocatore Gianfranco Visssani - ha riaperto da appena una settimana il suo ristorante stellato a Baschi - denuncia : «Non siamo più disposti a scusare, a capire o giustificare. Siamo diventati intolleranti a questi scivoloni televisivi che mettono alla gogna mediatica un intero comparto. Ci hanno dato dei pigri, ci hanno perfino multati e ora ci danno anche degli incapaci». Noi siamo tutt'altro dicono «valiamo il 13% del Pil». A conti fatti la ristorazione pesa molto di più: è l'anello terminale dell'agroalimentare che vale 400 miliardi, oltre 4 milioni di posti di lavoro e 80 miliardi all'export. Cosa rimproverano queste imprese al Mef con l'annuncio di quell'autunno caldo da tutti temuto in cui si prevede che circa il 70% dei 330.000 ristoranti chiuderà? Quattro cose: non sono arrivati aiuti a fondo perduto, ma il governo ha fatto indebitare le imprese per poter incassare le tasse che ora chiede loro; la cassa integrazione non è arrivata e loro hanno dovuto supportare i dipendenti per evitare di perdere professionalità; le regole alla riapertura sono un aggravio insostenibile nella gestione e il mercato è di fatto scomparso. Fino a maggio i ristoratori hanno perso 8 miliardi di fatturato, oggi è aperto un esercizio su 4. La colpa? Troppe tasse, niente domanda. Gli italiani non spendono, nelle grandi città lo smart working ha ridotto la platea di consumo, il crollo del turismo (meno 86% secondo l'Enit) ha svuotato i locali. Le conseguenze? A esempio il meno 50% del mercato del vino, la perdita di un terzo di quello della carne, del 60% dei formaggi. Servirebbe un piano d'emergenza invece Laura Castelli - viceministro dell'Economia, non nuova peraltro brutte figure come quando Pier Carlo Padoan ex ministro dell'Economia cercò di spiegarle la relazione tra spread e tassi d'interesse e lei se ne uscì con un plastico «questo lo dice lei» - intervenendo a Tg2 Post chiosa un servizio sula crisi del turismo così: «Se una persona decide di non andare più a sedersi al ristorante, bisogna aiutare l'imprenditore a fare un'altra attività». Insorgono Giorgia Meloni (Fdi) Maria Stella Gelmini (Forza Italia) che le ricordano che il governo ha abbandonato le imprese. La viceministra allora prova a metterci una pezza che nel suo caso è quasi sempre peggiore del buco: «I ristoranti erano un esempio, nessun attacco alla categoria, confermo che bisogna aiutare le imprese e gli imprenditori creativi a muoversi sui nuovi business che sono quelli che sono nati». La frittata è fatta perché se c'è un lavoro creativo è quello di chi s'adopera ai fornelli, se c'è un'impresa che deve interpretare ogni giorno i bisogni della domanda che evolve è proprio quella della ristorazione. Non si pretende che la Castelli conosca la Physiologie du gout di Brillat-Savarin, ma almeno Pellegrino Artusi (il duecentenario è stato dimenticato e al governo nulla importa della cultura gastronomica che è invece uno dei primati dell'Italia) e i fondamentale della gestione d'impresa sì. In realtà la Castelli è solo la spia dell'assoluta incomunicabilità tra governo e imprenditori. Oggi gran parte di quei ristoratori che non incassano un euro da mesi deve - come tutte le partite Iva - mettersi in fila e pagare le tasse che Roberto Gualtieri, un ministro dell'Economia gabelliere non ha voluto rinviare. Nella loro lettera i 50.000 imprenditori lo denunciano. «I ristoratori», scrivono, «non hanno mai chiesto clienti al governo, hanno chiesto sostenibilità per le riaperture. Molte attività, hanno riaperto con la consapevolezza di ricominciare in una situazione emergenziale, dove gli incassi non coprono i costi. Abbiamo scelto di voler continuare a regalare una serranda alzata in città, di essere vicini ai nostri collaboratori, per sopperire a uno Stato che ha lascito nell'incertezza centinaia di migliaia di lavoratori del settore. Abbiamo chiesto aiuti concreti e sufficienti a salvaguardare le nostre attività, disposti a farci carico di ulteriori indebitamenti non voluti. Ci siamo ritrovati solo con un pacchetto di promesse su promesse ancora non mantenute. Hanno propinato alle aziende digitalizzazione, robotica, e-commerce, app tecnologiche, ecologia, monopattini, delivery ma nulla di tutto questo è l'essenza dei principi fondamentali della ristorazione fatti di ospitalità, accoglienza e relazione. Volete vederci mangiare tutti davanti al Pc in smart working così siete liberi di ingabbiarci a casa e negli uffici per lasciare le città in balia del degrado e delle attività clandestine? Senza lavoratori, senza studenti, senza turisti migliaia e migliaia d' imprese a breve moriranno. Abbiamo bisogno che turismo e mobilità tornino a vivere nelle nostre vie. Abbiamo bisogno che portiate a termine le vostre promesse». Perché il deserto economico purtroppo sta avanzando.