
La generazione dei «figli di» sale in cattedra. Niente più bidoni alla Edinho, Pelé Jr. Da Justin Kluivert a Tim Weah passando per Federico Chiesa e Giovanni Simeone ora c'è da divertirsi.Tutta colpa di Apelle figlio di Apollo e di quella palla di pelle di pollo lanciata lontano dall'augusto genitore per togliersi dai piedi il moccioso che voleva a tutti i costi giocare. Ha certamente cominciato così anche Timothy Weah, mentre il padre consultava il manuale del metodo Montessori; è andato a riprendere la palla, ha immaginato di vendicarsi per un'infanzia di solitudine e si è ritrovato a 18 anni a segnare gol da urlo con la maglia del Paris Saint Germain, la stessa di papà prima di quella del Milan e il doppiopetto da presidente della Liberia. Passaporto statunitense, scatto devastante da gazzella, il ragazzo entra nella foto ricordo con Gianluigi Buffon che deviava in angolo le rasoiate di suo padre ed è il simbolo di una generazione di figli d'arte finalmente all'altezza del genitore 2. È finita l'epoca imbarazzante dei pargoli di Diego Maradona incapaci di palleggiare non pretendiamo con un'arancia, ma neppure con un melone; del figlio di Pelé (Edinho), che già era partito male volendo giocare con le mani - «da grande farò il portiere» - per finire in carcere per narcotraffico; di Jordi Cruijff perso fra le rocce di Malta dopo aver vissuto all'ombra del padre. Una volta i «figli di» erano garanzia di flop, venivano guardati con diffidenza da tifosi pronti a mettersi le mani nei capelli. Gli unici due fenomeni, additati come tali proprio perché eccezioni, erano Sandro Mazzola e Paolo Maldini. Oggi tira un'altra aria, merito della maggior libertà, della precocità del libero arbitrio, delle fortune investite dalle famiglie, ma i millennials che discendono dagli alberi genealogici pallonari sono devastanti. Accanto a Timothy Weah e a Marcus Thuram (un altro destinato a far sentire il peso degli anni a Buffon) cresce una generazione di pischelli destinati alla Nazionale, per niente schiacciati dal peso del cognome, sfrontati nel dribblare i paragoni e pronti a far rimangiare ai nostalgici l'accusa d'essere solo figli di papà.Il quadretto più emozionante lo abbiamo visto ai Mondiali di Russia, quando Kasper Schmeichel è stato a un passo dal regalare alla Danimarca i quarti di finale eliminando la Croazia che avrebbe conteso ai francesi la coppa del mondo. Il figlio di Peter, leggenda del Manchester United, con i guantoni regalati da papà ha parato un rigore di Luka Modric e ancora ai penalties si è comportato con classe da fenomeno davanti agli occhi di un genitore travolto dall'emozione. Il portiere del Leicester mostra un solo difetto: ha 29 anni e a questo punto bisognerà attendere suo figlio per vedere chiudersi il cerchio. La sua storia è simile a quella di molti: da bambino aveva come idolo un compagno di squadra del padre (per lui Eric Cantona, infatti cominciò da attaccante) e crescendo non riusciva a liberarsi dell'ombra del campione di famiglia. Finché un giorno, vedendolo spazzare di pugno in un'area affollata di energumeni, il vecchio Peter (ormai ospite fisso di Ballando sotto le stelle inglese) non disse: «Benvenuto figlio mio nella foresta dei giganti». Roba romantica, potenzialmente valida per essere appiccicata alle altre figurine. È curioso come il figlio alla fine cerchi di entrare nei panni del padre, perfino di sovrapporsi nel ruolo. La cosa sta capitando a Justin Kluivert, 19 anni, nato dal divino Patrick (tranne che per i tifosi milanisti, solo sei gol prima di fare sfracelli al Barcellona), cresciuto come lui nelle giovanili dell'Ajax, pronto a rilevare gli allori del genitore partendo da destra. Lo farà nella Roma di Eusebio Di Francesco, che di giovani da indirizzare nel modo giusto ne conosce soprattutto uno, il suo Federico, anch'egli ala destra ormai fatta è finita (24 anni) nel Sassuolo. Giocatore solido, affidabile, in grado di ripetere la carriera del papà senza soffrire il paragone.Per capire i segreti più nascosti della parentela vincente è necessario trasferirsi a Firenze, dove duettano con meravigliosa armonia due figli d'arte di primissima fascia: Giovanni Simeone (23 anni, figlio del Cholo) e Federico Chiesa (20 anni, figlio di Enrico), gente che gioca davanti, che corre verso i portieri e avverte brividi adrenalinici quando fa gol. È vero, Diego Simeone era un gran mediano, ma nella sua carriera ha segnato piu di 100 reti e sa come si fa. Curioso vedere in suo figlio le stesse caratteristiche (forza fisica, grinta, senso della posizione) svilupparsi venti metri più avanti. Per dare continuità alla dinastia Chiesa, il club viola ha portato a casa anche Lorenzo Chiesa, 14 anni. Pare abbia la stessa luce del fratello negli occhi. A conferma che Firenze ha la vocazione alla kinderheim, è stato ceduto da poco al Viitorul di Costanza un altro ventenne di un certo pedigrèe: Ianis Hagi, il figlio di Gheorghe, detto il Maradona dei Carpazi, che fece innamorare i tifosi di Barcellona e Real Madrid prima di venire a Brescia a chiudere la carriera. Battezzati Leroy Sanè, imprendibile mezzapunta del Manchester City (figlio di Souleymane Sanè, storico capitano del Senegal) e Daley Blind, roccioso difensore del Manchester United (dopo che suo padre lo era stato negli anni Novanta dell'Ajax), la generazione di fenomeni in famiglia propone al mondo del pallone due pepite dai destini incrociati, almeno a leggere il curriculum dei padri. Il primo è fin troppo riconoscibile, si chiama Rivaldinho, ha 23 anni e pretenderebbe di ricalcare la carriera di quel signore che danzava calcio a Barcellona e ha fatto divertire i tifosi milanisti. Paragone impossibile. Il secondo si chiama Enzo Fernandez, si nasconde sotto il nome della mamma per non avere contraccolpi da psicanalista di Park Avenue ed è semplicemente il figlio di Zinedine Zidane. Ha 23 anni anche lui, se non è esploso fino ad ora è difficile che lo faccia in futuro, anche perché la cantera del Real Madrid non fa sconti: o sei Asensio o giochi poco. Fatherland è un luogo dello spirito in cui il pallone scotta.
Ansa
Centinaia di tank israeliani pronti a invadere la Striscia. Paesi islamici coesi contro il raid ebraico in Qatar. Oggi Marco Rubio a Doha.
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Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Parla Roberto Catalucci, il maestro di generazioni di atleti: «Jannik è un fenomeno che esula da logiche federali, Alcaraz è l’unico al suo livello. Il passaggio dall’estetica all’efficienza ha segnato la svolta per il movimento».
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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