2020-09-29
I progressisti hanno perso il popolo. Ora gli spiegano che è peggio per lui
Gianrico Carofiglio (Ansa)
Nel suo «manuale» su comunicazione tv e politica, Daniele Capezzone analizza gli intellettuali di sinistra che imperversano nei talk. Esempi di una cultura che per disprezzo è finita a fare a pugni con la democrazia.Mettiamoci nei panni di un elettore normale, di ceto medio o medio-basso, che torna a casa dopo una giornata di lavoro dura, difficile, poco gratificante, alle prese con le preoccupazioni economiche, le ansie familiari, e soprattutto uno standard di vita che sente in netto peggioramento anche se - fortunatamente - ha ancora un lavoro. Ecco, accende la tv e trova i «migliori cervelli» della sinistra politica e editoriale che, puntandogli il dito contro, lo trattano da analfabeta funzionale se ha votato a destra, da razzista se vuole una qualche regolamentazione dell'immigrazione, da fascista se si distacca dai precetti etico-politici di quella élite progressista. Non serve un genio per capire come si comporterà quell'elettore: non solo confermerà e radicalizzerà le sue convinzioni politiche, ma accumulerà una motivatissima scorta di disprezzo verso quegli opinionisti che l'hanno trattato così male, l'hanno offeso, l'hanno umiliato. È perfino scontato che, in un «ambiente» del genere, ogni elezione diventi un'occasione di vendetta da parte di larghi strati popolari non solo verso i vecchi politici ma pure verso una schiera di commentatori ancora meno sopportati e sopportabili. Vanitosi come pavoni, truccatissimi e cotonatissimi, autoreferenziali al massimo, nemmeno se ne accorgono: ma sono loro a esser finiti fuori gioco. Proprio quelli che, in virtù di una dotazione culturale superiore, avrebbero dovuto - almeno un po' - immedesimarsi negli altri, comprenderne i timori (pur magari non condividendoli), non hanno fatto alcuno sforzo per capire la sofferenza dei ceti medi e mediobassi, e anzi li hanno insultati e giudicati. E il popolo si è vendicato e continua a farlo. Hillary Clinton, nella sua superbia, ha perfino reso esplicito l'insulto, qualificando i sostenitori di Trump come deplorables, cioè cattivi-deplorevoli-miserabili-pessimi. E i mainstream media di tutto il mondo le sono andati dietro, trattando una maggioranza di americani (e, a cascata, di britannici, italiani, polacchi, ungheresi, brasiliani ecc.) come un'orda rabbiosa e sdentata, una curva di hooligans, un insieme di impresentabili da disciplinare e mettere in condizione di non nuocere. […]Non è un caso se - tornando all'Italia - la sinistra a Roma vince quasi solo nel Centro e ai Parioli, a Milano nella centralissima Zona 1, e così anche a Torino. Parlare di sinistra ztl, facendo riferimento alle zone a traffico limitato, non è più sarcasmo: è una fotografia sociale. [...] Ecco, una riflessione su tutto questo - drammaticamente - non c'è stata. Anzi, i soliti noti insistono e alzano la posta. Da almeno un anno, in Italia, c'è un fiorire di eventi in cui, neanche troppo subliminalmente, si evoca il fascismo in funzione anti-Salvini, con tanto di cori Bella ciao: il mediaticamente pompatissimo movimento delle «sardine» è nato (o è stato fatto nascere) proprio su questa linea. Ma ha senso trattare il tuo avversario politico come un fascista o peggio, come l'equivalente dell'invasor? Dopo anni ipocritamente spesi a raccontare che non esistevano più nemici ma solo avversari, torna una pulsione antica: la criminalizzazione dell'opzione politica lontana da quella «giusta». [...]Naturalmente, adesso, alcuni opinionisti progressisti iniziano a rendersi conto della loro spaventosa impopolarità. Ma, anziché fare un minimo di analisi di coscienza, se la prendono con il termometro che indica la febbre. «Chiudete Internet!» gridano disperatamente, increduli per il fatto che molti utenti, specie giovani, non credendo più ai mainstream media, vadano a cercarsi in rete le risposte di cui sentono il bisogno (non sempre trovando materiale di qualità, questo è ovvio). «Basta con i talk show che fomentano odio!» urlano isterici, abituati da anni ad arene televisive in cui ai loro avversari era assegnata la parte del toro in una corrida: da ferire con le banderillas, e poi regolarmente da uccidere, con applausi scroscianti del pubblico per il toreador sinistro. Se invece vengono allestiti ring televisivi ad armi pari, in cui ciascuno può combattere senza avere un braccio legato, non va più bene: erano troppo abituati al formato «tre contro uno», «quattro contro uno», con servizi tutti da una parte, gli «esperti» ridacchianti contro il reprobo di destra da ridicolizzare, e contorno di piazze ululanti. Se il gioco è un po' più fair, non si deve più giocare. Diciamolo chiaramente, senza nasconderci dietro un dito: una certa cultura di sinistra non ha un problema con Internet e neppure con i talk show più liberi. Ha un problema con gli elettori: siccome non riesce più ad ascoltarli, a capirli, a parlare con loro, scattano le risposte che abbiamo passato in rassegna: demonizzare i vincitori e chi li ha eletti, e cercare disperatamente «untori» (televisivi o telematici) a cui attribuire la responsabilità del contagio, dell'avvelenamento, delle presunte fake news trionfanti. Non è compito di chi scrive dare consigli alla sinistra politica e mediatica, che sa benissimo sbagliare da sé: ma senza un ripensamento profondo, non ne usciranno. Non bastano furbizie tattiche o trovate estemporanee. Serve un'operazione lunga, faticosa, incerta: che non necessariamente deve portare i progressisti a condividere le ragioni e i sentimenti prevalenti in questo momento nell'elettorato di molti paesi dell'Occidente avanzato, ma - questo sì -- dovrebbe imporre alla sinistra di provare a capire, ascoltare, riflettere. Julien Benda parlò nel 1927 del «tradimento dei chierici». Quasi un secolo più tardi, il tradimento degli intellettuali progressisti appare ancora più clamoroso e imperdonabile. Hanno monopolizzato accademia, editoria, media, arte. Hanno disprezzato il popolo. Hanno venerato il comunismo per decenni, e, caduto quello, i suoi surrogati. Dopo la caduta del Muro, hanno provato a vestire panni liberali, ma in realtà sono solo dei liberal, che è una cosa ben diversa: cioè progressisti, di sinistra, con tutto un armamentario di pretesa superiorità morale. E i loro bersagli polemici restano gli stessi: l'individuo, l'iniziativa privata, il ceto medio. E naturalmente l'Occidente, ritenuto responsabile di tutti i mali del mondo. Cosa gli piace, invece? Tutto ciò che corrisponda al loro istinto costruttivista, dirigista, pianificatore, centralizzatore, in ultima analisi volto a transennare il popolo, a bypassarlo in nome della «competenza», a impedire che il «rischio» della democrazia produca effetti per loro indesiderabili. In ciò, l'attuale Unione Europea è divenuta il loro feticcio, e non si rendono conto di quanto proprio l'esaltazione acritica di questa Bruxelles abbia nuociuto agli stessi ideali europeisti. Niente da fare, in ogni altro aspetto della loro vita (si badi: è un complimento) sono scettici, agnostici, esercitano il dubbio e la critica. Ma quando invece si passa all'Ue, diventano improvvisamente dogmatici, hanno trasformato l'europeismo in un catechismo, e rigettano ogni obiezione in termini di anatema e superstizione. Risultato della «cura»? Hanno reso euroscettico un numero crescente e larghissimo di cittadini. In questo, starei per dire che la formazione comunista di diversi di loro li ha portati con naturalezza a «sostituire» all'antica mamma Urss la nuova mamma Ue. Ma l'approccio storicista è lo stesso: la storia ha quella direzione, se ti opponi sei un reazionario. Di più: applicano all'Ue le stesse difese logico-dialettiche che i vecchi comunisti adottavano per fronteggiare le critiche sul fallimento sovietico: l'idea comunista era giusta - dicevano -, purtroppo ne fu sbagliata l'implementazione. Per costoro vale lo stesso con l'Ue: non ha funzionato bene? Datecene di più e andrà meglio. E non sembra sorgere in loro il dubbio che in entrambe le idee potesse esserci qualcosa di radicalmente errato, a partire dalla pretesa di accentramento e omologazione. Più che mai, contro questi intellettuali, ormai in rovinosa caduta, non basta godere - confessiamolo - davanti alla tv ogni volta che lor signori, i mandarini del politicamente corretto, sono smentiti dalla realtà. Ogni volta che criticano con supponenza le echo chambers della rete (cioè la propensione generale a stare in contatto con quelli che la pensano come te), quando invece la prima «camera dell'eco», la prima «bolla» autoreferenziale è proprio la loro. Ogni volta che, con finta umiltà, li sentiamo invocare l'«ascolto» degli altri: ma quale ascolto, oltretutto, se parlano sempre loro? No, questo tipo di soddisfazione per il loro insuccesso non basta più. © 2020 Mondadori Libri S.p.A.
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