2020-09-08
I processi al fisco slittano ancora. Le tasse, invece, restano puntuali
Ernesto Maria Ruffini (Simona Granati - Corbis/Corbis via Getty Images)
Tra pochi giorni si dovranno pagare i tributi che il governo non ha sospeso. L'Agenzia delle entrate, intanto, ottiene un rinvio in aula a causa del coronavirus, malgrado la fase acuta dell'emergenza sia alle spalle.Prendete l'Agenzia delle entrate e i sindacati. Mixateli e salta fuori un cocktail micidiale per i cittadini. Finita la pausa estiva, con settembre ricominciano le udienza presso le commissioni tributarie (Ctr). Da un lato il contribuente accusato di irregolarità, dall'altro l'amministrazione finanziaria che sostiene le proprie ragioni, in mezzo i giudici che una volta su due si esprimono contro l'Erario. Venerdì scorso nel tardo pomeriggio, il direttore della seconda direzione provinciale di Milano, Vincenzo Gentile, ha preso virtualmente carta e penna e ha scritto alla Ctr per chiedere in modo unilaterale di far slittare un'udienza prevista per questa settimana. Il dirigente spiega che lo scorso 28 luglio a Roma è stato chiuso un accordo sindacale per definire le misure di prevenzione e la sicurezza dei dipendenti dell'Agenzia in relazione all'emergenza Covid. Solo che in questo momento la contrattazione si è spostata a livello regionale e finché non sarà terminata non si può mandare fuori sede i dipendenti. In pratica, servono le integrazioni territoriali al contratto nazionale affinché quest'ultimo diventi operativo. Nel frattempo l'Agenzia chiede il rinvio delle udienze fissate. La risposta del giudice è quasi immediata. Richiesta accolta, senza fissare nuova data. Non sapendo quando termineranno le contrattazioni territoriali, meglio astenersi a data da definire. La lettera visionata dalla Verità non è un unicum. Ci risulta che ne siano state spedite altre e non solo in Lombardia. Ovviamente, spetta al giudice decidere. Il quale avrebbe potuto semplicemente ricordare che esiste la possibilità di utilizzare le connessioni digitali per garantire i tempi dei processi. Una strada semplice e al tempo stesso efficiente, soprattutto dopo mesi di propaganda del governo, che a parole spinge per lo smart working e la digitalizzazione della Pa. Invece, nei fatti, siamo ancora al secolo scorso, soprattutto quando si tratta di gestire i rapporti tra fisco e cittadini. Siamo così indietro che viene da pensare che a qualcuno possa fare comodo. Ritardare i processi in fondo significa rimandare in un caso su due la sconfitta dello Stato nei confronti del cittadino. Eventualità ancora più grave se nel frattempo il resto della macchina fiscale va avanti. Con il decreto Cura Italia, il governo aveva previsto la sospensione dall'8 marzo al 31 maggio dei termini relativi alle attività di liquidazione, controllo, accertamento, riscossione, interpello, adempimento collaborativo, procedure di collaborazione e cooperazione rafforzata e pure degli accordi preventivi. Finita l'emergenza le attività quotidiane sono riprese. Non solo. Il dl Agosto ha fissato una volta per tutte le scadenze delle tasse correnti. I versamenti sospesi durante il lockdown devono essere pagati la prossima settimana con un bel F 24 datato 16 settembre. Per essere precisi, la metà del totale di Iva, Iperf e contributi Inps possono essere pagati in 4 rate da qui a fine anno e l'altra metà potrà essere rateizzata nel 2021 e nel 2022. Meglio che niente verrebbe da dire. Stesso discorso per il secondo acconto da pagare il 30 novembre che potrà essere rinviato ma solo per quelle aziende che hanno subito una diminuzione del fatturato di almeno un 33% rispetto al primo semestre del 2019. Invariate restano le scadenze per la pace fiscale fissate da tempo al 10 dicembre. In sintesi, al di là di una maggiore rateizzazione e della possibilità di non pagare gli acconti per chi è stato falcidiato dal Covid, fisco e governo hanno deciso che l'emergenza virus è finita. Adesso tornano utili i mega prestiti fatti alle aziende e garantiti dallo Stato (cifra arrivata a circa 72 miliardi) proprio per pagare le tasse. Le casse pubbliche non possono fare a meno delle piccole e medie imprese. Già il gettito nei primi 7 mesi del 2020 è calato del 25% rispetto allo scorso anno, derogare significherebbe non essere più in grado di pagare gli stipendi pubblici o di erogare i servizi di base. Ma se per le imprese il rischio Covid è del tutto finito, significa che per nessuno dovrebbe esserci l'emergenza. Sindacati e dipendenti dell'Agenzia dovrebbero garantire il corretto svolgimento delle attività e soprattutto permettere ai contribuenti di difendersi nei tempi previsti. Per questo motivo, sarà opportuno osservare con attenzione il prossimo cantiere fiscale annunciato dal ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri. Come ripreso ieri da alcuni quotidiani il Mef vorrebbe tagliare le tasse ai ceti meno abbienti per circa 10 miliardi. Per farlo alzerà le tasse alle imprese. Ovviamente questo i quotidiani non lo scrivono, ma si deduce facilmente dalla volontà dichiarata di tagliare le tax expenditures. Che non sono altro che agevolazioni fiscali alle imprese. Già la premessa del falso taglio di tasse deve farci alzare le antenne, ma il rischio di fregature aumenta quando si apre il capitolo partite Iva. L'idea del governo è far pagare le tasse tutti i mesi. In questo modo incasserà da febbraio ciò che dovrebbe ricevere a giugno, mentre i contribuenti correranno il rischio di dover preparare non una, ma ben 12 dichiarazioni dei redditi. Gualtieri la chiama «cash flow tax». Tradotto significa imposta che permette flussi di liquidità. Un vero e proprio lapsus freudiano. Le imposte, infatti, dovrebbero servire a pagare i servizi e non a drenare liquidità. Altrimenti i privati sono solo sudditi e il Covid è un pericolo solo per Ernesto Ruffini e i suoi dipendenti. Non per gli imprenditori.
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