2019-07-01
Inchiesta sui preti paperoni
Altro che Chiesa povera: dal frate con le finanziarie a Londra al buco da 20 milioni nei conti dei francescani di Milano, ecco come certi religiosi lucrano su offerte e lasciti testamentari. Chiesa povera per i poveri? Ma va'. In giro per la Penisola se ne trovano, di «preti paperoni». E non occorre mica tirare in ballo gli attici di qualche cardinale facoltoso. Anche un'insospettabile comunità monastica sull'Appennino forlivese può nascondere ricchi «altarini».Stiamo parlando della Piccola famiglia della Risurrezione, una confraternita sulle colline di Valleripa, in una frazione del Comune di Mercato Saraceno (Forlì-Cesena). Un paio di settimane fa, il vescovo della diocesi di Cesena-Sarsina, Douglas Regattieri, ha commissariato quella comunità monastica, sottraendone «la direzione e la rappresentanza legale» a don Orfeo Suzzi. Questo frate settantasettenne, dal classico barbone bianco, che da un po' di tempo s'era pure inventato un appellativo, Abbà Orfeo Povero, alla faccia di «sorella povertà», s'era aperto ben tre finanziarie a Londra. Tutte avviate in contemporanea, il 13 settembre 2018, con sede nei pressi della centralissima Trafalgar Square, una location in cui si sono piazzate anche altre società «virtuali». Secondo il registro delle imprese inglese, le finanziarie di Orfeo Povero sono dedite alla gestione di patrimoni immobiliari. Un business florido nella City e di sicuro insolito per un fraticello di montagna. Ma come ha fatto don Orfeo a diventare imprenditore a Londra? Il giornalista Paolo Morelli, che ha seguito la vicenda per Il Resto del Carlino, ci ha spiegato che raccogliere informazioni è difficile. La curia si è limitata a uno scarno comunicato sul commissariamento della comunità monastica. Don Suzzi non parla con nessuno (pure noi abbiamo provato a chiamarlo, ma ha sempre troncato le telefonate). E i fedeli stanno ancora dalla parte dei frati. In paese, però, si vocifera che la Piccola famiglia della Risurrezione avesse ricevuto un importante lascito testamentario. Una somma che frate Suzzi voleva far fruttare. Il religioso, peraltro, si sarebbe recato spesso a Gerusalemme, dove la comunità avrebbe aperto una sede in una struttura messa a disposizione da don Luigi Maria Verzé. Lì, Suzzi avrebbe addirittura consacrato alcune suore. Tutte ordinazioni invalide. Eppure, nonostante il commissariamento della Piccola famiglia della Risurrezione e le stravaganze di don Orfeo, il frate non è stato dimesso dallo stato clericale. E le finanziarie inglesi risultano ancora attive, intestate a lui, Abbà Orfeo Povero. Per parafrasare un film: povero, poverissimo… praticamente in saio.A proposito di uomini di Chiesa sedotti dalle prospettive di guadagno facile, una delle storie più incredibili arriva dall'Ordine dei francescani di Milano. Lo scorso 12 giugno, uno dei frati della comunità, Clemente Moriggi, è stato dimesso dallo stato clericale dopo un processo per appropriazione indebita, da cui è uscito prosciolto e dopo aver rifiutato di trasferirsi in un convento dell'hinterland. L'intrigo, che ha provocato un buco da 23 milioni di euro nelle casse dell'Ordine religioso, era cominciato nei primi anni Duemila. All'origine, un'ingente somma di denaro, derivante da offerte dei fedeli e lasciti testamentari. I francescani avevano pensato di affidare il gruzzolo a un sedicente broker italosvizzero, Leonida Rossi. Ma i rendimenti del 12%, che il finanziere prometteva, non arrivarono mai. E quando i frati capirono di essere stati raggirati, provarono a correre ai ripari. Presentarono anche un esposto in Procura nel 2014. Un anno dopo, nel novembre 2015, sentendosi alle strette per l'indagine, Rossi s'impiccò nella sua villa di Como. Ma nel maggio 2019, dopo cinque anni di processo, i tre frati alla sbarra sono stati assolti. Pericolo scampato per Giancarlo Lati, ex economo della curia generale, Renato Beretta, ex economo provinciale e il già citato Moriggi, che era stato economo della Conferenza nazionale dell'Ordine. Alcuni reati contestati erano ormai prescritti. Per le vicende successive al 2011, quando i religiosi avevano capito la frode, è arrivata l'assoluzione con formula piena: «Il fatto non sussiste». Il fatto non sussiste, ma il buco milionario rimane.Se c'è Orfeo Povero, non può mancare «monsignor 500 euro». È l'eloquente soprannome di Nunzio Scarano, già contabile dell'Amministrazione del patrimonio della sede apostolica, una sorta di banca centrale del Vaticano. Lo scorso febbraio, Scarano s'è beccato una condanna d'appello a tre anni per corruzione e calunnia. «Monsignor 500 euro» aveva tentato di far rientrare dalla Svizzera, nascosti in una valigetta sistemata su un jet privato, circa 20 milioni di euro per conto di alcuni armatori salernitani (la cui posizione è stata stralciata). Per completare l'operazione, Scarano avrebbe ingaggiato nientepopodimeno che un ex 007, Giovanni Maria Zito, cui «monsignor 500 euro», che deve il nomignolo all'abitudine di girare con banconote di grosso taglio in tasca, avrebbe versato 400.000 euro di compenso. Ma la missione era fallita e, nel 2013, il sacerdote era stato arrestato e licenziato dal Vaticano. Colto con le mani nella marmellata, Scarano aveva provato a scaricare tutta la colpa su Zito: lo aveva accusato falsamente di furto e ricettazione. Il sacerdote si era rivolto anche a papa Francesco: «Santo Padre, io non ho mai riciclato denaro sporco e non ho mai rubato». Dal Pontefice della misericordia, tuttavia, non è arrivato alcun gesto di clemenza. E, finora, nemmeno dalla magistratura.Da «monsignor 500 euro» a «don Euro». Quella di Luca Morini, anche lui dimesso dallo stato clericale, è proprio una brutta vicenda. In quanto parroco nella frazione di Fosdinovo, in provincia di Massa-Carrara, l'ex sacerdote era un solerte collettore di donazioni dei fedeli. I paesani raccontavano delle sue insistenti richieste di soldi e di come si spazientisse quando le offerte non corrispondevano alle aspettative. Ovviamente, Morini giustificava le continue questue con la necessità di finanziare ospedali e altre opere filantropiche. Intanto, i puntuti concittadini toscani lo avevano già soprannominato «don Euro». Anche perché, si è scoperto grazie alle indagini della Procura di Massa, Morini utilizzava il denaro per pagarsi hotel di lusso, festini ed escort gay. Era stato uno dei gigolò, Francesco Mangiacapra, attirato dal prete con la promessa di un impiego in Parlamento, a denunciare alla curia il religioso e a sollevare il velo sulla sua doppia vita, nel 2015. Così, erano venute a galla le spese pazze del parroco: si parlava di un flusso di 5 milioni di euro, di 8.000 euro per le sole spese quotidiane, di un conto da 700.000 euro e di diamanti per 120.000 euro. A un certo punto, Morini aveva tentato anche di ricattare il vescovo, monsignor Giovanni Santucci, minacciando di rivelare il nome di altri 37 preti che sarebbero stati coinvolti, a suo dire, negli stravizi. In ballo ci sarebbe stata anche una misteriosa valigetta, di cui il vescovo e l'ex parroco conversavano in un'intercettazione: monsignor Santucci consiglia a «don Euro» di rispondere in maniera evasiva se interrogato sui dossier che conteneva, mentre Morini lo rassicura: «Non c'era la cosa più importante, i documenti compromettenti io ce l'ho al Forte che… Con una signora che la chiave in una banca». Anche il vescovo, in effetti, era finito nella bufera. A quanto pare, per tenere a bada «don Euro», specialmente nei mesi successivi a un servizio delle Iene, la diocesi aveva comprato a Morini un appartamento a Marina di Massa. Secondo gli investigatori, la curia avrebbe persino pagato in nero la colf dell'ex parroco, 800 euro al mese. E le utenze dell'abitazione erano intestate dalla diocesi. Monsignor Santucci era stato rinviato a giudizio, con due capi d'imputazione: tentata truffa ai danni di Cattolica Assicurazioni, cui avrebbe fatto pressioni per aumentare il premio d'invalidità a «don Euro» e appropriazione indebita, per aver prelevato 1.000 euro da una fondazione diocesana. Denaro poi consegnato a Morini. Ma a salvare il monsignore sono arrivate le disposizioni del decreto Orlando, che per i reati contro il patrimonio caratterizzati dal «modesto valore offensivo» prevede la procedibilità a querela di parte: insomma, senza una denuncia da parte di Cattolica Assicurazioni, il vescovo doveva essere prosciolto. Monsignor Santucci ha accusato i media di aver pompato la vicenda per alimentare una forma di «curiosità morbosa», chiarendo che i soldi prelevati dalla fondazione diocesana erano a sua disposizione ai sensi del diritto canonico. Sia come sia, ma a fronte del clamoroso scandalo, nemmeno «don Euro» pare rischiare conseguenze penali. Nonostante il tribunale di Genova gli avesse confiscato beni per 700.000 euro, individuando ben 30 parti lese, dai parrocchiani non è arrivata alcuna denuncia per truffa. E l'unico reato che si potrebbe contestare all'ex sacerdote è la sostituzione di persona: per coprire la sua vera identità durante uno dei tanti viaggi extralusso, avrebbe fornito false generalità. L'ultima novità? I legali di Morini hanno chiesto una perizia psichiatrica, in vista di un'udienza fissata per il 17 luglio. Tutto può finire a tarallucci e vino. O, conoscendo i gusti di «don Euro», a ostriche e champagne.
Il ministro dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida (Ansa)
Lo stabilimento Stellantis di Melfi (Imagoeconomica)
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