2024-11-22
«I pm volevano far carriera con l’Enigate»
Il presidente del collegio del tribunale di Brescia Roberto Spanó pronuncia la sentenza di condanna per i pm di Milano Sergio Spadaro e Fabio De Pasquale (Ansa)
De Pasquale e Spadaro, che devono scontare otto mesi di reclusione per non aver depositato atti favorevoli alla difesa, pensavano di guadagnare prestigio dall’inchiesta sulle presunte tangenti. Nelle motivazioni si legge che l’obiettivo era la Procura Europea.Con una vittoria al processo Eni-Shell Nigeria, i due pm Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro avrebbero potuto rendere il terzo dipartimento «il fiore all’occhiello» della procura di Milano di Francesco Greco. Ma soprattutto avrebbero aumentato il proprio prestigio personale che avrebbe permesso loro anche «di fare carriera in istituzioni importanti come la procura Europea». Peccato abbiano ottenuto il risultato opposto, perdendo il processo e minando così la stessa credibilità della magistratura, decidendo di utilizzare «solo ciò che poteva giovare alla propria tesi, tralasciando chirurgicamente i dati nocivi che pure erano stati portati alla loro attenzione dal dottor Storari». E questi sono fatti «di particolare gravità» anche, perché «gli imputati hanno deliberatamente taciuto l’esistenza di risultanze investigative in palese ed oggettivo conflitto con» le accuse. È quanto si legge nelle 136 pagine di motivazioni di condanna a 8 mesi di reclusione di De Pasquale e Spadaro, accusati di rifiuto di atti d’ufficio per non aver depositato atti favorevoli alle difese nel processo Eni Shell Nigeria che si è chiuso con l’assoluzione di tutti gli imputati «perché il fatto non sussiste». In pratica, l’inchiesta che avrebbe dovuto smascherare una presunta tangente da 1 miliardo di dollari sarebbe stata portata avanti anche per fini personali, come carriera e prestigio, ma non per rendere chiarezza e giustizia nell’intricata vicenda nigeriana. Nella sentenza firmata dal presidente della seconda sezione penale Roberto Spanò, viene evidenziata in particolar modo la figura di Paolo Storari, il procuratore aggiunto che nel 2021 stava lavorando su un procedimento collegato (il falso complotto) e aveva scoperto che uno dei testi chiave, l’ex manager Eni Vincenzo Armanna (che arriverà persino a mettere in dubbio l’onestà del giudice Marco Tremolada ndr), stava raccontando e riportando solo notizie false ai suoi colleghi. È il 18 gennaio del 2021 quando Storari invia all’allora capo della procura Francesco Greco e al procuratore aggiunto Laura Pedio un file denominato Falsità di Armanna, confezionato sulla base di un’annotazione che gli era arrivata il 14 gennaio dalla Guardia di Finanza. In quella mail Storari sollecita a depositare a processo «elementi piuttosto forti» che «provano come Armanna, Amara e Calafiore abbiano reso dichiarazioni false su Granata (Claudio, all’epoca capo risorse umane ndr) e Descalzi (Claudio amministratore delegato di Eni ndr) calunniandoli». Storari spiega che sarebbe doveroso da parte di De Pasquale portare questi elementi a conoscenza delle difese. «Mi sembra un atto dovuto, e credo che si debba farlo al più presto, prima possibile. Altrimenti, potremmo essere accusati di avere scoperto la calunnia di Armanna e di aver detto nulla alle difese, ovvero, ancora peggio, di non aver detto nulla per evitare che il Tribunale avesse quegli elementi che sono determinanti per sbugiardare Armanna [...] ». Storari non si ferma al 18 gennaio. Invia altre comunicazioni a Greco e Pedio anche il 23 gennaio, il 4 e il 9 febbraio, ribadendo come «la stessa tempestività e solerzia avute nel trasmettere i verbali di Amara e Armanna a De Pasquale - avrebbe dovuto essere coerentemente messa in pratica - anche quando le indagini - avevano rivelato - elementi che smentivano- quanto in precedenza trasmesso». Il 19 febbraio Storari invia la richiesta mettendo in copia anche De Pasquale e Spadaro, dove aggiunge anche altri particolari, sul fatto che Armanna avrebbe pagato un testimone e che alcune chat erano palesemente false. Ma quelle prove - compreso il video negli uffici di Ezio Bigotti dove Armanna annunciava «di voler far arrivare valanghe di merda» ad alcuni dei dirigenti apicali di Eni - continuavano a stare nei cassetti della pubblica accusa. «Eni non deve uscire bene da questo processo. Questo è stato detto a me a chiare lettere» metterà lo stesso Storari a verbale il 3 ottobre del 2023 ricordando che quando domandò personalmente alla dottoressa Pedio (che secondo Spanò non avrebbe detto la verità alla procura di Brescia su una questione investigativa) i motivi per cui non venivano depositate le falsità di Armanna, l’aggiunto (ora a capo della procura di Lodi) aveva replicato così. «Paolo, dobbiamo fare squadra, la Procura non può permettersi di perdere questo processo». Del resto, l’ufficio milanese, scrive il presidente del tribunale bresciano, «aveva assunto un atteggiamento ostruzionistico poiché non poteva “permettersi di perdere” il processo Eni Nigeria». Una condanna nel processo, del resto, sarebbe servita anche a giustificare le scelte organizzative della Procura. Greco aveva attribuito al terzo Dipartimento guidato da De Pasquale - quello che si occupava della corruzione internazionale (chiamato scherzosamente dai colleghi «il dipartimento viaggi e vacanze»)-, carichi di lavoro inferiori rispetto a quelli di altre aree. Eppure, Storari lo aveva spiegato più volte ai suoi colleghi. «Guardate che la Procura uscirebbe benissimo, se dite che abbiamo scoperto che Armanna è un calunniatore, facciamo una grandissima figura […] perché diamo proprio la sensazione di una procura indipendente e trasparente». In pratica l’ufficio diretto da Greco poteva uscire «in maniera perfetta» e «invece siamo usciti come siamo usciti, cioè con le ossa a pezzi». A pezzi non proprio. De Pasquale non è più procuratore aggiunto, ma è ancora in organico ed è ancora pubblica accusa in un processo collegato a quello principale, nonostante le assoluzioni. Spadaro, invece, è proprio in forze alla procura Europea.
Francesca Albanese (Ansa)
Andrea Sempio. Nel riquadro, l'avvocato Massimo Lovati (Ansa)