2023-12-14
I pasticci di Conte e il blitz di Di Maio. La cronistoria del «sì» al Salvastati
Luigi Di Maio e Giuseppe Conte (Ansa)
Il fax mandato il giorno dopo la fine del governo giallorosso è stato l’ultima tappa della trattativa condotta da Giovanni Tria nel 2019 nonostante il no dell’Aula. L’indiscrezione: «Giuseppi sapeva: puntava al terzo mandato».Giorgia Meloni ieri al Senato ha sventolato un fax in faccia al M5s, un colpo di teatro molto efficace dal punto di vista comunicativo ma pure estremamente interessante da quello politico. «Vi ho portato un bel fax», scandisce la Meloni, che poi legge il testo del documento, inviato il 20 gennaio 2021 dall’allora ministro degli Esteri del governo giallorosso Luigi Di Maio a Maurizio Massari, all’epoca rappresentante permanente dell’Italia a Bruxelles. «Per il rappresentante permanente d’Italia presso l’Unione europea ambasciatore Maurizio Massari», declama la Meloni, «la signoria vostra è autorizzata a firmare l’accordo recante modifica del trattato che istituisce il Meccanismo europeo di stabilità, firmato Luigi Di Maio». La Meloni va in crescendo: «Questa firma», rivela il presidente del Consiglio, «è stata fatta un giorno dopo le dimissioni del governo Conte, quando il governo Conte era dimissionato, in carica solamente per gli affari correnti, contro il parere del Parlamento, senza dirlo agli italiani e con il favore delle tenebre. Capisco il vostro imbarazzo: dalla storia non si esce. La propaganda si può fare, ma poi rimangono i fogli a dimostrare la serietà e questi fogli dimostrano la serietà di un governo che in silenzio prima di fare gli scatoloni lasciava questo pacco al governo successivo». Il premier infatti mostra una carta del gennaio 2021 che è una vera e propria pistola fumante, anche se nella foga del discorso commette una leggera imprecisione: il Parlamento, con la maggioranza giallorossa, aveva infatti approvato, il 9 dicembre 2020, una risoluzione di maggioranza che impegnava il governo Conte 2 a «finalizzare l’accordo politico raggiunto all’Eurogruppo e all’ordine del giorno dell’Euro summit sulla riforma del trattato del Mes». In dissenso dal gruppo si era espresso il senatore pentastellato Mattia Crucioli, mentre alla Camera ben 13 deputati M5s avevano votato contro e nove si erano astenuti. Il motivo della spaccatura? Il clamoroso voltafaccia di Giuseppi: quando era al governo sostenuto da M5s e Lega, infatti, il governo e la maggioranza si erano espressi contro la ratifica del nuovo Mes, con tanto di risoluzione sottoscritta dai due capigruppo alla Camera, Riccardo Molinari del Carroccio e Francesco D’Uva del M5s, approvata a Montecitorio il 19 giugno 2019. Questa risoluzione, in vista del Consiglio europeo del 20 e 21 giugno, impegnava il governo «in ordine alla riforma del Meccanismo europeo di stabilità, a non approvare modifiche che prevedano condizionalità che finiscano per penalizzare quegli Stati membri che più hanno bisogno di riforme strutturali e di investimenti, e che minino le prerogative della Commissione europea in materia di sorveglianza fiscale». Eppure, l’allora ministro dell’Economia, Giovanni Tria, continuava a trattare sulla riforma del Mes, come ammise in un’intervista del novembre 2019 a Repubblica, che ricorda come proprio nel giugno 2019 si chiuse un accordo su una bozza di riforma del Mes da sottoporre al summit dei giorni successivi: «Si trattava di tradurre», spiegò Tria, «in un testo definito l’accordo che era stato raggiunto nel dicembre precedente. Le trattative andarono avanti fino all’alba a Bruxelles perché il mandato era quello di non cedere su una questione non secondaria: alcuni Stati volevano che si prevedesse che le metodologie specifiche per valutare la sostenibilità dei debiti sovrani fossero rese pubbliche», aggiunse Tria, «mentre per noi era inaccettabile perché avrebbe significato aprire una corsa a valutazioni prospettiche anche fantasiose su un tema per noi di stretta competenza della Commissione che è un organo politico. Quindi ci opponemmo e la spuntammo. Nelle prime ore del mattino mi arrivò la telefonata di Conte che si complimentò per il risultato raggiunto. Immagino», sottolineò Tria, «che i due vice presidenti del Consiglio fossero informati del buon risultato». I due vicepremier erano Luigi Di Maio e Matteo Salvini, che smentì clamorosamente Tria: «Noi abbiamo reiteratamente invitato Tria a venire in commissione e in Parlamento, senza sortire alcun effetto», disse Salvini, «ci è sempre stato detto: tranquilli, non abbiamo preso alcun impegno. Invece qualcuno, magari per motivi non esclusivamente di interesse nazionale, l’impegno lo aveva già preso». Insomma, la riforma del Mes è uno di quegli argomenti sui quali le manovre del potere «vero», quello del cosiddetto deep State, quello formato da banchieri, lobbisti, grande finanza internazionale, si sono sempre impegnati, e pure molto. La Verità ha chiesto a una fonte molto bene informata sui fatti perché Di Maio, il giorno dopo le dimissioni di Conte e del governo giallorosso, si precipitò a inviare quel messaggio di istruzione a Massari e se Conte fosse a conoscenza della mossa del suo ex amico e collega di partito: «Conte sapeva tutto», ci rivela il nostro interlocutore, «e quel messaggio inviato a Bruxelles voleva essere un modo per farsi benedire dall’Europa e dal Quirinale il suo terzo governo, che poi non vide mai la luce. Ricordiamo infatti che Conte provò in tutti i modi a racimolare in Parlamento i voti necessari a sostituire quelli che gli aveva tolto Matteo Renzi. Per quel che riguarda Di Maio, invece, quel fax aveva lo stesso significato: accreditarsi con l’Europa. Di Maio restò poi a fare il ministro degli Esteri anche con Mario Draghi». A proposito di Draghi, ma perché durante il governo di nonno Mario il parlamento non ratificò mai il Mes? «Il ministro dell’Economia, Daniele Franco», ricorda la nostra fonte, «tendeva a rinviare la discussione, temeva problemi nella maggioranza, che comprendeva anche la Lega».
Donald Trump (Getty Images)
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 28 ottobre con Carlo Cambi
Il cardinale Matteo Zuppi (Getty Images)