2021-06-17
I medici rischiano di doverci ammazzare
Giudice impone all'ex Asl di Ancona di «verificare» la situazione di un tetraplegico che da anni chiede di essere ucciso. In presenza delle condizioni previste dalla sentenza della Consulta, agli stessi sanitari potrebbe essere imposto di eseguire il suicidio assistito. Un'ordinanza del tribunale civile di Ancona fa squillare un inquietante campanello d'allarme: i medici rischiano di essere obbligati a sopprimere i pazienti che lo richiedano. Sarebbe una delle conseguenze (inintenzionali, magari) della sentenza con cui la Corte costituzionale, nel 2019, depenalizzò il reato di aiuto al suicidio, in presenza di quattro condizioni: che il proposito del morituro si fosse formato «autonomamente e liberamente» e che, dunque, egli fosse «pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli»; che egli fosse «tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e», infine, che fosse «affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli» reputasse «intollerabili». Secondo la Consulta, che allora aveva come presidente Giorgio Lattanzi e come vicepresidente Marta Cartabia, oggi Guardasigilli, la verifica dovrebbe effettuarla una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente. Ciò premesso, veniamo alla vicenda accaduta nelle Marche. Il Collegio del tribunale di Ancona ha ordinato all'Azienda sanitaria unica regionale di accertare la sussistenza dei requisiti per accedere al suicidio assistito in un quarantatreenne tetraplegico, che aveva presentato un'istanza alla sua Asl il 28 agosto 2020. L'uomo, che ha scelto il nome di fantasia Mario, subì un grave incidente stradale, patendo la frattura della colonna vertebrale con lesione del midollo spinale. Da dieci anni è tetraplegico, soffre di altre gravi patologie e le sue condizioni sono giudicate irreversibili. Lo scorso anno aveva domandato all'Azienda sanitaria locale di valutare se sussistessero le condizioni elencate dalla Corte per accedere al suicidio assistito, ma a ottobre la Asl aveva opposto diniego alla richiesta. Così, assistito dai legali dell'associazione Luca Coscioni, Mario ha presentato un ricorso d'urgenza al tribunale di Ancona. Ma il 26 marzo 2021 il giudice ha confermato la decisione della struttura pubblica. Con una motivazione che ci porta al nocciolo della questione. Il magistrato, «pur riconoscendo che il paziente ha i requisiti» individuati dalla Consulta, non riteneva che «la Corte abbia fondato anche il diritto del paziente […] a ottenere la collaborazione dei sanitari nell'attuare la sua decisione di porre fine alla propria esistenza». Il diritto del malato non è «diretta conseguenza dell'individuazione della nuova ipotesi di non punibilità». La sentenza, in pratica, ammetteva che Mario si trova nella situazione canonica descritta dalla Corte costituzionale, ma ricordava anche come non fosse stato istituito alcun obbligo, in capo al personale sanitario, di togliere la vita al degente. Costui ha diritto a chiedere; quegli altri non sono costretti a eseguire. Perciò, l'uomo ha presentato reclamo, finché, con una nuova ordinanza, il tribunale ha ordinato all'Azienda sanitaria marchigiana di provvedere, previo parere del comitato etico territoriale, ad accertare se Mario possa o no ottenere il suicidio assistito e se «le modalità, la metodica e il farmaco [...] prescelti siano idonei a garantirgli la morte più rapida, indolore e dignitosa possibile». Di qui, il giubilo di Filomena Gallo, segretario dell'associazione Coscioni, che ne ha approfittato per rilanciare la campagna per la legge sul fine vita, con una raccolta di «500.000 firme tra giugno e settembre», al fine di «legalizzare l'eutanasia in questa legislatura». Il punto, però, non è solo che i magistrati abbiano intimato a una struttura sanitaria pubblica, che aveva rifiutato di farlo, di esaminare il caso del tetraplegico alla luce della sentenza della Consulta. In fondo, gli stessi giudici di Ancona avevano già precisato che Mario possiede i requisiti. Sarà dirimente, semmai, vedere cosa succederà dopo l'analisi. Ovvero: se anche a parere dell'Asur vigessero le condizioni per accedere al suicidio assistito, medici e infermieri potrebbero essere forzati a soddisfare il desiderio del paziente? Nella sua sentenza, la Corte costituzionale affermava di non voler «creare alcun obbligo di procedere a tale aiuto» al suicidio «in capo ai medici. Resta affidato, pertanto, alla coscienza del singolo medico scegliere se prestarsi, o no, a esaudire la richiesta del malato». Tuttavia, il fatto che la Consulta non abbia introdotto un obbligo non significa né che tale obbligo fosse reputato incostituzionale, né che un giudice, o semplicemente una Asl, non imporranno ai sanitari di sopprimere pazienti che difficilmente sarebbero in grado di rivolgersi a strutture lontane dalla loro residenza. Il taxi per la Svizzera con Marco Cappato non è disponibile per tutti. E se dovesse essere la stessa Azienda sanitaria unica regionale ad ammettere che il quarantatreenne tetraplegico ha diritto di ottenere il suicidio assistito, nell'eventuale impossibilità di trovare dottori disposti a cooperare, a qualcuno potrebbe venire in mente di precettarli. Sollevando così una gigantesca controversia, che chiama in causa il giuramento d'Ippocrate, nel quale si legge: «Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale». La partecipazione alla procedura per la dolce morte, in effetti, integrerebbe una violazione della deontologia medica già laddove i camici bianchi fossero favorevoli; figuriamoci se si tentasse di costringerli. Ad esempio, con la scusa che un tetraplegico non può girare l'Italia in cerca di un ospedale pubblico che lo faccia morire. È l'effetto Consulta. La quale si è rimessa, sì, alle «singole coscienze», senza però dichiarare esplicitamente che un obbligo sarebbe incostituzionale. Cosa succederebbe, quindi, se Gallo e soci convincessero l'Aula e questa licenziasse una norma che non ammette l'obiezione, almeno nei casi in cui l'opposizione massiccia dei medici rendesse, di fatto, impossibile al malato fruire del suo nuovo diritto? Accadrà che ai dottori verrà imposto di fare il contrario di quello che hanno giurato?
Il presidente di Assoprevidenza Sergio Corbello (Imagoeconomica)
Il presidente di Assoprevidenza Sergio Corbello: «Dopo il 2022 il settore si è rilanciato con più iscritti e rendimenti elevati, ma pesano precariato, scarsa educazione finanziaria e milioni di posizioni ferme o con montanti troppo bassi».