2019-03-01
Come evitare la prossima crisi bancaria made in Ue
Sulla stampa le parole del ministro sulla Germania non trovano spazio. Come accadde a quelle di Yanis Varoufakis che rivelò: «Schäuble ha imposto il Jobs act a Padoan». Che senso ha l'Ue se non si chiariscono questi temi?Fabrizio Saccommanni, ministro del governo Letta che negoziò con l'Ue nega il ricatto e dice «Figuriamoci!». Sul tema però ha già cambiato versione più volte. Nel 2013 esultò, nel 2017 ammise in Parlamento che fummo costretti ad accettare tutto.Lo scorso dicembre il bail in è entrato nella seconda fase: la vigilanza potrà bloccare i conti. Il governo è stato zitto. Ora serve sostenere la raccolta degli istituti e creare, in collaborazione con essi, un fondo nazionale per le dismissioni degli immobili.Lo speciale contiene tre articoliMercoledì pomeriggio, il ministro dell'Economia Giovanni Tria era in audizione presso la commissione Finanze del Senato. Il presidente della commissione Alberto Bagnai aveva per la prima volta attivato l'articolo 4 della legge 234 del 2012, che prevede la consultazione e informazione del Parlamento, da parte del governo, in occasione delle riunioni del Consiglio europeo. Un modo efficace e formale per collegare il nostro Parlamento ai decisivi incontri europei e non lasciare alle veline, opportunamente pilotate, il ruolo di protagoniste dell'informazione.In quella sede, Tria ha detto senza tanti giri di parole ciò che è già dal 21 dicembre 2017 agli atti ufficiali del Parlamento. L'approvazione del bail in a fine dicembre 2013 avvenne in un clima di urgenza e sotto la minaccia che il fallimento dei negoziati mettesse in difficoltà il nostro Paese sui mercati finanziari. Basta rileggersi il resoconto stenografico dell'audizione del ministro dell'Economia dell'epoca, Fabrizio Saccomanni, per avere conferma che il termine usato da Tria (ricatto, peraltro attribuito a una dichiarazione dello stesso Saccomanni) è coerente con quanto è agli atti.Già in un'intervista apparsa sul Corriere della Sera del 10 giugno 2017, anche il governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco rimproverava sostanzialmente a Saccomanni (senza mai nominarlo) di essersi fatto fregare dai tedeschi che gli avevano promesso l'avvio contemporaneo di bail in e assicurazione comune sui depositi, senza poi attuarla. Ma quanto aveva detto Saccomanni il 21 dicembre 2017 nel corso dell'audizione presso la commissione d'inchiesta sul sistema bancario, sotto certi aspetti, è ancora più dirompente delle parole di Tria.In quella sede, Saccomanni (che ieri ha risposto alle parole sul ricatto con un «Figuriamoci!»), pur non pronunciando mai la parola «ricatto», affermò che il negoziato andava chiuso in fretta e che l'Italia non disponeva di alcun appoggio negli altri Paesi per fare passare una versione del bail in più morbida e non retroattiva. La posizione della Germania era egemone e premeva verso l'adozione di un bail in esteso a tutte le passività bancarie. Saccomanni confermò che la trattativa si svolse sotto la minaccia della reazione dei mercati verso un ritardo o, peggio, un fallimento dei negoziati. I difetti di quei provvedimenti erano noti e dettagliatamente esposti anche da Banca d'Italia ma il massimo che Saccomanni riuscì a raccogliere fu una pacca sulla spalla («"Sì, in effetti voi avete ragione, questa situazione rischia di essere difficile da gestire, però...". Lascio i puntini di sospensione per non dire cose più sgradevoli…») .Ma c'è un altro, a suo modo ancora più clamoroso documento che rende plausibile il clima di ricatto in cui si svolse quel negoziato. In una lettera del 13 dicembre 2013 al presidente dell'Ecofin, Saccomanni esprimeva molte perplessità e concludeva dicendo che non bisognava correre per creare un'unione bancaria imperfetta ma piuttosto prendersi il tempo necessario per averne una ben funzionante. Si sa com'è finita. Solo cinque giorni dopo, Saccomanni commentava trionfante su Twitter: «Con l'Unione bancaria risparmiatori meglio tutelati, possibilità più credito e costo denaro più basso». Cosa gli ha fatto cambiare idea in soli cinque giorni? Accettando regole che tutti, Banca d'Italia in testa, sapevano essere letali per il nostro sistema bancario?Ma ciò che stupisce è il trattamento riservato oggi dai media italiani alla dichiarazione di Tria che fa il paio con quello riservato a dicembre all'audizione di Saccomanni. Anziché valorizzare la situazione di permanente minaccia che caratterizza tutte le trattative italiane in Europa, a partire da quella famosa notte del novembre 1996 che portò alla definizione del cambio lira/marco tedesco a 990 da cui scaturì il cambio euro/lira a 1.936,27, tutti i media hanno derubricato la dichiarazione di Tria a mero incidente. In questo aiutati dal goffo comunicato serale del Mef su Twitter.Ai nostri media non interessa approfondire la situazione di strutturale divergenza di interessi tra il blocco tedesco e l'Italia in particolare, che si riscontra a ogni riunione dell'Eurogruppo, dell'Ecofin o del Consiglio europeo. Tale situazione finisce quasi sempre per risolversi in un'adesione incondizionata alle richieste tedesche o francotedesche, che impongono il loro potere contrattuale e fanno leva sul potere disciplinante dei mercati e della Bce. Se avessero avuto interesse, avrebbero enfatizzato a suo tempo quanto scritto da Yanis Varoufakis nel suo libro Adulti nella stanza. In circa 500 pagine di dettagliate descrizioni delle riunioni di Eurogruppo ed Ecofin da febbraio a luglio 2015 vengono rivelati i metodi intimidatori usati in quelle riunioni dei quali, non a caso, poco o nulla è mai trapelato sulla grande stampa.Uno dei passaggi del libro riguarda proprio l'Italia e Pier Carlo Padoan. Quando questi chiese a Wolfgang Schäuble cosa fosse possibile fare per attenuare la sua aggressività, si sentì suggerire la riforma del lavoro poi nota come Jobs act. Quando quella legge passò in Parlamento, si sciolse il gelo tra i due. Padoan a quel punto suggerì a Varoufakis: «Perché non fai anche tu qualcosa del genere?».Di fronte a questi eventi decisivi per le sorti del nostro Paese, che avrebbero dovuto suscitare un dibattito a reti e giornali unificati, la desolante risposta arrivata dai nostri media è stata quella del conte zio di manzoniana memoria: «Sopire, troncare, padre molto reverendo, troncare, sopire…».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-giornali-preferiscono-far-sparire-il-ricatto-allitalia-svelato-da-tria-2630302896.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="le-due-facce-di-saccomanni-sul-bail-in-da-accordo-storico-a-debacle" data-post-id="2630302896" data-published-at="1757916907" data-use-pagination="False"> Le due facce di Saccomanni sul bail in: da «accordo storico» a débâcle Davanti alla commissione Finanze del Senato, l'altro ieri, il ministro Giovanni Tria ha usato la parola «ricatto» a proposito di come l'Italia dovette subire gli orientamenti tedeschi su bail in e unione bancaria: poche ore più tardi, forse il ministro se n'è pentito, o qualcuno l'ha indotto a pentirsene. Sta di fatto che esiste una prova schiacciante che mostra come Tria abbia semplicemente detto la verità, ammettendo ciò che troppi - oggi - cercano di rimuovere o sbianchettare. A partire proprio da Fabrizio Saccommanni, nel 2013 ministro dell'Economia del governo Letta, che ieri, a 24 ore dalle dichiarazioni dell'attuale titolare del Mef, ha risposto a chi gli chiedeva se si sentiva ricattato: «Ma figuriamoci. Di quello non parlo e comunque poi il ministro ha ritrattato. Io ho fatto una deposizione alla commissione d'inchiesta sul bail in». Ha quindi aggiunto che «il consenso internazionale, al livello globale, su questi principi è cominciato nel 2011, quindi quando io facevo altre cose». Ma cosa disse Saccomanni nell'audizione del 21 dicembre 2017 alla commissione di inchiesta sulle banche che anche oggi ricorda? In quella sede, ammise un'autentica Caporetto negoziale nel 2013: è vero, non usò la parola «ricatto», ma la sua ricostruzione fu ancora più umiliante per l'Italia. Prima di tutto, ecco l'ammissione di come il succo delle proposte italiane fosse stato respinto: «Ho sempre sostenuto […] la necessità che ogni tipo di bail in non avesse natura retroattiva, che venisse applicato solo su titoli di nuova emissione […], e infine, che venisse introdotto con gradualità […]. La nostra posizione non è stata recepita nella proposta finale». Saccomanni non ricorse a giri di parole sul 2013: «Le decisioni sono prese a maggioranza e qualcuno si è chiesto perché l'Italia non abbia posto il veto. [...] L'Italia, purtroppo, in questa sede era rimasta in netta minoranza . […] Una possibilità di riaprire il negoziato sull'unione bancaria sarebbe slittata sicuramente al 2015. Che cosa poteva succedere all'Italia, al debito pubblico, al nostro spread, in un periodo di tale durata? Era effettivamente un rischio importante. Ma ora veniamo al perché siamo in minoranza. All'epoca c'era un gruppo di Paesi, capeggiato dalla Germania […] convinti ideologicamente e filosoficamente della necessità di portare avanti questo approccio molto severo. Poi avevamo un gruppo di Paesi che teoricamente, almeno sulla carta, erano possibili alleati, i quali però - come si dice in gergo - erano sotto programma: parliamo della Grecia, dell'Irlanda, del Portogallo e della Spagna. Tutti questi Paesi erano debitori della Commissione dell'Ue e quindi pro quota maggiori debitori della Germania; […] la loro situazione era già oggetto di un monitoraggio o meglio di un commissariamento da parte delle autorità europee che controllavano passo passo le loro iniziative. […] Ultima considerazione: nei confronti dell'Italia in quel momento c'era una situazione quasi degasperiana (cioè di dopoguerra, ndr), cioè c'era il rispetto per le persone che erano lì, che rappresentavano l'Italia, ma non di più. Come disse Alcide De Gasperi: “Posso contare solo sul vostro rispetto personale"». Se non è il quadro di un ricatto oggettivo, poco ci manca. Ed ecco la sconsolata conclusione di Saccomanni (sempre a dicembre 2017, occhio alle date): «Questa combinazione di fattori […] ha fatto sì che anche le argomentazioni che noi avanzavamo venissero accolte privatamente dicendo: “Sì, in effetti voi avete ragione, questa situazione rischia di essere difficile da gestire, però...". Lascio i puntini di sospensione per non dire cose più sgradevoli». Davanti a tutto questo, però, Saccomanni, insieme al premier di allora Enrico Letta e diversi altri «titolati» di quella fase storica (a partire dalla Banca d'Italia) avrebbero il dovere di chiarire quattro cose. 1 Perché nel dicembre del 2013 Saccomanni esultò a seguito dell'Ecofin decisivo? Ecco una reazione ripresa dal Sole 24 Ore: «Dopo oltre 12 ore di negoziati l'Ecofin raggiunge l'accordo “storico", come lo definisce il ministro Fabrizio Saccomanni. Si tratta della seconda tappa dell'unione bancaria. Per Saccomanni è ora “sventato il rischio di una nuova Lehman Brothers"». Su Repubblica (sempre a dicembre 2013), torna l'aggettivo «storico»: di più, nel racconto di Rep c'è un Saccomanni che ha pure piegato la Germania. «Saccomanni ha parlato di “risultato storico", paragonabile a “un'altra storica conclusione che era quella dell'unione monetaria"». E ancora: La Germania ha dovuto cedere sui «backstop. «Siamo riusciti a creare consenso sulla creazione di uno strumento o veicolo di backstop che è diverso dall'Esm ma che opera con finalità di gestione della crisi e controllo dei contagi». Insomma, un trionfo, per come Saccomanni l'aveva raccontata nel 2013. 2 Alla narrazione trionfante si unì Enrico Letta: «Finita ora sessione Consiglio europeo. Approvata banking union. Per tutelare risparmiatori ed evitare nuove crisi. Buon passo verso Ue più unita». 3 Un anno-un anno e mezzo dopo, nel pieno del recepimento parlamentare della normativa, il governo disse no a tutte le proposte più ragionevoli: no a una moratoria del bail in; no a tempi più lunghi per introdurlo (anzi: accelerarono!); no perfino a una campagna di informazione sulla Rai diretta ai risparmiatori. 4 Contestualmente, non poche voci chiedevano che la Banca d'Italia informasse tempestivamente sulle situazioni potenzialmente più critiche: e invece, in ogni sede, si ripetevano rassicurazioni sulla solidità delle nostre banche. Ecco perché, anziché affrettarsi a rimuovere la voce dal sen fuggita (di Tria), in diversi dovrebbero dare spiegazioni convincenti. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-giornali-preferiscono-far-sparire-il-ricatto-allitalia-svelato-da-tria-2630302896.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="come-evitare-la-prossima-crisi-made-in-ue" data-post-id="2630302896" data-published-at="1757916907" data-use-pagination="False"> Come evitare la prossima crisi made in Ue La gara a prendere le distanze dall'approvazione del bail in è un esercizio politico. Le colpe ci interessano. Ma la futuro del sistema bancario interessa ancora di più, e quindi serve analizzare le travi in arrivo. Altrimenti, discutere di bail in non serve a nulla e le prossime sberle faranno altrettanto male. Purtroppo nemmeno Giovanni Tria (che ha denunciato la passività del governo Letta) ha piazzato i cavalli di frisia a difesa del sistema bancario italiano. Non stiamo a entrare nel concetto di tutela dei risparmiatori: ciò che interessa è la stabilità del comparto del credito che rappresenta uno dei pilastri della sicurezza nazionale, come giustamente ieri hanno sottolineato i nostri servizi di intelligence a pagina 68 della relazione annuale. Per questo motivo avremmo voluto che Tria denunciasse il «ricatto» (per usare le sue parole) già lo scorso dicembre, quando l'Ue ha applicato la seconda fase del bail in. L'Italia invece ha taciuto, e l'ha fatto in cambio di maggiore flessibilità sulla manovra. «È un passo molto importante nella direzione dell'Unione bancaria, sono misure che rendono il sistema bancario europeo più forte, stabile e resiliente», ha detto il ministro austriaco Hartwig Loger, presidente di turno dell'Ecofin. Le misure del nuovo pacchetto bancario puntano a «rafforzare il quadro della risoluzione bancaria», in particolare fissando il livello necessario e la qualità delle passività sottoposte a bail in. Il dettaglio interessante però è un altro: la postilla. Il nuovo pacchetto «introduce la possibilità per le autorità di risoluzione di sospendere i pagamenti di una banca o gli obblighi contrattuali quando è sotto risoluzione - il cosiddetto moratorium tool - per aiutare a stabilizzare la situazione della banca». E per evitare la fuga dallo sportello. Che significa? La Verità ha già trattato questo argomento più di un anno fa. A novembre del 2017, infatti, a seguito di richiesta della Consiglio europeo e del Parlamento, la Banca centrale europea pubblicò un parere sulle proposte di riforma della normativa che regola il bail in. E immaginò un inasprimento. Proviamo a immaginare l'eventualità nella quale una banca finisca nel mirino del regolatore. A seguito di ripetuti crolli sui mercati azionari - oppure di indiscrezioni trapelate a mezzo stampa - scatterebbe il cosiddetto bank run, cioè la corsa agli sportelli da parte dei correntisti allo scopo di salvare i propri risparmi. In questo caso, potrebbe entrare in scena il moratorium tool, il blocco o la contingentazione dei prelievi e dei bonifici. Bankitalia lo scorso dicembre non ha levato gli scudi. Va dedotto che è d'accordo? Eppure le dichiarazioni ufficiali portano verso la strada dell'alleggerimento del bail in, e di ciò dovrebbe tratatre il prossimo tavolo di discussione. Tra giugno 2020 e marzo 2021 le banche italiane dovranno ripagare 240 miliardi di euro di prestiti a basso costo ottenuti dal programma Target long term refinancing operation (Tltro), lanciato per la prima volta nel settembre del 2014 e reiterato nel marzo del 2016. In autunno la Bce dovrà decidere se proseguire con il programma o interromperlo. In caso di stop, le banche italiane saranno penalizzate perché già soffrono un costo di raccolta molto più elevato rispetto alle concorrenti europee. In caso di stop, gli sportelli italiani si troveranno travolti da una nuova ondata di crisi. Dovranno trovare coperture prima del termine del Tltro, oppure lanciare altri aumenti di capitale. A chi dice che le nostre banche devono rafforzarsi, cedere gli Npl e pedalare da sole bisognerebbe ricordare che esse sono elementi indissolubili del tessuto, e se il costo della raccolta è alto lo si deve al debito pubblico e alle tensioni con l'Europa. Colpa (e merito) del governo. Gli europeisti convinti vedono la ricetta Ue come la panacea di tutti i problemi. Eppure, anche se facessimo i cosiddetti compiti non avremmo alcuna certezza di rimettere in pista l'economia. Più facile il contrario. Allora è meglio correre ai ripari politicamente. Trovare accordi dentro il board della Bce e sostenere il prolungamento del Tltro. E nel frattempo creare un fondo che raccolga gli immobili pubblici. Li cartolarizzi in collaborazione con le banche, e smuova una volta per tutte il mattone di Stato favorendo le attività bancarie e al tempo stesso riducendo il perimetro del debito. Può essere considerato un aiuto di Stato? Beh, l'Olanda, Paese liberista per eccellenza, è entrata nottetempo nell'azionariato di Airfrance-Klm per difendersi dall'espansione parigina. Trovare soluzioni pure a Roma è urgente. Il 2020 è vicino. Altrimenti la lezione del bail in non sarà servita a nulla.
iStock
Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
Continua a leggereRiduci
Chi ha inventato il sistema di posizionamento globale GPS? D’accordo la Difesa Usa, ma quanto a persone, chi è stato il genio inventore?
Piergiorgio Odifreddi (Getty Images)