2021-05-09
I giardini segreti sull’altro ramo del lago di Como
Villa Carlotta è un caleidoscopio di mode botaniche: glicini ornamentali, abeti del Canada e uno spruzzo di Giappone.Molti lettori ricorderanno l'attacco de I promessi sposi del Manzoni, ma qui, in questa nostra rubrica domenicale, al contrario pensiamo a quel ramo del lago di Como che non volge a Mezzogiorno, anzi un po' più su, dove i due rami del lago si congiungono, davanti alla penisola di Bellagio. Proprio sulla sponda occidentale riposano i giardini di una dimora signorile stupenda, Villa Carlotta. Chi arriva da Milano raggiunge Como e costeggia il lago, percorre la statale 340 fino al comune di Tremezzo, al cui centro c'è la cancellata della residenza che ci apprestiamo a visitare.Questo è diventato il regno del turista e delle villeggiature, ma un secolo addietro era terra da lavoro, di fatica: sul dorso delle colline avremmo ammirato vigneti, uliveti, gelseti. La parte bassa della proprietà, quella più vicina alla residenza, era decorata con giardini dell'epoca, dapprima siepi e alberi utili, agrumi soprattutto, poi si è passati al giardino romantico, all'inglese. Poco oltre invece abitavano e lavoravano famiglie di mezzadri che rendevano queste «fazende» produttive, investimenti capaci di produrre ricchezza o quantomeno il denaro sufficiente a mantenerle. Quei tempo sono tramontati, sopravvivono soltanto in qualche avvizzito racconto orale e nei libri.Sul finire del XVII secolo il marchese Giorgio Clerici (1648-1736), mercante di seta e politico, senatore, acquista l'area e decide di farvi edificare una residenza di campagna con vista lago. Nel 1801 la proprietà passa nelle mani di Gian Battista Sommariva (1762-1826), avvocato e diplomatico, amico di Bonaparte e uno dei protagonisti della Repubblica Cisalpina, nonché grande collezionista; è lui che inizia la raccolta di opere d'arte che impreziosiscono gli interni dell'edificio. Poi arrivano i teutonici, i Meiningen. Diverse vicissitudini, gestionali e storiche, sembrano condurre ad un esito scontato: lo smembramento dei terreni e la svendita delle collezioni ma, nel 1927, l'avvocato Giuseppe Bianchini (1876-1970) riesce nell'impresa di far costituire un ente morale di gestione e conservazione del bene.I giardini storici e botanici si trovano alla destra dell'edificio, se si guarda la facciata con i piedi sulla strada che costeggia la proprietà e la divide dalle acque del lago. Nel corso del tempo diversi fortunali hanno battuto, come accade ai giardini delle ville storiche in ambiente lagunare, questi giardini e questi tentativi di foreste in miniatura, si pensi a quanto accaduto, ad esempio, nel corso degli ultimi 20 anni ai giardini di Pallanza, Stresa, le isole Borromee, più volte toccate duramente dallo scatenarsi di venti a 120-150 km orari. La cura dei giardinieri e la capacità della natura di riprendersi e ricominciare a lavorare ha sanato, in buona parte, il danno.I giardini ospitano 63 essenze catalogate, con piante alloctone ed esotiche, piccoli arbusti e monumentali. Platani secolari, sughere, crittomerie, sequoie, tuie, ortensie, palme cinesi e cilene, rododendri, pini, liriodendri, magnolie, araucarie, tigli, cedri, douglasie, libocedri, ulivi, parrotie, laurocerasi, bambù, podocarpi, azalee, ortensie, rose e molte altre. Diversi alberi di grande dimensione furono inseriti, a partire dalla metà del XIX secolo, dal barbutissimo duca Georgio II di Sassonia Meiningen (1826-1914), appassionato botanico, marito di quella Carlotta di Prussia (1831-1855) a cui la villa deve il proprio nome. Dietro la casa c'è una grotta, elemento simbolico molto popolare nelle abitazioni sette o ottocentesche, in Italia circolavano artisti, i grottari, molto quotati e ambiti. Sopra il manufatto è cresciuto un tasso, l'albero della morte. Una statua di danzatrice, collocata nel 1967, è opera di Giuseppe Consoli. Un sentiero zigzaga risalendo la collina su tre diversi piani. Il Teatro di Verzura è disegnato dai fusti di conifera: pini, sequoie costali e cedri. La valle delle felci è, soprattutto in estate, uno spettacolo di ombre e colori vivaci, con acque in movimento, farfalle, felci arboree, quasi un orto botanico esotico. Da pochi giorni è sfiorito il monumentale glicine ad artiglio che è cresciuto avvinghiato ad una conifera, i racemi, i grappoli color malva, profumatissimi; le piogge, il freddo che ancora si fa ricordare, ne hanno sciupato anzitempo lo spettacolo. Alla sua fioritura si è ora avvicendata quella delle azalee e dei rododendri, compresi gli esemplari rari, arborei, che costituiscono un vero bosco minimo, dopo la valle delle felci; sono tipici delle aree himalayane, ma poco diffusi qui da noi. Noterete che non si tratta di arbusti, ma di veri e propri tronchi sinuosi, cortecce maculate, levigate, pluricormici, a inizio maggio manifestano abbondanti fioriture color ciclamino, piccoli fuori vanitosi che cattureranno l'attenzione dei fortunati visitatori. Manco da alcuni anni ma uno degli alberi più corpulenti, quantomeno all'ultima visita, era una Pseudotsuga menziesii, o abete di Douglas, abete del Canada, douglasia, nella varietà grigio-azzurra, glauca: piccole pigne barbute, circonferenza del tronco apd pari a 530 cm, con vistose colature di resine, segno tangibile di un attacco di armillaria, un fungo. Emanano un intenso profumo zuccherino. Il più alto esemplare della specie raggiunge i 100 metri di altezza, in tutt'altri orizzonti nordamericani. Ma nel frattempo questo albero potrebbe essere stato rimosso.Uno dei dilemmi, temo insolubili, riguarda la gestione di questi giardini: ovviamente sono cresciuti nell'arco di più secoli, intrecciando stili, sensibilità, abbinamenti, che ne fanno quel curioso e originale scrigno di stranezze o particolarità che chi li ama sa apprezzare. Le mode, inutile negarlo, influiscono, così, la moda di una specie botanica finisce spesso per essere arricchimento irrinunciabile, oppure uno stile architettonico in voga finisce per influenzare i custodi del momento. Nella parte alta dei giardini, ad esempio, troverete un tentativo di giardino zen alla giapponese, a mio parere ben poco riuscito, ma è un'opinione personale. Ci sono approcci molti diversi, contraddittori, addirittura insanabili, fra coloro che propendono per una conservazione museale del così come è arrivato a noi, oppure anche del così come è stato disegnato - ad esempio lo si può constatare ai Giardini di Boboli di Firenze - oppure apriamoci alle novità, mischiamo, confondiamo, rinnoviamo. Ognuno di queste soluzioni gode di considerazioni a favore e a proprio sfavore. Ad ogni singolo visitatore ardua e lauta sentenza.