2019-10-15
La guerra dei De Benedetti rischia di finire in procura
Dopo il clamoroso tentativo ostile del padre di riprendere il controllo del gruppo che edita Repubblica e La Stampa, i figli valutano possibili azioni legali. L'ipotesi d'un intervento per disturbare altre trattative.Nella faida editorial-familiare che è pubblicamente divampata domenica pomeriggio tra Carlo De Benedetti, antico patron del gruppo di Repubblica, e i suoi figli Rodolfo, Marco e Edoardo, sembra esserci un elemento certo (suffragato da un'indiscrezione clamorosa, come vedremo), un elemento probabile, e almeno un paio di incognite.Riassunto delle puntate precedenti. Puntata numero uno: De Benedetti padre presenta venerdì (ma la rende nota domenica) un'offerta di acquisto per riprendersi il posto dei figli, e di fatto per sostituirli nel sodalizio con John Elkann e La Stampa all'interno di Gedi, il gruppo che, oltre a Repubblica, include La Stampa, L'Espresso, Il Secolo XIX, numerose testate locali, tre radio (Deejay, Capital, M2O), con relativa raccolta pubblicitaria. Puntata numero due: i figli, a stretto giro di posta, dichiarano l'offerta irricevibile. Nel corso delle due puntate, volano parole grosse, senza neanche il paravento della cortesia esteriore: il pater familias fa capire che i figli non hanno né passione né competenza, e quegli altri replicano a loro volta a brutto muso. E allora ecco l'elemento che sembra certo: la frattura è reale, perfino più profonda di quanto si immagini. In circostanze recenti, Cdb si sarebbe lasciato andare ad apprezzamenti pesanti nei confronti dei figli, anche in presenza di estranei, rimasti ovviamente stupiti. Dunque, pare assolutamente da escludere l'idea che i fatti di domenica rispondano a una strategia concordata dalle parti per alzare il prezzo delle azioni. Nessuna recita, insomma. Al punto (ecco l'indiscrezione clamorosa) che gli attuali soci starebbero valutando perfino la possibilità di azioni legali per turbativa di mercato, o più realisticamente di una diffida, nei confronti di Carlo, che - non dimentichiamolo - pur avendo lasciato le azioni e le cariche operative a giugno del 2017 (circa un anno dopo la fusione con La Stampa), sarebbe tuttora il presidente d'onore di Gedi. E c'è perfino chi ipotizza che possa essere rimosso da quell'incarico onorario. Uno sfregio ulteriore. Del resto, più ancora dell'offerta in sé, e di un'offerta senza alcun bonus, senza alcun premio (corrispondeva infatti al puro e semplice valore di Borsa del giorno precedente), ha pesato la scelta di Carlo De Benedetti di accompagnare la proposta d'acquisto con una lettera polemicissima (quella con i passaggi sulla «passione e sulla competenza»), resa pubblica sull'Ansa a bella posta. Cosa che ha inevitabilmente provocato le aspre risposte dei figli. È da escludere che domenica pomeriggio si sia tenuto un cda degli «assediati»: più probabile che si siano solo consultati telefonicamente per concordare la replica scritta, quella che bollava l'offerta come «irricevibile». Dopo aver chiarito l'elemento che pare certo (la lite vera), veniamo ora all'elemento probabile. E adesso che succede? Nulla, nel senso che, se l'offerta è stata valutata irricevibile e gli azionisti attuali restano compatti (non c'è motivo di dubitarne, al momento), l'azione di De Benedetti padre non sembra avere sbocchi. Anche perché, a maggior ragione dinanzi alla prospettiva di perdite, non è facilmente immaginabile che l'Ingegnere rilanci alzando clamorosamente il prezzo. Restano però due incognite, entrambe legate al motivo dell'iniziativa di Cdb. Perché lo ha fatto, realisticamente prevedendo - presumiamo - che il fronte opposto si sarebbe compattato? Ci sono due spiegazioni, peraltro non solo compatibili, ma perfino complementari tra loro. La prima è che Cdb abbia compiuto un deliberato atto di disturbo per impedire la vendita del gruppo, o comunque nuovi ingressi, nuove trattative. Qualunque fosse l'intenzione degli attuali azionisti, e ammesso che recentemente avessero davvero ipotizzato nuovi accordi o cessioni, adesso tutto questo non potrà avvenire: la loro riaffermazione di impegno, polemicamente sbattuta in faccia al padre domenica, non consentirà passi indietro per un certo tempo. La seconda spiegazione ha a che fare con lo human factor, con il carattere di De Benedetti, e la sua ritrovata voglia di protagonismo. Per decenni, ha usato Repubblica per contribuire a determinare l'agenda editoriale (e pure quella politica) del Paese. Era impensabile che si adattasse - per così dire - a fare il pensionato di lusso. Di qui, la sua sfuriata - pochi giorni fa - ospite di Lilli Gruber, la rivendicazione per Repubblica di un ruolo nel dibattito pubblico all'altezza delle attese del vecchio editore, e ora un ulteriore scossone. A Cdb, com'è noto, non piaceva la direzione di Mario Calabresi, mentre va a genio quella attuale di Carlo Verdelli. Se Repubblica sarà ancora più combattiva, c'è chi scommette sul fatto che Cdb rilasci presto interviste per dire: avete visto? Sono stato io a determinare un'accelerazione e un cambio di passo. A ben vedere, dunque, si tratterebbe di un mix tra un avvertimento ai figli (non pensate di cedere Repubblica) e il desiderio, in una fase politica fluida e di trasformazione, di avere uno strumento per incidere - direttamente o indirettamente - sul campo opposto al centrodestra. Sceglie la strada della cavalleria - intanto - Urbano Cairo, che guida il principale gruppo competitor di Repubblica, cioè Il Corriere della Sera. Secondo Cairo, infatti, quella di De Benedetti sarebbe stata «una mossa romantica» di una persona che ama l'editoria, ama Repubblica e ama i giornali del gruppo Gedi. L'offerta «è piaciuta» a Cairo: «Mi sembrava una cosa bella che avesse la voglia di tornare a una seconda giovinezza», ha concluso l'editore concorrente.
Getty Images
Le manifestazioni guidate dalla Generazione Z contro corruzione e nepotismo hanno provocato almeno 23 morti e centinaia di feriti. In fiamme edifici istituzionali, ministri dimissionari e coprifuoco imposto dall’esercito mentre la crisi politica si aggrava.
La Procura di Torino indaga su un presunto sistema di frode fiscale basato su appalti fittizi e somministrazione irregolare di manodopera. Nove persone e dieci società coinvolte, beni sequestrati e amministrazione giudiziaria di una società con 500 dipendenti.