2021-03-13
I due futuri leader bel problema per Draghi
Enrico Letta (Rosdiana Ciaravolo/Getty Images)
La faccenda si complica, per Mario Draghi e per noi. L'arrivo dell'ex presidente della Bce sembrava una passeggiata. Il suo nome era di tale prestigio da spazzare via qualsiasi obiezione. E infatti, quando Mattarella lo ha pronunciato, nessuno ha trovato niente da ridire. Perfino Grillo è stato costretto a chinare il capo arruffato e a mollare l'amato giurista di Volturara Appula. Se prima Conte era una pedina irrinunciabile, in poche ore per il fondatore del movimento si è trasformato in un pedone sacrificabile pur di salvare la legislatura. A Draghi in Parlamento si sono opposti un po' di peones dei 5 stelle, ma nessuno determinante, tanto più che a rinsaldare la maggioranza ci hanno pensato le truppe di Forza Italia e Lega. Tutto tranquillo, dunque, per Draghi a Palazzo Chigi? Non proprio, perché il varo del governo è stato accompagnato da qualche errore e da qualche incidente che rischia di minarne alla base la stabilità.Il primo passo falso dell'ex governatore è consistito nell'accettare di mantenere Roberto Speranza alla Salute. Non so chi lo abbia preteso, se il capo dello Stato o quello di Leu, cioè lo stesso Speranza, che del microscopico partito della sinistra radicale è il segretario. Ma a prescindere da chi abbia fatto digerire a Draghi lo scomodo cognome, averlo in squadra, e per di più alla guida di un ministero importante come quello che si deve occupare della pandemia, è un grosso problema. Come si fa a tenersi uno che fino a mesi fa si beava di aver raggiunto intese con le grandi aziende farmaceutiche che ci avrebbero consentito di avere vaccini a go-go? Come ci si può fidare di uno che ha detto tutto e il contrario di tutto, premettendo ogni volta di avere la soluzione in tasca? Soprattutto, come si può indurre all'ottimismo gli italiani circa il futuro che li aspetta, quando uno si presenta ogni volta in tv come se fosse appena di ritorno da un funerale? No, Speranza, come Arcuri e Borrelli, era da rispedire in fretta a casa, perché dopo un anno di pandemia e 100.000 morti era il peggiore testimonial per una svolta che l'intero Paese auspicava.Ma se mantenere un ministro della Salute che aveva già dato pessima prova di sé è stato un errore, a questo si è aggiunto un problema che Draghi certo non poteva prevedere, ovvero i ritardi nella consegna dei vaccini, con la complicazione dei gravi effetti collaterali. L'ex governatore non ha alcuna colpa se la trattativa dell'Ue con le Big Pharma si è rivelata un fallimento. Essendo quella guidata da Ursula von der Leyen un'Unione solo monetaria e non politica, la presidente della Commissione si è premurata di spuntare il miglior prezzo del farmaco, dimenticandosi di negoziare le penali per le mancate consegne, che sono un elemento fondamentale in caso di inadempimento contrattuale. Risultato, il braccino corto di Ursula oggi si ritorce contro di noi, perché le dosi per vaccinare 42 milioni di italiani, ossia il 70% della popolazione necessario a garantire l'immunità di gregge, scarseggiano. A Draghi, che pure ha rimosso Arcuri sostituendolo con un generale per andare più spedito con le inoculazioni, manca la materia prima. E questo è un gran guaio non solo per tutti noi, ma anche per la tenuta del suo governo e ora vi spieghiamo perché.Fra pochi mesi scatterà il cosiddetto semestre bianco, ovvero il periodo che impedisce al presidente della Repubblica di sciogliere il Parlamento. La Costituzione prevede che, quando si avvicina la scadenza del suo mandato, il capo dello Stato non può liquidare in anticipo la legislatura. Prima di tutto per non trovarsi con un vuoto di potere, ovvero nel mezzo di una campagna elettorale e nel pieno di una trattativa per la nomina del nuovo presidente. E poi perché quest'ultimo non giochi diverse parti in commedia, magari allo scopo di farsi rieleggere. L'inquilino del Quirinale dovrà essere indicato dalle Camere nella primavera del prossimo anno e dunque in estate scatterà il semestre bianco. Ciò vuol dire che se ora gli onorevoli hanno ingoiato il rospo di Draghi per paura di nuove elezioni e di perdere la poltrona, da settembre in poi cercheranno di sputarlo per conquistare un titolo di giornale e guadagnarsi una rielezione. In poche parole, è assai probabile che nei prossimi mesi registreremo un aumento della rissosità dei partiti, con le conseguenze facilmente immaginabili per il governo.Ovviamente non sono buone notizie per Draghi, il quale sarà alle prese con la campagna vaccinale e con gli effetti della crisi economica, ma soprattutto con la fine del blocco dei licenziamenti e degli sfratti, due misure introdotte dal precedente governo un anno fa ma che non possono durare in eterno. In più, a questi guai se ne aggiungono altri due, che si chiamano Giuseppe Conte ed Enrico Letta, ovvero coloro che nei prossimi giorni prenderanno rispettivamente la guida dei 5 Stelle e del Pd. Avere a che fare con due pesi piuma come Vito Crimi e Nicola Zingaretti per il presidente del Consiglio era un gioco da ragazzi. Ma ora, con Conte e Letta le cose sono destinate a cambiare, non solo perché entrambi hanno un profilo un po' più alto dei predecessori, ma anche perché tutti e due nutrono sentimenti di rivalsa e coltivano un'ambizione, ossia diventare presidenti della Repubblica. Eh sì, proprio così: del professore di diritto allievo di Guido Alpa si sapeva, del professore di Scienze politiche allievo di Beniamino Andreatta ce lo si può immaginare. Entrambi sono stati presidenti del Consiglio ed entrambi hanno un'età che li rende candidabili. In più, tutti e due possono presentarsi ai blocchi di partenza con i voti dei rispettivi partiti, che in Parlamento non hanno numeri definitivi ma importanti. Conte, di certo non muore dalla voglia di passare il proprio futuro a tenere unita una banda come quella grillina, che giunta alle prossime elezioni rischia di essere decimata. E Letta non è sicuramente tornato dall'esilio parigino in cui si autoconfinò dopo che Renzi gli soffiò la sedia per tenere a bada le tribù della sinistra. No, Conte e Letta nutrono di certo ben altre ambizioni. E ciò significa che nei prossimi mesi ne vedremo delle belle. Soprattutto perché i due futuri leader di 5 stelle e Pd sono un bel problema per Draghi, ossia per colui che sembrava il naturale erede di Mattarella. Con questa prospettiva, l'ex governatore rischia di rimanere incastrato a Palazzo Chigi. Con tutto ciò che ne consegue. Del resto si sa: c'è chi in conclave entra Papa e ne esce cardinale... Vedremo chi sarà.
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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