2022-03-11
«Contagi in aumento? No, tamponi mirati. E cala la tensione sugli ospedali»
Il medico al San Martino di Genova Giancarlo Icardi: «Non è prevista una nuova ondata, la curva risale per il fatto che testiamo chi è più a rischio».Il Sars-Cov2 si adatta e diventa meno pericoloso, anche se continua a diffondersi. Il Covid assomiglierà sempre più a un’influenza e l’allentamento delle restrizioni è solo una questione politica, per Giancarlo Icardi, professore di igiene all’Università di Genova che, al policlinico San Martino, è capo dell’unità operativa che si occupa di sanità pubblica, assistenziale e igiene ospedaliera, ma fa anche parte del gruppo di lavoro per le vaccinazioni della Siti, Società italiana di igiene e medicina preventiva.A che punto siamo della pandemia? «A livello europeo abbiamo situazioni simili, non sovrapponibili, ma siamo sicuramente in una fase avanzata di pandemia: si intravvede il calo della pressione, soprattutto sugli ospedali. Il virus circola in modo più massivo a Est, dove sicuramente la copertura vaccinale è andata a rilento o comunque con percentuali minori. Il Regno Unito, dove invece è circolato di più, comprese le varianti, prima, rispetto all’Italia, è in una fase più avanzata». C’è però un aumento dei positivi. Cosa ne pensa? «Non c’è da preoccuparsi, ma bisogna mantenere la sorveglianza non tanto per i numeri, ma per capire la dinamica di quello che sta succedendo. Sappiamo poco di questo virus: continuiamo a imparare anche su quelli influenzali che conosciamo da cent’anni. In questo momento non c’è un aumento significativo da farci ipotizzare un’ulteriore ondata, anche perché ci sono elementi che possono spiegare questa dinamicità del virus: la trasmissibilità più elevata da un lato e i tamponi eseguiti in modo più mirato. Le code fuori dalle farmacie sono molto meno di settimane fa. Oggi fa il tampone chi ha sintomi, è contatto stretto - familiare, collega di lavoro… - di nuovi casi. Si fanno molti meno test per la scuola, tanti hanno il certificato di guarigione e non hanno più necessità di farlo». Cosa c’è da aspettarsi per i prossimi mesi?«Prevedere adesso quello che ci sarà da fare a ottobre e novembre è estremamente difficile. Credo però che non avremo necessità di vaccinare tutta la popolazione italiana, ma ci concentreremo nelle categorie di lavoratori a rischio o soggetti fragili, oppure, se si seleziona una variante più virulenta, si potrebbe pensare a una popolazione più ampia. Di solito però il virus, mutando, non diventa più cattivo. A differenza dei dinosauri, i virus non si sono estinti perché si sanno adattare e imparano a convivere con l’ospite, cioè l’uomo». Il Covid sta diventando come l’influenza?«Al momento il virus si è modificato, perché è più trasmissibile, ma è diventato meno virulento. Via via che si accumulavano le informazioni, possiamo adottare misure migliori, mutuando quanto imparato dall’antinfluenzale. Anche il virus dell’influenza è ad alta trasmissibilità, per questo si vaccinano una volta all’anno i soggetti ad alto rischio di complicanze. Del resto, chi come il sottoscritto si occupa da sempre di vaccini, da sempre dice che l’antinfluenzale riduce l’incidenza, ma soprattutto mira a controllare e a limitare i danni ai soggetti più fragili. Questo si poteva ipotizzare anche per il Covid».Il vaccino però è stato presentato come il modo per bloccare la trasmissione del Covid e anche per questo è stato introdotto il green pass… «Per l’Italia la campagna di vaccinazione è sicuramente stata fatta contro la diffusione del virus, anche se, per onestà intellettuale, devo dire che il vaccino protegge dalla forma grave della malattia, ma non completamente dal contagio. Questo lo potevamo immaginare dai dati degli studi clinici sul vaccino, sapendo che era efficace al 90-95%. Questi studi interessano migliaia di persone seguite per 6-8 mesi, ma nella vita reale, non è così facile interrompere la trasmissione. L’abbiamo imparato dai dati. Il virus del Covid muta e si trasmette facilmente con un periodo di incubazione di 24-48 ore, d’altro canto, la protezione degli anticorpi si riduce nel tempo. Per questo si è pensato al richiamo». Ma non c’è la memoria immunologica che funziona al di là degli anticorpi?«La memoria immunologica è costituita da cellule che tengono in mente la proteina Spike. È evidente che quando abbiamo una certa diffusibilità del virus e un periodo di incubazione dal contagio di 24-48 ore, il sistema non ha il tempo per attivarsi ed eliminare subito il virus ed evitare la trasmissione. Sulla malattia invece è efficace». Si vaccina per ridurre la trasmissione, ma ci si continua a reinfettare…«Una quota di soggetti, compresa tra il 25 e il 40%, con seconda dose o guarigione, si reinfettava dopo circa 120 giorni. Per questo si è pensato al richiamo (booster). La quarta dose nelle persone fragili, immunodepresse, dà un’ulteriore protezione. Lo si fa in vaccinologia per ridurre il rischio di infezione e complicanze in chi è più vulnerabile».Fino a quando servirà la mascherina al chiuso?«Con un virus che non ospedalizza e la fine, il 31 marzo, dello stato d’emergenza, la mascherina è una scelta politica. Il rapporto rischio beneficio è calcolato: dire che chi vuole può metterla è un compromesso possibile». E per il green pass?«È uno strumento utilizzato dal policymaker: è una scelta politica».
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)