Il ministro Stefano Patuanelli boccia come superato il Dl liquidità nel giorno in cui sono attivi i moduli di richiesta e annuncia, per scavalcare Giuseppe Conte, 40 miliardi di erogazioni a fondo perduto. Luigi Di Maio manda a monte la riunione sulle nomine pubbliche.
Il ministro Stefano Patuanelli boccia come superato il Dl liquidità nel giorno in cui sono attivi i moduli di richiesta e annuncia, per scavalcare Giuseppe Conte, 40 miliardi di erogazioni a fondo perduto. Luigi Di Maio manda a monte la riunione sulle nomine pubbliche.Abbiamo più volte analizzato il decreto imprese destinato a distribuire prestiti con garanzia pubblica. Le promesse di Giuseppe Conte sono ora smentite dai numeri. Basti pensare che sui 200 miliardi che il premier ha dichiarato disponibili tramite il Fondo di garanzia ne arriveranno solo 5,18. E così per gli altri capitoli del decreto. La notizia ora è che sono i 5 stelle a smontare il decreto e lo fanno il giorno in cui le banche aprono gli sportelli e il Mediocredito centrale mette online tutte le procedure per avviare le pratiche dei prestiti. Il Movimento per bocca del ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli ha spiegato che i prestiti non serviranno alle imprese, ma che ci vorranno erogazioni a fondo perduto e che nel prossimo decreto si potrà fare meglio. «Il governo sta pensando a degli indennizzi a fondo perduto per le Pmi secondo un modello già adottato da Francia e Germania», ha detto il ministro ad Agorà parlando del «decreto aprile» che il governo presenterà tra «qualche settimana». Patuanelli ha anche parlato di cifre. La platea «è di circa 4 milioni di imprese». E per un indennizzo intorno ai 10.000 euro si parlerebbe di 40 miliardi di liquidità a fondo perduto. «L'indennizzo», ha concluso, «dovrà essere relativo alla perdita effettiva di valore aggiunto, ovvero al valore di produzione effettiva. Ci concentreremo sui più piccoli, pensiamo a una distribuzione orizzontale, cioè non solo aziende direttamente colpite da Covid-19 ma anche le imprese colpite indirettamente». L'uscita del ministro grillino non può essere casuale. Dopo un intenso lavoro che ha coinvolto a vario titolo le banche, il Mef, la Banca d'Italia e il Mediocredito centrale, il meccanismo per erogare liquidità sembra aver lasciato alle spalle tutti gli ostacoli. E se molte imprese e una parte della politica hanno criticato la lunghezza dell'iter, va ricordato che si tratta di uno strumento che, pur semplificando, lascia in piedi le responsabilità per le banche e non impegna risorse dirette ma si limita a delle garanzie. Lunedì quindi si potrà, tramite mail, firmare il contratto di finanziamento, sottoscrivere la richiesta di accesso al Fondo di garanzia, presentare una copia di un documento d'identità, compilare un'autocertificazione su ricavi e spese del personale. A questo punto c'è da chiedersi: perché un'azienda dovrebbe andare in banca a chiedere un prestito che andrà restituito se fra una decina di giorni potrebbe ottenere denaro a fondo perduto? La domanda è retorica e ci riporta alla scelta grillina di smontare quanto Conte ha messo in piedi nelle ultime tre settimane. È chiaro che non si tratta di entrare nel merito. L'ha fatto più volte La Verità denunciando in anticipo gli errori in corso. Ma il ministri grillini hanno votato sì ai decreti e adesso sparigliano per mettere in difficoltà il governo ed esclusivamente per i loro equilibri interni Il plurale è d'obbligo perché anche Nunzia Catalfo , titolare del Lavoro, ha più volte definito gli strumenti utilizzato dal governo «inadeguati». Se ancora ci fosse stato qualche dubbio, bastava prendere la tabella diffusa dal Fondo monetario internazionale che mette a confronto le spese pubbliche e la liquidità erogata da ciascun Stato con il livello di garanzia promesse. Si vede chiaramente che il delta dell'Italia è troppo elevato per tenere testa alla realtà economica. La scelta dei grillini di alzare la tensione è chiaramente riconducile al timore non certo che Conte diventi più forte ma che venga sostituito da una nuova figura che tagli del tutto fuori il Movimento dalle scelte. D'altronde gli ultimi risultati elettorali hanno visto i grillini perdere quasi ovunque. E la loro debolezza si misura da un'altra cartina al tornasole. Ieri c'è stata una lunga riunione capeggiata da Luigi Di Maio da un alto e da Dario Franceschini dall'altro. Il tema è quello delle nomine delle partecipate pubbliche le cui liste dovranno essere presentate entro sabato mattina. In un momento di crisi e di morte da coronavirus, le poltrone non dovrebbero un tema in agenda. Certo, le scadenze vanno rispettate, ma nessuno avrebbe da obiettare di fronte a una riconferma in toto. Cambiare durante un lockdown non appare una scelta troppo logica. Eppure ieri il tavolo è saltato. I protagonisti si sono aggiornati a oggi ma le posizioni sono rimaste distanti. Soprattutto i grillini avrebbero puntato i piedi per avere «dalla loro parte» qualche amministratore delegato in più. Fino a ieri l'accordo informale sembrava quello di non cambiare gli ad e di sostituire solo i presidenti. Ieri, il Movimento ha sparigliato e oltre a Enav avrebbe messo in discussione anche Leonardo. Il M5s sarebbe disposto a offrire poltrone all'opposizione in cambio di sostegno. Oggi si riparte con la trattativa ma il gioco politico in atto è molto pericoloso. Attenzione. Ne va dell'economia italiana, del portafoglio e della tenuta psicologica di molti cittadini.
Ansa
Dieci anni fa scoppiò il Dieselgate, la truffa di Volkswagen sulle emissioni scoperta dagli statunitensi, già in guerra commerciale con Berlino. Per riprendersi, l’azienda puntò sull’elettrico e ottenne il sostegno di Ursula. Ma ad approfittarne sono stati i cinesi.
Alice Weidel (Ansa)
I Maga sfidano le censure del Vecchio continente: la vice di Alice Weidel e un militante escluso dalle elezioni per sospetti sulla sua «lealtà alla Costituzione» vanno a Washington dai funzionari di Marco Rubio e di Jd Vance.
Paolo Longobardi (Getty images)
Il presidente di Unimpresa: «Va data sicurezza alle transazioni delle pmi che operano in più valute. L’Occidente imponga standard di qualità contro la concorrenza sleale».
Mario Draghi (Ansa)
L’ex premier si accorge soltanto ora che gli obiettivi green sono «irrealizzabili». Poi critica la burocrazia continentale: «Troppo lenta, potrebbe non riuscire a riformarsi». Il suo piano B: alcuni Stati facciano da sé.