2020-01-07
Mario Improta: «I 5 stelle hanno tradito. E spariranno»
Il vignettista cacciato da Virginia Raggi: «Ho difeso Grillo e sostenuto il Movimento per 10 anni, non posso accettare l'alleanza con il Pd Un nuovo soggetto antagonista li condannerà. Vauro disegnò Marchionne come un kapò: non accadde nulla. Io invece sono out».Marione, come si sta da epurati?«Una favola». Ti hanno tolto una consulenza con il Comune di Roma per una vignetta! «Lavoravo gratis». Contento di averla persa? «No. Ma di essere libero e disegnare quel che mi pare, sì».Nessun giornale ti ospita. «Nella Rete non ti serve nessuno. Le mie vignette sono ovunque».Vorresti vendicarti di chi ha chiesto la tua testa? «I quattro sfigati del Pd romano e chi li ha seguiti? Gli farei un regalo». Scherzi? «No. Sono idioti: con il loro boicottaggio mi hanno portato sul New York Times!».Non lo sapevo. «Un articolone, proprio sulla mia vignetta di Johnson che fugge dal lager dell'Ue». Ti penti? «Sei pazzo? Nella sostanza è simile a una vecchia strip di Vauro. Marchionne era un kapó com la scritta Arbeit macht Fiat...».E che cosa accadde? «Nulla. Ma lui è una star di sinistra. Io crocifisso e bandito». Che cosa ti ha dato più fastidio? «La dottoressa Dureghello, dell'Auschwitz museum: mi accusa di banalizzare la shoah. Mi hanno additato come “sospetto" antisemita».E non è vero. «Ma figurarsi! Rischierei la vita per salvare un ebreo, o chiunque sia in pericolo». E ammetti di aver «banalizzato»? «Oh, certo. Ma la satira è banalizzazione di tutto: politiche, identità, stereotipi, luoghi comuni, eccessi». Sei preoccupato? «Del rischio dittatura del politicamente corretto? Sì. Della satira addomesticata? Sì. Della libertà negata? Sì». Fammi un esempio. «Se il primo Vacanze di Natale uscisse oggi, De Laurentiis Boldi e De Sica finirebbero in carcere». Ti sei vendicato con una vignetta al vetriolo. «L'hai vista?».Caspita! Goebbels in divisa nazi, ma con le stelle dell'Ue e le mostrine del Pd, dice: «Basta odio».«Ah ah ah! Non è sublime? Sì, spiegala. «E che spiego? Il bello è che stavolta non ha protestato nessuno. Forse non hanno riconosciuto Goebbels. Ah ah ah. Capre». Mario Improta, in arte Marione. Ex vignettista M5s, no euro. Ex consulente (revocato) di Virginia Raggi. Ultima vittima della satira politicamente scorretta.Da dove arrivi?«Sono nato a Reggio Calabria: avevo 5 anni quando ci siamo trasferiti a Roma per il lavoro di mio padre». Che cosa faceva? «L'agente di commercio nel settore ospedaliero. Mia madre la casalinga». Avevano passioni politiche? «Zero. Mio padre non mi ha mai nemmeno detto che cosa votasse. Per la legge dei contrari, da ragazzo ho coltivato una grande passione per le notizie, l'informazione, i partiti». Da che parte batteva il tuo cuore? «Sempre e comunque contro». Una vocazione che mantieni. «Infatti. Il mio primo voto al Pds. Ma solo perché governava Berlusconi». E poi? «Quando governava Prodi ho votato An. Mi sembrava giusto sostenere l'opposizione». Per partito preso? «Non necessariamente. Sono tra i tanti italiani che le provano tutte e rimangono sempre delusi: l'unica domanda che non trova risposta è quella di cambiamento».Laurea in legge. E dopo? «Entro in uno studio di diritto internazionale: provo a fare l'avvocato come tutti i bravi ragazzi. Dopo un anno e mezzo capisco: non fa per me». Non sei un «bravo ragazzo». «Ah, questo è certo». E che fai?«Divento anch'io agente di commercio». Ma inauguri una carriera particolare: conduttore di programmi per ragazzi. «In un mondo in cui spesso lavori solo con l'aiutino scopro che in Rai facevano provini per inviati. Incredibilmente mi prendono». Che avranno trovato in te?(Ride) «Forse la faccia da schiaffi». Resti a lungo. «Parto dai collegamenti, ma divento conduttore. Tre programmi».Bella esperienza? «Molto. Ho lavorato con Tullio Bernabei. A Raisat con Giorgia Luzi, Michele Riondino... Una palestra».Eri stato segnalato? «Non conoscevo nessuno. E non sono rimasto: non mi presto troppo al compromesso». Hai pubblicato tanti libri a fumetti. «Il primo, nel 1998, è stato Peo e Vic. Mille motivi per NON essere sportivi. La casa editrice era di Geppi Rippa, ex deputato radicale». Da quanto disegnavi? «A scuola facevo le caricature a compagni e prof. Per concentrarmi devo disegnare». Bello. E la tua graphic novel su Roma per immagini, Romulus?«Epica. La mia città è nata da uno stupro: la violenza sessuale di Marte su Rea Silvia». Termine brutale per la mitologia. «È letterale: Rea Silvia era vestale, non poteva aver contatti carnali». Da lei nascono i gemelli: Romolo e Remo. «Fu gettata nell'Aniene, ma tornò in vita. La mia idea è che, reincarnata nella lupa, tornasse a cercare i figli». Amavi i fumetti? «Artisticamente sono figlio della Bonelli editore: li compravo tutti, e maledico una ragazza che mi buttò la collezione completa di Dylan Dog». Non è diventata tua moglie, intuisco.(Ride). «Sono solo. Non mi sono sposato per scelta. Non ritrovo i vecchi valori nelle ragazze di oggi». Hai sposato Grillo. «Vedo il primo “vaffa Day" e inizio a sostenerlo. Era il partito che aspettavo da sempre».Ne sei diventato il vignettista ufficiale. «Macché! Dopo la morte di Casaleggio, Vauro fa Grillo come una marionetta dai fili tagliati. Disegnai una risposta caustica: Vauro con un penna infilata nel didietro. E la scritta: “L'unico posto in cui dovresti metterla"».Fine. «A tono».E poi?«Tutti nel M5s condividono la vignetta. Da allora pubblico su Twitter: a volte il blog di Grillo le riprende». Ti sei candidato? «Ah ah ah. C'erano le parlamentarie, molti mi dicevano: “Vai!". Mi sono presentato. Ma mi hanno escluso».Perché mai? «Buffo! Hanno detto che non inserivano chi aveva utilizzato il turpiloquio nel Web. Allora si spiega. «Un partito nato da un “vaffanculo" esclude chi disegna parolacce? Dài...».E la Raggi? «Volevo dare un mio supporto. Sul regolamento di polizia urbana si è creata l'opportunità».Hai disegnato la Raggi stile manga! «Una ficata, vero?».Non hai voluto soldi.«Mi piaceva legare il mio nome alla città. Oggi dico: per fortuna non mi sono sputtanato per pochi spicci». Tra i due governi M5s quale preferivi? «Quello gialloverde è il meno peggio. Ma a posteriori dico: nessuno dei due è stato un governo di cambiamento».Motivazione? «Molto indietro rispetto alla realtà, entrambi troppo liberisti». Preferivi la Lega? «Da eurocritico invidiavo a Salvini uomini come Borghi e Bagnai». Hai rapporti?«No. Mi sento spesso con Diego Fusaro». Di che parlate? «Mi dà tanti spunti». Anche sulla vignetta incriminata? «Sì. Johnson aveva paragonato in un discorso le politiche dell'Ue a quelle del Terzo Reich. Sono partito da lì». E lui che ti dice?«“Forse non è il caso di disegnare un lager come Auschwitz"». Profetico: ma non lo hai ascoltato. «Gli dico: “Mannò, proviamo"». Perché? «Avevo già disegnato! Mi pareva autocensura». Spiegala. «Per me l'Ue è un abominio, e i lager pure. Analogia e iperbole: l'Abc della satira». La pubblichi.«Passa un giorno, niente. Chiamo Diego: “Esageravi". Il terzo giorno, l'inferno. Articolo di Huffington post. Tweet del renziano Andrea Romano. Poi un'alluvione di messaggi contro Virginia e la richiesta: “Caccialo!"».Come te lo spieghi? «L'obiettivo non ero io, ma Virginia». Vi siete parlati? «Sì. È stata corretta. Era sotto attacco, non poteva far altro». Test. Che pensi della vignetta di Vauro con Salvini che si spara? «Non l'ho trovata divertente. Ma non censurerei nulla». Che cosa non ti piaceva? «Alcune sue vignette sono particolarmente belle: ma quella è facile, troppo facile».Hai appena fatto un video pro-Paragone. «Ho sostenuto indefessamente, per 10 anni, il Movimento. Ora ho detto “ciao"». Quale goccia ha fatto traboccare il vaso?«Non ci potevamo alleare con il Pd. Gli tiri merda addosso per 10 anni e poi ci governi? Il vecchio M5s una cosa così non l'avrebbe mai fatta».E poi? «Io sono anti-euro: loro oggi sono più europeisti dei piddini!».Hanno votato la Von Der Leyen, sono in maggioranza.«Grillo diceva: “L'euro è il male". Non accetto il tradimento».Sei «paragoniano». «Ho incontrato Gianluigi una sola volta. È il primo che con La gabbia ha portato in tv idee eretiche su moneta, finanza e banche. Come puoi espellerlo? È coerente». Conoscendo il M5s che cosa prevedi alle elezioni? «Non crolla: avrà uno zoccolo duro, sotto il 10%. Ma può scomparire se nasce un nuovo soggetto antagonista credibile». Dopo la polemica hai avuto offerte? (Ride) «Nessuna». Sei deluso? «Non ho fretta. Un giorno, forse, anche io troverò il mio spazio. Il mio lavoro mi consente di vivere, bene». Rimpianti? «Zero. Preferisco essere insultato per le mie idee che pagato per delle “non idee"».
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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