2021-08-08
Stefano Tilli: «I 100 sono per gli sprinter di colore. Tortu invece sui 200 può migliorare»
Il commentatore tecnico della Rai ed ex velocista: «Il mezzo giro di pista è più difficile, ma lì ha ancora margini. Per gli azzurri dieta e allenamenti mirati per l'Olimpiade. Invece gli avversari sono arrivati molto impreparati»Gli italiani, si sa, sono 60 milioni di ct della Nazionale. Ma dopo le imprese dei nostri sprinter alle Olimpiadi sono anche diventati tutti esperti di velocità. Ci siamo entusiasmati nei nove secondi e rotti che hanno portato Marcell Jacobs a essere l'uomo più veloce della Terra, ma anche per i 37"50 con cui lui e i suoi tre moschettieri hanno sbaragliato nella staffetta. Due ori mai arrivati in 125 anni di Giochi. E le voci che hanno accompagnato queste emozioni sono state quelle del commentatore Rai Franco Bragagna e dell'ex sprinter Stefano Tilli, che ha avvicinato al mondo degli uomini razzo anche chi non sapeva nulla sulla velocità. Umbro di Orvieto, classe '62, è stato primatista mondiale dei 200 metri piani indoor.Nella gara dei 100 lei, circa a metà gara, ha urlato, riferendosi a Jacobs: «Vince!». Da cosa lo ha dedotto?«Nelle semifinali il cinese Bingtian Su era partito in modo micidiale e l'inseguimento è sempre affannoso. Ma quando ho visto che l'asiatico non aveva ripetuto quella partenza e conoscendo le doti di scorrevolezza nella seconda parte di Marcell, ho capito che aveva vinto già a metà gara. Quel “vince" mi è venuto dal cuore. E poi con commenti del genere si attira l'attenzione anche di chi magari si sta preparando un caffè, costringendolo a buttare un occhio al televisore». Anche su Tortu ha previsto che si sarebbe mangiato Nethaneel Mitchell-Blake («Lo prende Filippo!»)… ma era dietro di un paio di metri…«Anche qui sapevo che il “lanciato" di Tortu era superiore a quello dell'inglese...».Erano prevedibili questi risultati?«Le condizioni di Jacobs inducevano a un discreto ottimismo, ma prima che cominciassero le batterie potevo aspettarmi un bronzo. I due vincitori dei trials statunitensi, Trayvon Brommel e Ronnie Baker erano arrivati a Tokyo con tempi di 9"77 e 9"82. Jacobs era fermo a 9"95. Era stato battuto a Stoccolma e Montecarlo…».E allora come ha fatto? Come è potuto scendere in poche ore prima a 9"84 e poi addirittura a 9"80? «Merito del suo allenatore, Paolo Camossi, che ha impostato un'eccellente programmazione per fargli raggiungere il picco della condizione ai primi di agosto. E Jacobs è stato bravo ad amministrarsi. Per quei tempi sono stati importanti anche i materiali: la pista estremamente veloce, che ha permesso, per esempio, 2 record del mondo nei 400 ostacoli, e le scarpe molto performanti».All'estero hanno lanciato sospetti di doping…«Argomento sgradevole. Intanto dovevano fare il loro. Se gli americani si fossero confermati sul loro standard non ci sarebbe stata discussione e invece sono giunti qui gravemente impreparati». Jacobs ha 27 anni: è al top? «La completa maturazione avviene tra i 23 e i 27-28 anni. A 25-26 c'è la piena efficienza fisica che si accompagna alla consapevolezza mentale. Ti conosci meglio, sei in grado di pilotare la condizione, di capire le risposte che arrivano dal piede, dalla pista.Jacobs adesso è molto vicino alla corsa perfetta.«Alza bene le ginocchia, il piede scende nel modo giusto e spinge con l'avanpiede. Prima non correva così, era più disordinato, spesso faceva errori, soprattutto in partenza. Ora è attento, l'azione delle braccia è armonica con le gambe. Non ha nessuna sbavatura».Può migliorare ancora?«In questo momento non so se possa abbassare i suoi tempi. Forse può raggiungere Brommel a 9"77».E il 9"58 di Usain Bolt?«Un po' lontano».Come immagina le prossime gare?«Adesso tutti, soprattutto gli americani, lo aspetteranno al varco nei meeting europei per prendersi una rivincita». E lui può rimanere con l'alloro in testa?«Credo proprio di sì, anche se l'anno prossimo ci saranno i mondiali negli Usa. Brommel sarà molto agguerrito. Ma Jacobs difenderà al meglio il suo titolo olimpico».Secondo lei è utile il mental coach? Jacobs ne ha una ormai conosciutissima, Nicoletta Romanazzi…«Ai nostri tempi non c'erano queste figure. Facevamo tutto da soli. Pensavamo di dover tirare fuori la mentalità vincente da soli. La rimonta di Pietro Mennea nei 200 metri di Mosca denotavano una grande volontà che nessuno pensava si potesse infondere dall'esterno. Invece adesso sembra che questi mental coach tirino fuori risorse nascoste. Io continuo a dare più importanza all'allenatore».Quanto contano in percentuale in un campione dei 100 metri genetica, allenamento e materiali?«La genetica in questo sport e in questa specialità vale per il 70%, in particolare la quantità di fibre bianche o fibre veloci che si ha nelle gambe. Veloci si nasce, si possono migliorare le proprie performance, ma non stravolgerle. Il 20% lo fa l'allenamento, ma non bisogna esagerare, perché a volte soffoca il talento. E poi, come detto, ci sono i materiali, come le nuove scarpe con solette di carbonio che non cedono energia all'esterno, ma la restituiscono alla spinta. Anche le piste hanno una scorrevolezza maggiore grazie a delle microbolle».Lei e Mennea con questi nuovi materiali avreste migliorato le vostre prestazioni di qualche decimo…«Ah sicuro. Mi piacerebbe poter correre con queste scarpe avendo le condizioni fisiche di allora. Oggi Tilli e Mennea correrebbero molto più veloci».Perché oggi nessuno pratica i 200 metri in Italia, dove eravamo maestri?«Perché bisogna fare molta più fatica. Dopo gli 80 metri si fa sentire l'acido lattico. Ma se nei 100 non ha il tempo di limitare la corsa, nei 200 va tamponato e per questo occorre fare sedute di palestra, estenuanti ripetute su distanze più lunghe, sprint».Chi è il miglior duecentometrista italiano?«Eseosa Fausto Desalu li ha corsi in 20"13 nel 2018, il secondo miglior tempo della storia dell'atletica italiana, dopo Mennea».Chi dovrebbe correre i 200?«Tortu. Nei 100 è chiuso dal nuovo campione olimpionico. Filippo ha una corsa facile, rotonda, agile. Potrebbe fare molto bene nei 200. Vediamo se avrà voglia di impegnarsi un po' di più».Ultimamente, a parte Tortu, la velocità sembra appannaggio degli atleti di colore. I bianchi non vinceranno mai più i 100 metri?«È molto difficile. Mi sembra di ricordare che da Los Angeles 1984 non sia arrivato più un bianco in finale. Su 150 atleti che hanno fatto meno di 10" netti nei 100 metri solo 3 sono bianchi e uno è Tortu, che, in una sola occasione, è sceso a 9"99, superando Mennea. Gli altri due sono stati il francese Christophe Lemaitre e l'azero Ramil Guliyev. Sui 200, statisticamente, c'è un po' più di spazio. Per esempio Guliyev è stato campione del mondo nel 2017». Chi è il velocista più promettente in questo momento?«Lorenzo Patta, bravo nei 100 e nei 200. È giovanissimo (ha 21 anni) e ha avuto qualche problema fisico. Ma può solo migliorare».Può scendere sotto i 10"?«È un po' presto per dirlo».Come si scopre di essere velocisti? «Correre è la cosa più naturale. Chi è veloce si capisce subito, già nel momento in cui i bambini dicono: vediamo chi arriva prima là…». Quanto conta la dieta?«Ai miei tempi era un aspetto poco considerato, come il potenziamento in palestra. È inutile allenarsi con i pesi se non si ingeriscono proteine. Noi facevamo i pasti con i nostri genitori e mangiavamo come loro. La pastasciutta è un'ottima benzina, ma per costruire i muscoli servono i mattoni, che sono le proteine. Io ho avuto quattro operazioni al tendine di Achille. Credo che il mio corpo andasse in catabolisi, che in pratica si mangiasse da solo. Uno sprinter ha bisogno di pasti bilanciati, poco abbondanti e frequenti. Noi invece facevamo i tre pasti canonici».Un velocista che vita deve fare? Prima dei 100 metri si può fare sesso?«È un discorso datato. Oggi non ci sono limitazioni specifiche per il sesso».Lei è stato a lungo compagno della giamaicana Marlene Ottey, 7 Olimpiadi e 9 medaglie. L'Italia può diventare la nuova Giamaica?«No. Là più che una scuola c'è una somma di talenti. Noi dobbiamo portare avanti la nostra tradizione. Siamo stati capostipiti nella scuola dello sprint, dello studio applicato allo sport…».Cosa è migliorato rispetto ad allora?«Anche noi abbiamo fatto quadrare il cerchio. Non c'è più soltanto l'atleta con l'allenatore. Adesso i migliori hanno un intero team a disposizione, con il nutrizionista, il massaggiatore il mental coach…». È una conquista recente?«Molto».Di chi è stata l'idea? Della federazione? «No, sono state decisioni prese più a livello personale. La federazione ha messo a disposizione i fondi e i ragazzi hanno costruito i loro piccoli team. Io dalla tv glielo lo avevo suggerito molte volte, vedendo quello che succedeva all'estero. Sino a poco tempo fa l'Italia era organizzata in maniera non moderna».
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