2019-12-12
I 1.000 manifestanti uccisi nelle piazze dal regime iraniano non fanno notizia
Chiedevano riforme, sono stati massacrati nel disinteresse di Roma e dell'Onu. La denuncia bipartisan alla Camera.«Non si era mai vista una carneficina come quello di novembre in centinaia di città iraniane». Lo ha scritto Maryam Rajavi, la presidente del Consiglio della resistenza iraniana, che ha sede a Parigi. La lettera è stata letta durante una conferenza stampa svoltasi a Montecitorio: parlamentari di partiti diversi, difensori dei diritti umani e un folto gruppo di iraniani (in esilio nel nostro Paese da oltre trent'anni: medici, ingegneri, architetti, artisti, eccetera) si sono ritrovati nella sala conferenze della Camera dei deputati per commentare le notizie che arrivavano da Teheran e da oltre duecento città iraniane. Si parla di mille - ripetiamo: 1.000 - vittime, ma potrebbero essere anche molte di più. Fra queste vittime, molte sono giovanissime: vi sono anche ragazzine di 12-13 anni. Oltre a quella autorevole della Rayavi, vi sono state altre testimonianze, come quella significativa dell'ambasciatore Giulio Terzi, ex ministro degli Esteri nel governo Monti: «Il regime criminale di Teheran è terrorizzato, teme di essere ormai alla fine e ricorre agli spietati pasdaran, per la repressione del dissenso. Hanno utilizzato anche le mitragliatrici nella città portuale di Mahshahr, dove i cittadini cercavano di rifugiarsi nei canneti». Poi il regime ha chiuso Internet per bloccare ogni notizia. Ricordiamo che le rivolte sono cominciate il 15 novembre scorso per protestare contro l'aumento dei prezzi, che ha rincarato il costo della vita. Ma i giovani, dalle università alle piazze, protestano anche per porre fine alle guerre nel Medio Oriente, al terrorismo, alimentato dal governo (con costi enormi). Altri motivi che accendono la rivolta sono la crisi dell'occupazione e la mancata liberalizzazione di Internet. Infatti in Iran i siti e la stampa non governativi sono rigorosamente vietati. Anche i libri sono sottoposti a una rigida censura. Chi non si attiene a queste «regole» finisce in carcere, e qui - ha osservato Terzi - i detenuti subiscono trattamenti medievali, come nel penitenziario di Evin, dove la tortura è utilizzata quotidianamente. In tutte le carceri (ma anche in molte scuole e moschee trasformate in camere di tortura) sono stati rinchiusi ben 12.000 giovani, prelevati dalla polizia e dai pasdaran durante le manifestazioni di novembre. Ripetiamo, anche perché nessuna Ong ha dato ancora queste cifre: nel mese di novembre sono state uccisi oltre mille giovani e 4.000 sono rimasti feriti. Gli uomini della Resistenza hanno compilato già elenchi di ben 400 vittime. Ma chi ne ha fatto finora richiesta? Nessuno, in Europa e in Italia. E chi ha protestato per i massacri avvenuti? Nessuno. L'Europa, a parte qualche rarissima eccezione, rimane silenziosa, ma il silenzio più assordante è, purtroppo, quello del governo italiano. Un parlamentare durante la conferenza stampa ha detto: trasmetteremo tutta la documentazione sugli eccidi al ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. «Che cosa farà il ministro - ha risposto un dirigente di una Ong - se nessuno nel governo si pronuncia sul regime dell'Iran?». Del resto, anche Federica Mogherini (ex alta rappresentante Ue per la politica estera) non ha mai speso una sola parola di dissenso nei confronti del regime degli ayatollah. Il governo italiano lancia invece messaggi contraddittori e, a volte, inquietanti: aveva invitato con disinvoltura un ministro iraniano in Italia, poi però qualcuno gli ha suggerito che era meglio revocare l'invito. Il problema vero - è stato ribadito da tutti gli interventi - è che la comunità internazionale non è consapevole della natura criminale del regime iraniano. Basti pensare che il governo del «moderato» Hassan Rouhani ha mandato al patibolo ben 4.000 persone, fra cui 98 donne. Terzi ha insistito sulla necessità e l'urgenza di coinvolgere nelle denunce tutte le organizzazioni internazionali, a cominciare dalle Nazioni Unite. Non solo: è anche necessario insistere - ha detto - sulla politica delle sanzioni, cercando di farle rispettare tutte. Purtroppo anche in questo campo il governo Rouhani non rispetta sempre i vincoli degli accordi sul nucleare, mentre spesso diversi governi europei aggirano le «strettoie» e i divieti rigidi, con escamotage che finiscono col favorire economicamente il governo degli ayatollah.