2020-02-11
Hollywood (a malincuore) scende sulla Terra
Oscar@Craig Sjodin via Getty Images
Due dei premi più ambiti vanno a «Joker» e «Parasite», film che in modo diverso mettono in scena conflitti sociali e critica al capitalismo sfrenato. Ma tra i Vip prevalgono i soliti luoghi comuni, come nell'imbarazzante discorso di Joaquin Phoenix.È l'anno «coreano» degli Oscar. Un film venuto dalla Corea del Sud, Parasite di Bon Joon-ho scavalca i mostri sacri di Hollywood e a sorpresa fa incetta dei premi più importanti: miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura originale, miglior film internazionale. Se Parasite è la rivelazione, Joker, già consacrato dal successo di pubblico e di critica, incassa il riconoscimento di miglior attore protagonista per Joaquin Phoenix. Ma cosa accomuna i due film? Forse il fatto che vanno oltre i limiti della narrativa dominante a Hollywood e nei salotti liberal americani. Portano sugli schermi storie crude: di lotta per l'esistenza, protesta per l'esclusione sociale, denuncia della vacuità dei discorsi buonisti di chi detiene il privilegio e invece del pane dei diritti sociali, continua ad offrire la brioche dell'ideologia. Ma se i diritti civili cedono il passo al ritorno in grande stile delle questioni sociali allora vuol dire che l'aria sta cambiando anche al Dolby Theatre di Hollywood, il tempio nel quale ogni anno, si attribuiscono gli Oscar che trasformano gli attori in divi. Peccato che però gli stessi divi incoronati sembrino non avvertire il senso del riconoscimento che questo anno gli è stato attribuito: Brad Pitt, premio Oscar come miglior attore non protagonista in un film che celebra l'amicizia maschile senza sottintesi omo, ha speso il suo discorso per dare addosso a Donald Trump, con una battuta che aveva l'aria di una respirazione bocca a bocca agli affannati democratici dopo la crisi isterica della strappa-discorsi Nancy Pelosi e dopo il pasticciaccio brutto delle primarie dell'Iowa. A sua volta Phoenix si toglie la maschera dell'eroe controcorrente in lotta contro l'upper class e non trova di meglio che fare un sermone animalista, quasi invocando l'obbligo di alimentazione vegana e piangendo sulla sorte dei vitellini strappati alle loro madri… Contraddizioni dello star-system.Ma veniamo alla pellicola che si aggiudica più premi e bagna il naso a registi consacrati e divi di Hollywood: Parasite punta i riflettori su una famiglia che conosce l'arte dell'arrangiarsi, quasi come nei film italiani del secondo dopoguerra. I Kim vivono con sussidio di disoccupazione in un appartamento sudicio, la fortuna si presenta loro quando hanno modo di entrare in rapporto con i benestanti Park. Le relazioni tra i Kim e i Park si intrecciano e i proletari finiscono con l'occupare la lussuosa dimora della famiglia agiata. A questo punto le battute comiche si intrecciano a situazioni più serie, in una trama che agli appassionati del vintage italiano ricorderà il film di Totò e Gino Cervi Il coraggio. Il film italiano narrava di una tribù familiare capitanata da Totò che si insediava nella casa del commendatore - e candidato alle elezioni politiche - Aristide Paoloni (Cervi). Ma mentre quella commedia all'italiana rappresentava il travaglio del dopoguerra che si riversava nella più serena stagione di benessere, il film di Bon Joon-ho dà voce alle emozioni di un tempo di crisi e di crescente divaricazione della forbice sociale. Lo spettatore a un certo punto viene indotto a chiedersi: «chi è parassita di chi?». La famiglia Kim che viene dal tugurio o i benestanti immersi nella vita dorata dei viaggi intercontinentali?In Joker il dilemma viene risolto alla radice: la storia parteggia sfacciatamente per il «forgotten man», l'uomo dimenticato da chi vive tra privilegi e cause arcobaleno e che si arrabatta tra lavori malpagati e futuro incerto. Ma cosa fa Joaquin Phoenix quando vince l'Oscar? Avrebbe avuto una golosa occasione per «fare Joker» e proseguire nella realtà le istanze che hanno fatto amare la sua maschera cinematografica; invece salendo sul palco rientra nei ranghi. Festeggia il premio mangiando un panino vegano, poi con voce rotta dall'emozione sermoneggia: «Siamo così disconnessi dalla natura, con un punto di vista egocentrico, che andiamo nella natura e la distruggiamo. Commettiamo crimini contro gli animali. Abbiamo paura dell'idea di cambiare, ma dovremmo usare l'amore e la compassione come principi di guida», poi passa alla auto-fustigazione: «Sono stato crudele, cattivo ed egoista nella vita. Sono stato un collega difficile con cui lavorare». Quindi ammonisce: «Ci sentiamo in diritto di inseminare artificialmente una mucca e rubare il figlio, anche se le sue grida di angoscia sono inconfondibili. Quindi prendiamo il latte destinato al suo vitello e lo mettiamo nel nostro caffè e nei nostri cereali». Certo addolora l'immagine di un vitellino strappato a sua madre…Viene da pensare per analogia ai bambini tolti alla loro madre naturale e venduti a benestanti acquirenti nella pratica dell'utero in affitto. Ma sicuramente nella scala di valori di Phoenix il vitellino è più importante di un bambino e l'elegante platea del Dolby Theatre (così dannatamente simile all'antagonista di Joker, il miliardario Thomas Wayne) è troppo distratta o troppo assorta per pensare che forse tanti bambini umani nel mondo fanno la fine del vitellino pianto da Joaquin Phoenix. Ma se Phoenix insieme al cerone dal viso si strappa anche di dosso il ruolo di giustiziere sociale e se Brad Pitt spende il suo discorso per fare un endorsement alle stelle cadenti del partito democratico, allora forse vuol dire che Hollywood ha un problema di «ritorno audio». Si affermano ed emozionano le storie che parlano di diritti sociali e lotta concreta per l'esistenza, ma i divi di Hollywood hanno ancora nelle orecchie gli slogan della cultura da salotto liberal.