
In un libro dell'ex capo dell'ente che riscuote le imposte in Sicilia, la vendetta renziana per aver portato in tribunale la banca amica del Pd. Movimenti inconfessabili e protezioni che non si dovevano svelare.Le esattorie italiane, uniche peraltro in Europa poiché da nessuna parte esiste questo ulteriore aggravio di risorse pagate dai cittadini, hanno subito alterne vicende, ma sempre conservando quello che nelle scienze criminologiche chiamiamo il medesimo modus operandi.Dai cugini Salvo al Monte de' Paschi di Siena fino alla proprietà piena dello Stato, abitudini, vizi e malefatte sono rimasti, gelosamente conservati, gli stessi. La regola è costantemente stata l'intoccabilità dei grandi patrimoni, la tutela degli interessi del potere dominante, la vessazione della platea ampia dei poveri, perseguendo tutti quelli che hanno poco, ma non possono permettersi di perderlo. L'Esattoria in Sicilia e in Italia ha gestito un potere enorme, ha influenzato equilibri economici importanti, ha disposto di informazioni riservate, che hanno consentito un controllo tanto puntuale quanto complice della opacità di certi patrimoni, ha tutelato tanti segreti, ha garantito un Patto che è stato evidentemente criminale, e che ha segnato e segna la storia sottotraccia del nostro Paese, una storia torbida e tante volte rilevante penalmente. Concordo con il procuratore Nino Di Matteo e con l'ex giudice oggi avvocato Carlo Palermo quando scrivono che più che di trattativa Stato-Mafia bisognerebbe parlare di Patto; e anzi di Patto sporco. Ma, in questo capitolo vorrei occuparmi del momento storico che ha visto entrare nelle esattorie italiane le banche, accadde ai tempi del governo D'Alema, quando il sistema bancario manifestava già una crisi severa di liquidità. Non è questa la sede per addentrarmi in dettagli tecnici, che soltanto appesantirebbero la lettura di questo racconto, ma basterà sapere che allora, come era già accaduto prima e come accade ancora oggi, si è fatto semplicemente un grande regalo alle banche. In Sicilia però, si sa, si prende gusto a strafare, cosicché quando mi insediai chiesi di sapere come mai pagavamo una rata così pesante alla banca senese, milioni di euro l'anno. Davanti alla vaghezza delle risposte compresi che anche in questa occasione avrei dovuto chiedere tutti i documenti. L'impresa non fu ardua, ma quasi impossibile; non si trovavano atti importanti, pareri scomparsi, documenti citati ma non rinvenuti. Ci vollero mesi ma finalmente una cosa appariva evidente e cioè che al prezzo ufficiale si era aggiunta una serie di altre voci che a giudizio di chi scrive ha costituito un escamotage per gonfiare il prezzo di cessione. L'operazione, con successive cessioni e restituzioni di quote, aveva interessato un arco temporale di circa 8 anni; alla fine di quel tempo trascorso risultava, come risulta a tutt'oggi, che il prezzo pagato al Monte de' Paschi di Siena da parte della Regione Siciliana che, mutata ancora la legge, assumeva il controllo della società, era da considerarsi provvisorio. E in più, sapete chi avrebbe dato i soldi necessari per acquistare quelle azioni? Ma, ovviamente la stessa banca, senza passare per alcuna gara e a tassi di interesse spaventosi. Un contratto leonino che chi aveva responsabilità societaria e politica al tempo, non avrebbe dovuto accettare mai.Chi avesse valutato corretto quel prezzo di cessione non era dato sapere, perché si fossero accettate quelle condizioni non era dato sapere, perché si continuasse a mantenere servizi costosissimi con la banca senese non era dato sapere, perché mai l'istituto bancario a tutt'oggi conservi e gestisca la banca dati necessaria all'esattoria per conoscere i cittadini siciliani destinatari delle imposte non era dato sapere. Un'operazione opaca, e anzi palesemente inaccettabile, che zavorrava per milioni di euro i conti della partecipata siciliana. Affrontai la questione in un incontro avuto con i vertici della banca, prima a Palermo e poi a Roma, ma compresi subito davanti a quale muro di gomma ci trovassimo. Per la Banca del Monte de' Paschi di Siena non era importante apprendere, cosa che sapeva già, che si era in presenza di un contratto di cessione tracimante di violazioni di legge, ma ciò che contava era sempre e soltanto che loro erano la Banca e noi una partecipata di periferia. Insomma, torto o ragione, ci avrebbero ricondotto all'ordine. Preso atto di tanta ostentata sicurezza, procedetti a presentare denuncia alla Procura distrettuale della Repubblica di Palermo per vari reati e citai la Banca in sede civile. Mi affidavo, dunque, alla legge, eppure fu come se mi fossi permesso di assassinare l'imperatore, una lesa maestà che non mi avrebbero perdonato. Per farmi fuori, dopo meno di un anno di guida della società, un fronte variegato di sedicenti politici, pronti alla vendetta giacché avevo osato pignorare persino la loro indennità, riuscì a fare dimettere, senza alcuna motivazione, i due consiglieri d'amministrazione che componevano il cda della partecipata, così che di conseguenza decaddi anch'io. Ne seguì un'attenzione mediatica nazionale senza precedenti e fu proprio quel faro acceso l'imprevisto sulla strada della vendetta annunciata e praticata dai rappresentanti della casta siciliana. Dopo giorni di denunce pubbliche il presidente della Regione mi chiamò per dirmi che mi avrebbe rinominato e che anzi mi avrebbe proposto quale amministratore unico della società partecipata, affinché portassi a compimento il lavoro iniziato. Chiesi al presidente se davvero gli era chiaro quali inimicizie gli avrebbe attirato quella recidiva volontà, ma mi rispose che sarebbe andato fino in fondo. Così fu, e mantenne la parola. Mi aspettavo molte contrarietà ma una davvero mi sorprese molto, poiché non potevo immaginare che persino Palazzo Chigi temesse la mia conferma giungendo all'impudenza di mettersi di mezzo. Cosa avevo fatto di tanto grave?Avevo aumentato la produzione, riportato le entrate al segno positivo, perseguito gli evasori, sequestrato beni e individuato patrimoni criminali, e mi sembrava quindi di aver fatto semplicemente il mio dovere. Ma evidentemente, proprio quello non dovevo fare: compiere il dovere, servire la legge. La sera prima della mia riconferma il presidente della Regione fu ricevuto a Palazzo Chigi, insieme con alcuni funzionari testimoni dell'accaduto, e allorquando preannunciò che l'indomani mi avrebbe riproposto, ecco alzarsi la voce di un autorevole esponente del governo di Matteo Renzi per dire che non si poteva confermare chi si era permesso di denunciare la Banca del Monte de' Paschi di Siena. I presenti impallidirono e il presidente vacillò. Ecco, dunque, il delitto commesso: la denuncia contro quella Banca. Non mi sfuggiva quanto famigerata fosse la fama che precedeva l'istituto senese, e quanto forte fosse l'interesse politico verso quella banca, ma davvero non pensavo che il governo del Paese potesse mettere le mani laddove per legge non avrebbe potuto ingerirsi, fino a minacciare di rappresaglia il presidente della Regione. Cosa aveva da temere la banca dalla mia denuncia? Mi sono fatto un'idea chiara, ma non sta a me dire l'ultima parola che spetta alla magistratura adita per le indagini. Da parte mia resta semplicemente l'opinione di movimenti inconfessabili e di protezioni che non si dovevano svelare. Ne parlai anche in Commissione parlamentare antimafia, ma questa è ancora un'altra storia. Avevo osato troppo e avrei dovuto pagare. In effetti, pagai. Il Parlamento siciliano con una legge contra personam varata dagli accaldati deputati siciliani nientedimeno che l'11 di agosto mi fece fuori.Quella testimonianza davanti alla Commissione parlamentare andava punita, e così accadde in un giorno d'afa. Il giorno in cui la Chiesa festeggia Santa Chiara, la cui bella chiesa a Palermo si trova sempre a Ballarò, ed è alle suore di Santa Chiara che è affidata nel capoluogo siciliano la cripta delle Repentite (ree e pentite). Mi è andata bene, se si pensa che sempre in quel giorno cade l'anniversario della strage di Castalduni insieme alla elezione a Papa di Rodriguo Borgia (Alessandro VI). E così nel giorno in cui inizia ufficialmente il calendario dell'anno lungo dei Maya e si ricorda che John Lennon a Chicago si scusò per aver detto che i Beatles erano diventati più famosi di Gesù, in Sicilia accade, se vogliamo, una banalità, si vota una legge che non sarà mai attuata, si elimina un testimone e si dà l'avvio ad una nuova stagione, anzi no, si torna alla vecchia, a quella di sempre, dei silenzi e del rispetto. In Sicilia certe vendette è bene consumarle d'estate, quando il solleone riempie le spiagge e distrae le coscienze. I media erano in ferie!
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





