2019-11-24
«Ho fatto capire a inglesi e francesi che l’Italia non è spaghetti e pizza»
Il giudice di Masterchef Giorgio Locatelli, vincitore di una stella Michelin con la sua Locanda a Londra: «Ho dato pugni per difendere il mio Paese. Ma non sono ancora riuscito a fare apprezzare la salama da sugo e la trippa».È l'ambasciatore riconosciuto della cucina italiana in Inghilterra. Ha ottenuto una stella Michelin e alla sua tavola hanno mangiato decine e decine di vip. Da gennaio è anche giudice di Masterchef Italia, mentre Oltremanica è un ospite amato nei programmi di cucina. Eppure Giorgio Locatelli è dovuto andare a fare un esame per dimostrare che parla inglese! Effetti collaterali assurdi del processo di separazione della Gran Bretagna dall'Unione europea. Lo chef della Locanda Locatelli, nel cuore di Londra, lo racconta tra il serio e il faceto, alla presentazione del progetto Enjoy european quality food, che vede sei prodotti italiani (prosecco superiore Conegliano Valdobbiadene docg, Asti docg vino nobile di Montepulciano docg, provolone valpadana pdo, olio extravergine d'oliva toscano pgi e mozzarella tsg) riuniti in un'alleanza per diffondere la cultura dei prodotti tipici italiani in Europa.Ci spiega meglio com'è questa storia dell'esame?«A causa della Brexit, di recente ho dovuto fare un esame di lingua per avere il diritto di rimanere in Inghilterra. Sono andato agli uffici preposti e una signora molto simpatica mi ha fatto il test. Abbiamo parlato per dieci minuti, mi ha chiesto di farle delle domande. Alla fine mi ha detto che le dispiaceva che avessi dovuto sottopormi a questa cosa. Ma ha aggiunto: “I dieci minuti sono passati ed è un peccato: starei qui a parlare con lei tutto il giorno!"». C'è da ridere ma forse anche da piangere. Ha voglia di dirci cosa pensa della Brexit?«A dire la verità ancora non ci voglio credere e non ci credo. Mi ricordo che la sera del referendum sono tornato a casa tardi, intorno all'1,30, mia moglie stava guardando i risultati del referendum. Mi ha detto che stavamo andando bene, ma io ero stanco e sono andato a dormire. La mattina dopo, appena sveglio, ho acceso la radio e ho scoperto che eravamo fuori. È stato uno choc: ho avuto l'aria triste per tutto il giorno. Insomma, è come se tu fossi stato attaccato tutta la vita a qualcosa e all'improvviso ti avessero buttato fuori». Lei ha lasciato l'Italia (e anche il ristorante di famiglia sul lago Maggiore) nel 1985, a poco più di vent'anni, ed è venuto a Londra. Cosa è cambiato da allora?«Quando sono arrivato in Inghilterra, alla cucina del Savoy, ho dovuto imparare la Old french cuisine. Essere italiano e conoscere la cucina italiana a quel tempo non era un vantaggio, anzi. Poi quando sono andato a Parigi per la prima volta mi hanno chiesto di aggiungere della pasta a un piatto dello chef. È stata una gioia e devo dire che da allora molte cose sono cambiate. Siamo molto più apprezzati come professionisti, mentre prima c'era l'idea che fossimo di un ceto inferiore. Una volta, poi, trovare prodotti italiani era difficile, adesso c'è tutto e tutto arriva fresco e rapidamente. Speriamo che non ci siano cambiamenti in futuro».Teme le conseguenze di questo divorzio?«Per i prodotti non molto. La cosa più tragica sarà che i ragazzi non vorranno più venire qui a lavorare. Adesso abbiamo tanti ragazzi italiani, di grande capacità e intelligenza che ci hanno permesso di fare tanti passi avanti in questo settore. Fino a due o tre anni fa venivano qui alla fine della scuola con i genitori, chiedevano di vedere la cucina, si informavano se potevano lavorare con noi. La famiglia quasi spingeva i ragazzi a venire a fare un'esperienza all'estero. Adesso questa tendenza si è persa. Noi continuiamo a lavorare con le scuole, ma i ristoranti e alberghi di medio livello rischiano di perdere personale e occasioni. Un peccato, anche perché molti dei nostri giovani, una volta tornati in patria hanno fatto cose eccezionali. A livello burocratico, poi, temo che tutto diventerà più complicato».Tornando a parlare di gusto e cucina. A suo parere qual è il piatto italiano più apprezzato a Londra?«Sicuramente gli spaghetti con le polpette, che non sono un piatto italiano! I bambini qui imparano cos'è la pasta con gli spaghetti alla bolognese, che è venduta nei ristoranti. Tanti si arrabbiano, ma io dico solo una cosa: è meglio che qualcuno cominci a mangiare quello e poi assaggi la tagliatella, capisca e non mangi più gli spaghetti con le polpette. La presenza di questo cibo destinato ai bambini e facile da amare per loro, a mio parere è una cosa che va apprezzata».Qual è invece il piatto che le piacerebbe far conoscere?«La salama da sugo piacentina. L'ho comperata per anni, l'ho preparata e proposta ma non andava. Un'altra cosa che gli inglesi mangiano pochissimo è la trippa. Mangiano la “cassoela" e la “buseca". Nella trippa invece c'è qualcosa che non piace: la mangiano solo i gentlemen di una certa età di origine ebraica. Eppure, l'abbiamo messa talmente tante volte nel menù…».Le va di dirci qual è il miglior complimento che ha ricevuto?«Il complimento più bello è quando una persona viene al ristorante e dice: “Mi sento come se fossi a casa mia". Significa non solo che sei riuscito a cucinare bene, ma che sei riuscito a creare un bell'ambiente, con il personale e l'atmosfera adatta. Riuscire a far sentire il cliente a casa sua è il complimento più bello. Non saprei citare altro, anche perché è mia moglie, in realtà, che si occupa di leggere tutto quello che dicono di me e poi sceglie ciò che devo leggere: puntando soprattutto sui commenti negativi. Immagino che sia per spronarmi, perché la criticità ci fa muovere».Tempo delle confessioni: qual è la persona per cui si è sentito più onorato di cucinare?«Per me i clienti sono tutti uguali, certo che però quando cucini per Gualtiero Marchesi o per chef così è un onore. Se dovessi scegliere una persona come l'ospite ideale, comunque, direi mia nonna. Adesso poter cucinare una cena per la nonna Vincenzina e farle vedere la Locanda Locatelli, piena di gente sarebbe bellissimo. Era una donna incredibile, cucinava nel nostro ristorante, mi ha dato tanta forza e ancora adesso quando sono giù di morale penso a lei».Lei è stato il primo cuoco dedicato alla cucina italiana che ha ottenuto una stella Michelin a Londra. Cosa ha significato?«Per me è stato un grande riscatto. Io non ho un grande senso di rivalsa, ma quel giorno mi sono tornati in mente tutti quelli che mi hanno detto: “Voi italiani, siete solo spaghetti e pizza". In Francia sostenevano che ero uno spaghetto che aveva imparato a cucinare dai roast beef. Ho fatto tante volte a pugni per difendere l'Italia».
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