2024-08-21
Harley-Davidson dice stop al woke
Attaccata da un influencer conservatore, la casa motociclistica annuncia: «Basta con i protocolli per l’inclusività, d’ora in poi faremo solamente il nostro lavoro».Niente woke, siamo biker. D’accordo, l’inflazione di termini inglesi può dare fastidio, ma d’altronde stiamo parlando di qualcosa che ha a che fare prepotentemente con l’identità di quella che un analista pigro definirebbe «America profonda». Ovvero i grandi spazi, il senso di libertà, la route 66. E ovviamente la Harley-Davidson. La casa motociclistica fondata nei primi anni del Novecento da William Silvester Harley e Arthur Davidson, e che il solito analista pigro definirebbe quanto mai «iconica», sbatte la porta in faccia ai pasdaran della «inclusività».Tutto nasce dall’attacco al marchio di Milwaukee sferrato da Robby Starbuck, regista di video musicali e documentari, diventato influencer politico conservatore. In un video di nove minuti su X, Starbuck ha attaccato la Harley-Davidson, perché «non è allineata con i suoi clienti». L’uomo ha citato l’adesione alla Camera di Commercio Lgbtq+ del Wisconsin, l’organizzazione di un campo di formazione Lgbtq+ presso i suoi uffici e l’impegno per aumentare la diversità della sua rete globale di concessionari. «Lasciate che vi dica cosa vogliono i vostri clienti, perché è piuttosto facile», ha detto Starbuck nel video, «sbarazzatevi delle questioni sociali e delle cause divisive… niente più dipartimenti Diversity & Inclusion, niente più corsi di formazione woke, niente più donazioni a cause woke. Fate solo motociclette. Punto». Starbuck non è nuovo a campagne di questo tipo: pochi mesi fa aveva già convinto Deere & Co. e Tractor Supply, due aziende produttrici di trattori, a chiudere con alcune iniziative pro «diversità». Anche con Harley-Davidson sembra aver fatto centro: in una risposta pubblica, la casa motociclistica si è detta «rattristata dalla negatività delle ultime settimane, che ha diviso la comunità» di riferimento. E ha aggiunto: «Non abbiamo più una funzione Dei da aprile del 2024, e non ce l’abbiamo oggi». Dei sta per Diversity, equity and inclusion, ed è la sigla che riguarda i parametri aziendali relativi alle «minoranze» e alla loro «inclusione». Harley-Davidson ha poi sottolineato che non gode più di «quote di inclusione nelle assunzioni» né ha «obiettivi di spesa per la diversità dei fornitori». Niente più sponsorizzazioni a iniziative legate all’inclusione, stop ai rapporti con la Human Rights Campaign, revisione globale dei partenariati con organizzazioni esterne. «Ci concentreremo esclusivamente nella crescita del motociclismo sportivo e consolidando la nostra fedele comunità di motociclisti», ha concluso l’azienda.Il format di Starbuck sembra rodato e soprattutto vincente. Tractor Supply, dopo aver ritirato ogni iniziativa woke poiché pungolata dall’influencer, aveva commentato: «Abbiamo sentito dai clienti che li abbiamo delusi». La John Deere, dopo attacchi analoghi, aveva scritto su X che non avrebbe più partecipato a «parate, festival o eventi di sensibilizzazione sociale o culturale». Finisce quindi l’incantesimo che ha portato qualsiasi azienda, anche quelle con un pubblico tendenzialmente conservatore, a sposare le cause più astruse, a costo di inimicarsi i propri clienti. Sembrava che l’agenda woke andasse perseguita a prescindere dalle eventuali conseguenze economiche: oggi molti dirigenti d’azienda si sono, è proprio il caso di dirlo, «svegliati» (che è la traduzione letterale di woke). Un altro aspetto balza all’occhio: Starbuck ha usato contro l’attivismo neo progressista le sue stesse armi, ovvero lo scandalo pubblico sollevato via social, la mobilitazione dei possibili clienti che crea imbarazzo all’azienda. Sono gli strumenti con cui ogni voce scomoda è stata in questi anni «cancellata». Ma a quanto pare funzionano anche nel senso opposto.
Ursula von der Leyen (Ansa)
Antonio Filosa, ad Stellantis (Ansa)
Giancarlo Giorgetti (Ansa)