2022-07-16
Temono il voto più del Covid
Mario Draghi (Pier Marco Tacca/Getty Images)
L’ipotesi di andare alle urne scatena il panico a sinistra: «No, c’è la guerra, le bollette, l’inflazione». Guai che la presenza di Mario Draghi non ha affatto scongiurato. Ma per non dare la parola al popolo si evoca persino l’esercizio provvisorio. A luglio! Pressioni incredibili dall’estero: dagli Usa al Vaticano vogliono il bis dell’ex banchiere.Oddio, ci sono le elezioni. Le dimissioni di Mario Draghi hanno gettato nel panico le redazioni dei giornali italiani. Anzi, del mondo. È bastato che il premier salisse al Colle per tenere fede - incredibile a dirsi - alla parola data, annunciando di aver deciso di fare le valigie, che il mondo dell’informazione si è fatto travolgere da una crisi di nervi. «Draghi si dimette», ha titolato il quotidiano La stampa, «l’Italia rischia il caos». Commento di Marcello Sorgi dai toni drammatici, in cui si ipotizzava addirittura un esercizio provvisorio, cioè la mancata approvazione del bilancio dello Stato. Repubblica, già duramente colpita dalla scomparsa del suo fondatore, non ha voluto essere da meno titolando: «Shock Draghi», con aggiunta di un reportage da Kiev di Gianni Riotta che dava testimonianza della preoccupazione ucraina per le dimissioni del nostro premier: ora che Draghi lascia, Zelensky si sente più solo e teme cedimenti ai russi. Anche il Corriere non ha mancato di descrivere l’ora più buia: «Bruxelles in ansia per l’amico Mario», quasi che il presidente del Consiglio rischi qualcosa di personale abbandonando la poltrona di Palazzo Chigi. E in sovrappiù, sulla stessa pagina del quotidiano di via Solferino, l’elenco di sciagure che si è portato dietro l’addio dell’ex governatore della Bce: «Lo spread risale a quota 228, Milano maglia nera, -3,44 %, Pil, l’Europa taglia le stime».Ma, come dicevo, la stampa estera non ha voluto essere da meno. Per rendersene conto, è sufficiente dare uno sguardo ai siti online delle più importanti testate internazionali. «L’Italia è precipitata nell’instabilità politica» è stato il commento del Financial Times. «Le dimissioni di Mario Draghi fanno precipitare il Paese nell’incertezza», gli ha fatto eco Le Figaro. «La crisi di governo potrebbe mettere in pericolo l’intera eurozona», si è spinto a pronosticare un funereo Die Welt. Insomma, una catastrofe o quasi. Se sui giornali, che sono lo specchio della politica, questi erano i toni, la politica, a cominciare da quella italiana, ha fatto anche di peggio. Dal Pd sono arrivate reazioni durissime. L’aggettivo più in voga per definire la caduta del governo è stato irresponsabile, ma anche folle ha fatto la sua parte, lasciando intendere che chiunque pensi oggi a un ricorso alle urne necessiti di un trattamento sanitario obbligatorio. Con un articolo da Bruxelles, Repubblica ha tenuto a farci conoscere che anche all’interno della Ue la pensano così. «Davvero in Italia state mandando via Draghi? In questo momento? In questo contesto?». Manfred Weber, capo dei Popolari europei, si è allineato, sposando in pieno le parole del segretario del Pd e definendo inaccettabile lo strappo. Sempre dai palazzi dell’Unione, La Stampa ci ha informato che le elezioni anticipate in questa fase, alla vigilia di un autunno che si annuncia caldissimo, non sono considerate opportune. Titolo: «La spinta dell’Europa, serve un governo stabile, l’Italia non cambi linea».Insomma, a reti e testate unificate, partendo da Roma per passare alle diverse capitali europee, ieri è stato un coro non solo in favore di Draghi, ma soprattutto contro le elezioni. Perché votare sia considerato tanto grave, irresponsabile e folle, si fatica a capire. In tutte le democrazie ogni tanto si vota e non c’è Covid o conflitto internazionale che abbia mai impedito un diritto che è ignoto solo a quelle dittature che proprio i Paesi occidentali dicono di voler sconfiggere. Tanto per fare qualche esempio, segnalo che, nonostante la pandemia, nell’ultimo anno e mezzo si è votato in Olanda, Germania, Norvegia e Repubblica Ceca, e in tre di questi Paesi i seggi sono stati aperti fra settembre e ottobre senza che nessuno parlasse di autunno della ragione. A gennaio si è votato in Portogallo e, seppure in presenza di una guerra, di sospendere il voto in Ungheria e in Francia non si è parlato. Tanto per essere chiari, a Parigi a giocarsi la partita delle presidenziali erano Emmanuel Macron e Marine Le Pen, ma non c’è stato un giornale che abbia considerato folle scegliere - in quel momento, cioè con le bombe russe sull’Ucraina - il presidente che avrebbe dovuto guidare la Francia. E sebbene a Berlino si chiudesse la stagione di Angela Merkel non è venuto in mente ad alcun editorialista di sollecitare un rinvio del turno elettorale. Si dirà: ma la legislatura tedesca era giunta al termine naturale, cosa che da noi non è accaduto. Beh, altrove si è sciolto in anticipo il Parlamento senza che nessuno fiatasse. Un esempio? Israele, dove il Covid e l’invasione russa non hanno impedito di votare cinque volte in tre anni e mezzo, segno che evidentemente a Gerusalemme non ci si indigna né ci si allarma se il governo cade e si restituisce la parola agli elettori. Certo, se il sistema fosse quello russo, non ci sarebbero questi problemi, perché i seggi si aprirebbero solo quando lo dice Putin, ma forse avremmo altri guai. La realtà è che se nel 2011 fossimo andati a votare non avremmo avuto Mario Monti e lo stesso si può dire di Matteo Renzi, passato da Palazzo Chigi senza passare dal voto, o di Paolo Gentiloni. Nell’ultima legislatura, per l’idiosincrasia di Sergio Mattarella nei confronti delle elezioni, abbiamo avuto un Conte bis e poi Draghi. Il risultato è che a forza di governi tecnici e del presidente, abbiamo un debito più alto di prima, lo spread a 200 nonostante l’ex governatore della Bce, e i pastrocchi del reddito di cittadinanza e del super bonus. In altre parole, forse era meglio andare a votare e lasciare che la scelta del governo fosse del popolo sovrano e non di un sovrano senza popolo.