2022-06-16
È iniziata la grande retromarcia
Volodymyr Zelensky (Getty Images)
Chi diceva che l’Ucraina poteva vincere ora è meno ottimista. Nel Donbass le truppe di Mosca continuano ad avanzare e fare morti. Dopo mesi, sanzioni e tensioni sulle materie prime fanno male certo a noi e danni incerti a Vladimir Putin. Anche in America si fa strada una posizione realista: tensioni col presidente-simbolo. Qualcosa sta cambiando: speriamo serva.L’altra sera a Cartabianca Carlo Calenda ha dato in escandescenze a proposito del conflitto in Ucraina. «Queste questioni di lana caprina, per cui persone sedute in Italia senza un invasore spiegano perché gli ucraini si devono arrendere o addirittura sono immorali perché si difendono, fanno ridere», ha gridato all’indirizzo del sottoscritto e della professoressa Donatella Di Cesare. Poi, in drammatico crescendo, ha aggiunto: «Siete persone che hanno dimenticato tutto quello di grande e glorioso che hanno fatto le generazioni passate per assicurarvi il fatto di stare col sedere al caldo a fare questi sproloqui». Ora, con tutta evidenza il problema non è Calenda in sé - evento del tutto irrilevante - ma il Calenda in noi. Cioè l’omino urlante che si è impossessato di politici, conduttori e intellettuali negli ultimi mesi, e che è andato ripetendo le stesse frasi berciate dal politico romano l’altra sera. Chiunque invitasse al dialogo e auspicasse la costruzione di un percorso di pace è stato indicato (o schedato) come putiniano. La propaganda ha scavalcato la realtà e la Storia - come ha notato Pietrangelo Buttafuoco - è stata ridotta a sceneggiatura, con il ruolo dell’eroe e quello del cattivo assegnati d’imperio. Ebbene, a quattro mesi dall’inizio della operazione militare speciale putiniana siamo arrivati all’inevitabile momento dello scontro con la granitica realtà.La situazione sul campo in Ucraina non è esattamente quella che ci è stata descritta. I russi avanzano, gli ucraini subiscono centinaia di perdite al giorno, le armi scarseggiano e le sanzioni non stanno avendo l’impatto che l’Occidente sperava avessero su Mosca. In buon sostanza, gli strepiti dei Soldati di Babilonia pronti, dal loro tinello, a combattere fino all’ultimo ucraino non sono serviti a molto. E può davvero darsi che quanto Putin non ha ottenuto tramite trattativa lo ottenga con la forza nei prossimi mesi. Anche perché, tutt’intorno e soprattutto negli Stati Uniti, il vento sta leggermente modificando direzione. Alcuni analisti nostrani, a partire da Nathalie Tocci, provano a torcere i fatti sostenendo che la Russia ha perso ma l’Ucraina potrebbe «non vincere», che è una maniera interessante ma grottesca per dire che Zelensky rischia seriamente la sconfitta. Osservatori più lucidi, come Gideon Rachman del Financial Times, spiegano che a Washington non sono pochi a pensare che l’Ucraina potrebbe doversi accontentare di lasciare ai russi pezzi di territorio. «Nonostante le divisioni sottostanti, la maggior parte dei governi occidentali sembra pensare che se l’Ucraina può costringere la Russia a tornare dove le sue forze armate sono iniziate il 24 febbraio, prima dell’invasione, ciò fornirebbe una base per seri negoziati», ha scritto Rachman. «Purtroppo, tuttavia, non vi è alcuna garanzia che l’Ucraina possa ottenere questo tipo di vittoria, o che entrambe le parti smetteranno di combattere, se verranno raggiunte le linee del 24 febbraio. In Ucraina, come in Vietnam, la definizione di vittoria è pericolosamente sfuggente e il risultato potrebbe essere una lunga e brutale guerra di logoramento». Carl Delfeld, ricercatore presso l’Hay Seward Center for economic security ed ex membro del consiglio statunitense dell’Asian development bank, su National Interest è stato parecchio più esplicito. «In termini di tempi, ci sono diversi motivi per avviare negoziati nei prossimi mesi sostenuti da un fronte unito e tattiche militari aggressive», ha scritto. A suo dire, i rischi all’orizzonte sono numerosi: «Mentre il sostegno europeo e americano all’Ucraina è attualmente forte, il rischio che tale sostegno vacilli aumenterà man mano che il conflitto continua e il mondo deve affrontare sfide economiche maggiori. Inoltre, il costo della guerra aumenta ogni giorno. [...] È un paradosso che anche se l’Ucraina raggiunge il suo obiettivo finale di spingere la Russia completamente fuori dai suoi confini, compresa la Crimea, i rischi di un’escalation nucleare aumentano considerevolmente». Il consiglio di Delfeld è ruvido ma sensato: «Un’opzione realistica è che l’Ucraina possa rinunciare all’adesione alla Nato e diventare un Paese non nucleare e non allineato in cambio della ricezione di garanzie di sicurezza alle frontiere dai suoi sostenitori occidentali. Mentre gli storici preferiscono analizzare come e perché iniziano le guerre, come finiscono le guerre è altrettanto importante e mai facile. Le colombe ucraine, i falchi e coloro che si trovano in mezzo hanno bisogno della saggezza e del coraggio per ascoltare il consiglio dello statista romano Cicerone secondo cui a volte “una pace ingiusta è meglio di una guerra giusta”». A ben vedere, pure in Europa questa visione comincia a farsi strada. «A un certo punto», ha dichiarato ieri Emmanuel Macron, «dovremo negoziare. Il presidente ucraino dovrà negoziare con la Russia e noi, europei, saremo attorno a quel tavolo». Ma pensa. Sembra persino che Joe Biden, negli ultimi tempi, abbia iniziato a prendere le distanze da Zelensky. In fondo, gli Usa hanno già ottenuto vari risultati dal conflitto, e forse non hanno troppa voglia di impelagarsi in una nuova Cambogia. Solo il segretario della Nato, Jens Stoltenberg, sembra fissato con la linea dura: «L’Ucraina ha bisogno di armi pesanti e di equipaggiamenti di ricognizione», ha detto. «Mi aspetto che gli alleati accorderanno un pacchetto completo di assistenza all’Ucraina per passare dall’equipaggiamento dell’era sovietica all’era atlantica». Ma, appunto, gli alleati non appaiono troppo intenzionati a sostenere una guerra senza limiti. Di sicuro, questa intenzione non la mostrano gli italiani, per lo più contrari all’invio di armi e consapevoli che toccherà a loro pagare le conseguenze del conflitto a oltranza. Resta solo da capire se prevarranno la ragione e il realismo: se si ascolterà il Papa o se i piccoli Calenda con elmetto e archibugio continueranno a offuscare le menti occidentali. Non è un bel vedere, ma questo è il quadro.
Little Tony con la figlia in una foto d'archivio (Getty Images). Nel riquadro, Cristiana Ciacci in una immagine recente
«Las Muertas» (Netflix)
Disponibile dal 10 settembre, Las Muertas ricostruisce in sei episodi la vicenda delle Las Poquianchis, quattro donne che tra il 1945 e il 1964 gestirono un bordello di coercizione e morte, trasformato dalla serie in una narrazione romanzata.