2021-03-18
Guerra al maschio strada per strada: «Più vie alle donne»
La nuova frontiera dello scontro di genere è la toponomastica. La campagna di «Vanity Fair»: «Mettiamo nomi femminili».Finalmente qualcuno ha scoperto quale sia il grande problema delle donne italiane, quel che davvero le fa soffrire e le angoscia, tanto più in questi giorni di pandemia: non hanno abbastanza strade. Attenzione, non è una metafora: parliamo di strade vere e percorribili. Apprendiamo infatti dall'Ansa che, in Italia, «solo il 4% delle strade sono intitolate a donne». Il formidabile dato viene fornito dall'associazione Toponomastica femminile, fondata e presieduta dall'attivista Maria Pia Ercolini.Tale organizzazione, scopriamo grazie al sito ufficiale, «nasce su Facebook nel gennaio 2012 e si costituisce in associazione nel 2014 con l'intento di restituire voce e visibilità alle donne che hanno contribuito, in tutti i campi, a migliorare la società. Il gruppo di ricerca, formato da oltre trecento associate/i e diecimila simpatizzanti su Facebook, pubblica articoli e dati su ogni singolo territorio e sollecita le istituzioni affinché strade, piazze, giardini e spazi urbani in senso lato, siano dedicati a donne».Grazie al costante impegno e attraverso un censimento toponomastico nazionale, l'associazione ha scoperto che «la media di strade intitolate a donne va dal 3 al 5% (in prevalenza madonne e sante), mentre quella delle strade dedicate agli uomini si aggira sul 40%. Dalla constatazione di questo gap sono partite le tante iniziative rivolte sia alla scuola, sia all'intera cittadinanza, attraverso concorsi e corsi di formazione, mostre fotografiche e documentarie, convegni e conferenze, performance e salotti letterari, itinerari turistici in ottica di genere e pubblicazioni».Dopo tanti anni di attività, per l'associazione è arrivato finalmente il momento della svolta: una campagna di rilievo nazionale, sostenuta da uno dei gruppi editoriali più potenti d'Italia, Condé Nast. Il settimanale Vanity Fair, infatti, ha lanciato un progetto intitolato «La strada giusta», il quale «si fa promotore di intestazioni al femminile di strade, piazze, corti e giardini». Quali siano le azioni messe in campo lo spiega Simone Marchetti, direttore del settimanale patinato: «Abbiamo contattato tanti Comuni di grandi e piccole città, da Nord a Sud, per dare nuovi nomi di donne alle strade italiane. Per celebrare questa iniziativa, poi, abbiamo messo in copertina le 48 donne italiane che oggi secondo noi stanno scrivendo una nuova geografia politica, culturale, sociale ed economica dell'Italia». Tra le testimonial della campagna ci sono Ilaria Capua, Donatella Versace, Chiara Ferragni, Elodie, Vittoria Puccini, Ginevra Elkann, Lucia Annibali, Samantha Cristoforetti, Emma Bonino, Cathy Latorre, persino Luciana Lamorgese… Insomma, un bel concentrato di vip e attiviste. E non è tutto. Marchetti non si limiterà a tartassare i Comuni già provati da ben altre difficoltà, ma annuncia pure che per «seguire la strada giusta» provvederà a cambiare il linguaggio utilizzato sul suo giornale. «Le parole che pronunciamo, infatti, come i nomi delle vie che attraversiamo ogni giorno, ci condizionano, ci formano, ci indicano la strada […] E non fermatevi di fronte a chi insinua che sia solo l'ennesima deriva del politicamente corretto». Immaginiamo dunque che Vanity Fair sarà tutto un fiorire di «direttora» e «sindaca» al posto di «direttore» e «sindaco». Dopo tutto, ognuno si sottomette a modo suo, e se a Condé Nast vogliono abbracciare la neolingua, in bocca al lupo. Anzi, alla lupa. Oddio, forse attribuire a una lupa un carattere aggressivo è scorretto, magari laddove emergono aggressività e negatività dovremmo lasciare i nomi maschili… Vabbè, provvederanno Marchetti e soci a svelarci l'arcano nei prossimi mesi.Il punto interessante è un altro. Se si spulcia l'elenco di 48 donne fautrici del cambiamento, tra una Giovanna Botteri e una Elisabetta Sgarbi, tra una Rula Jebreal e una Alba Rohrwacher compare anche Josephine Yole Signorelli, 30 anni, meglio nota con il nome di Fumettibrutti. Costei ha pubblicato 3 libri per Feltrinelli, tutti di grande successo, e gode di grande seguito e stima nel mondo del fumetto. Piccolo particolare: Fumettibrutti è una transgender. Sia chiaro: non vogliamo prendercela con lei o criticarla in alcun modo, e di sicuro non abbiamo problemi a riconoscerne il talento.Ci interessa, piuttosto, il fatto che Vanity Fair inserisca una trans fra le donne. Dopo aver detto di voler restituire «voce e visibilità» alla popolazione femminile, il settimanale - in ossequio al pensiero oggi dominante - afferma che chi cambia sesso abbia diritto a definirsi «donna» a tutti gli effetti. In questo modo si stabilisce che per essere donna basti il desiderio. La differenza sessuale, la differenza femminile, così facendo viene cancellata: anche un maschio, se lo vuole può essere donna. L'ideologia che impone questa visione del mondo è la stessa che propugna il gender Id, cioè l'autodichiarazione dell'identità di genere. È la stessa ideologia in virtù della quale le femministe vengono aggredite e censurate dai militanti trans, in Italia e non solo. È la stessa ideologia utilizzata dalla organizzazione ombrello Lgbt Ilga per chiedere l'espulsione di Arcilesbica. Eliminare la differenza di genere significa strappare alle donne ciò che da sempre le rende uniche: la possibilità di dare la vita. E non esiste nulla di più misogino e discriminatorio, poiché si consente ai maschi di gestire in autonomia il mistero della nascita attraverso la tecnologia, magari tramite l'utero in affitto.Ecco il gigantesco inganno: da una parte si spendono parole dolci sui diritti femminili e sulla «parità di genere»; dall'altra si ribadisce nel modo più violento possibile il potere del maschile arrogante e deviato. Sì, cambiate pure i nomi delle vie. Sappiate che, con la stessa facilità, domani un uomo potrà decidere di diventare donna. In fondo il meccanismo è uguale: basta modificare un nome.
Il ministro della Salute Orazio Schillaci (Imagoeconomica)