2024-02-17
L’ultimo Marchesi: i piatti diventano quadri
Gualtiero Marchesi nel 2015 (Getty Images)
In tarda età, il grande chef raggiunge il suo zenit professionale: diviene rettore dell’alta scuola di cucina Alma a Colorno e apre un ristorante accanto alla Scala di Milano. Restituisce le stelle Michelin per dare un esempio ai giovani. E raffina il suo estro.Gualtiero Marchesi le stelle non le stava certo a guardare. Nel 1999 il presidente della Provincia di Parma, Andrea Borri, inizia a coltivare il progetto di una scuola internazionale di cucina italiana volta ad esaltare prodotti e tradizioni del Belpaese. C’è bisogno di un Magnifico rettore che ne garantisca qualità e sostanza.All’inizio Gualtiero nicchia, ma quando gli fanno sapere che l’alternativa poteva essere un fumeggiante collega che allora andava per la maggiore tra gli Appennini, decide di scendere in campo, per l’ennesima volta. Una frollatura di qualche anno e, nel 2004, parte un’altra nuova e straordinaria avventura, l’Alma, presso la Reggia di Colorno. Il nome è un riferimento all’Alma Mater Universitaria, la madre nutrice degli studi. Gemellaggio coerente. Vari i corsi, declinati nelle diverse discipline in cui potevano perfezionarsi i giovani diplomati delle scuole alberghiere di tutta Italia.La missione che Marchesi affida al team di docenti è molto chiara: «Abbiamo il compito fondamentale di trasmettere il meglio a questi ragazzi. Non tutti potranno diventare dei “solisti”, ma tutti potranno suonare in una eccellente orchestra». Nonostante il relais dell’Albereta sia fonte di continue soddisfazioni, nell’anima di Gualtiero lievitano le madeleine della nostalgia meneghina. Confessa ai suoi: «Se torno a Milano potrei andare solo in tre luoghi. Il Duomo, il Castello Sforzesco e La Scala». Nel 2008 apre i battenti il Marchesino alla Scala. Ancora una volta Marchesi fa da apripista a realtà che poi troveremo diffuse, date per scontate. Al cliente in attesa di comanda si fanno vedere sul computer portatile le foto dei piatti che andranno ulteriormente a stimolare le sue papille golose. Per chi è in attesa di prenotarsi per tempo, la segreteria telefonica trasmette una canzoncina anni Quaranta, Gagarella, che ironizzava sulle ragazzine un po’ svampite e ambiziose mantenute dai genitori. Solo che qui le voci erano dello stesso Gualtiero Marchesi e di un giovane Elio (quello delle Storie Tese). Nel 2008 millesimo importante nell’almanacco marchesiano: dopo poche settimane dall’inaugurazione della sua nuova casa culinaria, lo chef che ha fatto la storia della nuova cucina italiana convoca i giornalisti al Circolo della stampa. Stavolta non apre un nuovo locale, ma restituisce le stelle che la più prestigiosa guida culinaria gli aveva attribuito, pioniere a livello nazionale. «Le restituisco per dare un esempio e dire ai giovani che la passione per la cucina non può essere subordinata ai voti. Devono trovare nel loro percorso professionale la possibilità di esprimersi secondo i propri desideri, i propri talenti, ma liberi dal fatto di essere in competizione continua tra di loro». Un boato, ma con una differenza. Già altri, in passato, avevano rinunciato all’aristocrazia tristellata, ma Marchesi era stato il primo a uscirne senza cambiare di una virgola la sua dedizione quotidiana alla passione di una vita. Semplicemente voleva sentirsi più libero, essere sé stesso come aveva sempre fatto «perché il primo giudice nei miei confronti sono io». a allora amerà definirsi un cuoco a-stellato. Un vulcano in perenne eruzione creativa.Nel 2010 Gualtiero Marchesi festeggia i suoi primi ottant’anni. Nasce la Fondazione omonima in cui riunisce, nella cabina di regia del comitato scientifico, storici quali Alberto Capatti e Massimo Montanari, e gli amici di sempre: musicisti, pittori, scultori. L’obiettivo è quello di svolgere un ruolo complementare ad Alma, «formando cuochi che, a loro volta, saranno in grado di insegnare, guidando la brigata di cucina con mano sicura e, soprattutto, con immaginazione». Se dei suoi tre sogni milanesi si era realizzato il primo, un locale vicino alla Scala, a ottant’anni si realizza il secondo, una mostra entro le gallerie del Castello Sforzesco per celebrare i suoi sessant’anni ai fornelli. Sette le sezioni come sette erano le pennellate sulla carta del menù, opera del taiwanese adottato a Milano Hsiao Chin.Gualtiero continua a volare alto, in tutti i sensi. Per festeggiare le sue 84 candeline debutta come paracadutista gettandosi da 4.200 metri saldamente legato a Chiara Tortorella, esperta in materia e figlia del mitico Mago Zurlì, al secolo l’amico Cino Tortorella, uno che in gioventù si lanciava sulle vette come paracadutista alpino. Non c’è storia, Gualtiero Marchesi si nasce, senza fermarsi mai. Nel 2017 è tempo di lasciare il bastone di comando ad altri e si congeda da Magnifico rettore a Colorno con parole dettate con il cuore ai suoi ragazzi: «Ricordatevi sempre che non basta la padronanza della tecnica, occorre anche una sensibilità per le cose belle e la curiosità per il mondo. Vi auguro di conquistare quella per affermarvi attraverso le altre due».Dopo pochi mesi Gualtiero si congederà dal mondo andando a cuocere tra i fornelli del cielo, lasciando un’eredità stellare trasmessa dal ricordo dei suoi piatti oltre che del suo multiforme ingegno espresso in vari modi come abbiamo cercato di riassumere in queste brevi note. Parlare dei suoi piatti richiederebbe una Treccani ricettaria, anche se una sintesi ideale è stata tratteggiata da Ernst Knam, per anni suo pasticcere: «I suoi piatti sono come quadri da appendere alle pareti». Un Bignami culinario riassunto per dolorosa esclusione posto che molti suoi piatti sono stati «pietre miliari nell’educazione emozionale e gastronomica dei gourmet che li hanno potuti conoscere in diretta».Sul podio ci va il riso, oro e zafferano, nato da una intuizione conseguente alla richiesta di un amico fotografo, Renato Marcialis, di valorizzare i colori sul piatto, il giallo nello specifico. La sfida era trovare la foglia d’oro malleabile al punto giusto, modellabile senza decomporsi. Una sera gliele portò Augusto Garau, frutto dell’abile lavoro di uno zio orafo. Il piatto più copiato è il raviolo aperto, con impressa sulla sfoglia una foglia di prezzemolo. Leggenda racconta che il tutto nacque un po’ per caso. Lui e Bice, la leggendaria Beatrice Mungai trattrice in via Borgospesso, si intrattennero un po’ più del dovuto a discutere di magna ars, nel frattempo i ravioli dell’ostessa andarono fuori cottura, sfaldandosi. Gualtiero trovò la chiave di lettura per la sua creatura che a lungo rimuginava in stand by creativo. Ed ecco la sfoglia finissima, in doppio strato ad accogliere la fogliolina predestinata. Il tutto pressato più volte tra i rulli della sfogliatrice così da far allargare la foglia diventando filigrana, come una stampa d’autore.E che dire del dripping di pesce, una sorta di acquerello edibile ispirato alla tecnica rivoluzionaria di Jackson Pollock, laddove il bianco è rappresentato da calamaretti e vongole, il rosso dalla passata di pomodoro, il nero dalla seppia e via degustando di giallo e verde a dimensione calorica? Un piatto essenzialmente da vedere, con uso di palato. Un’antologia infinita, testimonianza di genio applicato ad arte e tecnica ma, soprattutto, una sensibilità senza frontiere, pronta ad attingere alla natura come alle varie forme d’arte per poterla meglio valorizzare, posto che Marchesi considerava la cucina come ideale imbuto di tutte le arti.Negli ultimi anni il Divin Gualtiero si rammaricava di come la cucina italiana non venisse valorizzata come meritava, per storia e tradizioni che l’accompagnavano, facendo il confronto con la più blasonata cucina francese, nominata a suo tempo Patrimonio immateriale dell’umanità secondo l’Unesco. E forse proprio per rendere omaggio alla sua memoria e a questo desiderio che ha portato sempre nel cuore, lo scorso giugno, su iniziativa della direttrice della Cucina italiana, Maddalena Fossati Dondero, è stata avanzata all’Unesco la candidatura della cucina italiana con un evento all’interno della sede della Fondazione Gualtiero Marchesi.
«Murdaugh: Morte in famiglia» (Disney+)
In Murdaugh: Morte in famiglia, Patricia Arquette guida il racconto di una saga reale di potere e tragedia. La serie Disney+ ricostruisce il crollo della famiglia che per generazioni ha dominato la giustizia nel Sud Carolina, fino all’omicidio e al processo mediatico.