
A Helsinki il ministro dell'Economia sposa l'idea dell'omologo tedesco di tassare le transizioni finanziarie a livello europeo. Così, però, il gettito finirà nelle casse di Bruxelles anziché a Roma. È il primo passo verso la rinuncia alla sovranità fiscale.Ieri mattina il ministro dell'Economia italiano, Roberto Gualtieri, è tornato a casa. È volato infatti a Helsinki per rincontrare gli altri colleghi e per abbracciare la patria europeista. Alla sua prima uscita pubblica ha voluto rassicurare il resto dell'Ue che porterà avanti la sua missione: un governo totalmente allineato alle scelte di Bruxelles all'interno di un perimetro europeista. Non a caso ieri ha voluto rilasciare un'ampia intervista a Repubblica per spiegare che la flessibilità, se verrà chiesta, varrà a partire dalla finanziaria 2021. Non certo adesso in autunno. «Via dal deficit gli investimenti verdi, e in tre anni il taglio delle tasse. Per ora l'Iva non salirà. Quota 100 resta lì fino a esaurimento, il reddito di cittadinanza migliorerà». Leggendo il testo non ci sono accenni concreti alle risorse né agli effettivi interventi mirati sulle tax expenditures. Non si capisce quanto deficit verrà fatto in accordo con l'Ue e soprattutto l'unica frase assertiva di Gualtieri riferita alle tasse è il niet alla flat tax. Quella, con i giallorossi, non si farà mai. Poco ma sicuro, figuriamoci. D'altronde il nuovo governo è felpato, avrà un lessico composto, dovrà rispettare tutti i target del politically correct e la tassa piatta è per natura violenta. Taglia in modo lineare i prelievi e rade al suolo tutta l'impalcatura del fisco complicato, che al contrario piace alla sinistra: con la burocrazia si controllano meglio i cittadini. E ci si può concentrare meglio su tutte quelle iniziative che nelle vita quotidiana non contano nulla. In compenso sarà tutto un clima petaloso. «Gli scontri continui con l'Europa, i proclami sui social e le assenze ai tavoli negoziali sono finiti. Si apre una fase nuova in Italia e in Europa e noi intendiamo esserne protagonisti», ha ribadito Gualtieri. «Fino a un mese fa si discuteva di flat tax, minibot e procedura di infrazione. Oggi i temi sono investimenti verdi, lavoro e asili nido». Motivo per cui eri mattina il neo ministro è volato a Helsinki per prendere il bonus europeista. Che permette alla coalizione di sventolare un grande successo: l'Italia entra nel patto del clima. Un modo per spargere la cortina fumogena che consente di nascondere il vero andamento dell'incontro. Ad accogliere Gualtieri è stato per primo il collega francese Bruno Le Maire. Hanno parlato di come tornare a far crescere l'Ue, che tradotto in italiano significa fare crescere l'asse franco tedesco. Poi a fare la festa al ministro piddino ci ha pensato il vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis. Il lettone ha trovato «incoraggiante» il fatto che l'Italia abbia «sottolineato l'intenzione di rispettare le regole del braccio preventivo del Patto di stabilità e crescita». Quanto ai margini che sarà possibile concedere al nostro Paese, «dobbiamo fare valutazioni più approfondite, dipenderà da quale è il ciclo economico che l'Italia sta attraversando». «Stiamo preparando le nostre previsioni economiche d'autunno», ha aggiunto Gualtieri in duetto. Spiegando quanto aveva anticipato nell'intervista a Repubblica.«La messa a punto della manovra 2020 e la richiesta dello scorporo per gli investimenti verdi sono questioni separati che seguiranno una tempistica diversa», ha detto durante l'Ecofin. «Sono due questioni diverse. Una la discussione sulla manovra, l'altro il più grande processo di riforma, approfondimento, completamento dell'Unione economica e monetaria che ha tempi diversi, sono piani diversi». Di fronte a questo vuoto assoluto, c'è da aspettarsi sorprese negative. Tant'è che al termine della riunione l'unico risultato concreto fa tremare i polsi. «Entro ottobre al via la Tobin tax europea», ha fatto sapere Gualtieri dopo aver incontrato il socialdemocratico Olaf Scholz. Si tratta di una tassa sulle transazioni finanziarie che in Italia già esiste ed è stata voluta da Mario Monti senza alcun esito per il semplice fatto che gran parte delle società ha spostato le attività all'estero. Ora però diventerà europea e da quella non si scapperà. Peccato che il gettito non finirà a Roma ma a Bruxelles. Questo è lo scandalo. «Attualmente il bilancio dell'Ue è composto per l'80% dai contributi degli Stati membri», spiegava due anni fa sulle colonne di Italia Oggi Daniele Viotti, membro della commissione per i bilanci Ue. «L'obiettivo è quello di abbassare i contributi statali a un 50% o meno, e contemporaneamente aumentare le risorse proprie di un 50% o più. Quel 50% in più verrà dunque ricavato dalla tassa sulle transazioni finanziarie, dalla carbon tax e dalla tassa sul digitale (web tax). La conseguenza è la diminuzione del potere decisionale degli stati membri, a favore del Parlamento Ue». L'annuncio di Gualtieri è il primo passo verso la rinuncia della sovranità fiscale. E come sempre chi ha i soldi comanda. Sull'immigrazione, sulle infrastrutture e su tutte le decisioni fondamentali. A noi resterà la consolazione del Green new deal. Grande consolazione.
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