
E la Corte dei conti rincara: «Nel 2020 quadro poco confortante anche per l'epidemia».«Tutti i nostri indicatori ci danno per gennaio una situazione di ripresa. A gennaio la produzione industriale e il Pil dovrebbero salire, siamo fiduciosi che l'economia possa ripartire». Il ministro del Tesoro, Roberto Gualtieri, ha dato così ieri il buongiorno all'Italia dal salotto televisivo di Omnibus. Con una ventata di grande ottimismo e fiducia su quello che sarà - parafrasando il suo capo, Giuseppe Conte - un altro anno bellissimo. Nemmeno il tempo di arrivare all'ora di pranzo ed ecco che sulla testa dell'inguaribile ottimista è arrivata la doccia fredda da Bruxelles: la Commissione europea ha, infatti, rivisto al ribasso allo 0,3% nel 2020 e allo 0,6% nel 2021 le previsioni di crescita dell'Italia che finisce così fanalino di coda nell'Eurozona. «La fiducia nell'industria è migliorata a gennaio, ma non suggerisce ancora un rimbalzo imminente nella produzione industriale», scrive Bruxelles. Quest'anno e il prossimo il Pil del nostro Paese sarà dunque l'unico a crescere dello zero virgola, mantenendosi abbondantemente sotto l'1%. La Germania e la Francia sono le penultime in classifica, però con aumenti per entrambe pari quest'anno all'1,1%. Il tasso di crescita più alto è previsto per Malta a +4% nel 2020, seguita dall'Irlanda a +3,6%, mentre la Grecia dovrebbe crescere del 2,4% e la Spagna dell'1,6%. Prima che calasse la scure della Commissione europea, erano arrivate altre due smentite all'ottimista Gualtieri: nella sua nota congiunturale Confcommercio ipotizza, infatti, a febbraio una variazione del Pil mensile del -0,1%, dato che porterebbe a una decrescita di -0,6% rispetto allo stesso mese del 2018. Non solo. La paventata recessione (tecnica) dell'economia italiana potrebbe essere certificata già nel primo quarto dell'anno in corso: il Pil mensile indica, infatti, in -0,4% e -0,6% le variazioni tendenziali di gennaio e febbraio, rispettivamente. Nelle stesse ore a delineare uno scenario dalle tinte più fosche è stato il presidente della Corte dei conti Angelo Buscema che chiede una maggiore spinta agli investimenti pubblici e soprattutto invoca la prevenzione del rischio di deviazioni del debito per gli effetti del coronavirus. Tutto questo grande ottimismo di Gualtieri non sembra stare quindi in piedi. Né sembrano così intensi i rapporti con l'amico Paolo Gentiloni, ora commissario Ue per gli Affari economici, considerando lo scarso tempismo con cui ieri mattina presto il ministro ha fatto certe dichiarazioni. Tanto più che sempre a Omnibus lo stesso Gualtieri non ha escluso qualche ritocco alle tasse. «Piccole rimodulazioni» sull'Iva, ha detto a Omnibus parlando della riforma fiscale, il cui perno - ha spiegato - è la revisione dell'Irpef. Precisando, però, subito dopo: «Quanto la ridurremo, e le aree dei beneficiari, è prematuro dirlo, dipenderà anche dal quadro economico». Appunto.Che l'entusiasmo sia prematuro lo dimostra, inoltre, la risposta a Bruxelles filtrata da «fonti» del Mef alle agenzie di stampa nel pomeriggio. «Pur essendo innegabile che i dati sul quarto trimestre dello scorso anno siano stati nel complesso deludenti, è ancora presto per valutare l'impatto dei recenti dati macroeconomici sulla crescita del Pil nel 2020», hanno detto dal Tesoro. Sottolineando comunque che «per una valutazione più equilibrata è opportuno attendere quantomeno i dati sull'attività dei servizi nel quarto trimestre e sulla produzione industriale di gennaio». Tradotto: meglio tenere le bocche cucite a microfoni accesi e aspettare le previsioni aggiornate sulla crescita del Pil che verranno comunicate con la pubblicazione del Def a inizio aprile. L'unica, magra, consolazione per l'ottimista Gualtieri è arrivata dall'agenzia americana Moody's che con l'Italia dimostra clemenza lasciando l'outlook stabile sul rating definendolo «appropriato» in quanto sintetizza bene i punti di forza e debolezza del nostro Paese. Moody's non vede ragioni per tagliare «adesso» le stime di crescita del Pil dell'Italia nel 2020, attualmente fissate a +0,5%, ha spiegato il senior vice presidente dell'agenzia Kathrin Muehlbronner, ieri a Milano.
Il neo sindaco di New York Zohran Mamdani (Ansa)
Il sindaco di New York non è un paladino dei poveri e porta idee che allontanano sempre più i colletti blu. E spaccano l’Asinello.
La vulgata giornalistica italiana sta ripetendo che, oltre a essere uno «schiaffo» a Donald Trump, la vittoria di Zohran Mamdani a New York rappresenterebbe una buona notizia per i diritti sociali. Ieri, Avvenire ha, per esempio, parlato in prima pagina di una «svolta sociale», per poi sottolineare le proposte programmatiche del vincitore: dagli autobus gratuiti al congelamento degli affitti. In un editoriale, la stessa testata ha preconizzato un «laboratorio politico interessante», sempre enfatizzando la questione sociale che Mamdani incarnerebbe.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 7 novembre con Carlo Cambi
Il luogo dell'accoltellamento a Milano. Nel riquadro, Vincenzo Lanni (Ansa)
Nei principali Paesi europei, per essere riconosciuto «pericoloso» basta la segnalazione di un medico. Qui invece devi prima commettere un delitto. E pure in questo caso non è detto che una struttura ti accolga.
Vincenzo Lanni, l’accoltellatore di Milano, aveva già colpito. Da condannato era stato messo alla Rems, la residenza per le misure di sicurezza, poi si era sottoposto a un percorso in comunità. Nella comunità però avevano giudicato che era violento, pericoloso. E lo avevano allontanato. Ma allontanato dove? Forse che qualcuno si è preso cura di Lanni, una volta saputo che l’uomo era in uno stato di abbandono, libero e evidentemente pericoloso (perché se era pericoloso in un contesto protetto e familiare come quello della comunità, tanto più lo sarebbe stato una volta lasciato libero e senza un riparo)?
Ansa
Dimenticata la «sensibilità istituzionale» che mise al riparo l’Expo dalle inchieste: ora non c’è Renzi ma Meloni e il gip vuole mettere sotto accusa Milano-Cortina. Mentre i colleghi danno l’assalto finale al progetto Albania.
Non siamo più nel 2015, quando Matteo Renzi poteva ringraziare la Procura di Milano per «aver gestito la vicenda dell’Expo con sensibilità istituzionale», ovvero per aver evitato che le indagini sull’esposizione lombarda creassero problemi o ritardi alla manifestazione. All’epoca, con una mossa a sorpresa dall’effetto immediato, in Procura fu creata l’Area omogenea Expo 2015, un’avocazione che tagliò fuori tutti i pm, riservando al titolare dell’ufficio ogni decisione in materia.






