2020-03-31
Gualtieri è lo scherano di Bruxelles. Perciò non preme la leva del deficit
Roberto Gualtieri (Cosimo Martemucci, SOPA Images, LightRocket via Getty Images)
Il titolare del Mef tarda a varare misure economiche coraggiose per cieca fedeltà ai parametri di bilancio cari ai suoi danti causa europei. Tifoso di Mes e Trojka, ha fatto resistenza pure agli spiccioli concessi ai Comuni.A Roma, anche in sedi non sospettabili di ostilità verso il governo, circolano due domande: perché Roberto Gualtieri non agisce? E cosa pensa davvero il titolare del Mef? Conversando con La Verità dietro una comprensibile richiesta di anonimato, un esponente Pd arriva a paragonare il ministro dell'Economia al Romano Prodi oggetto per il suo immobilismo della celebre caricatura televisiva di Corrado Guzzanti: «Sono come un semaforo, sempre fermo…».Inutile girarci intorno. Tutto nasce dal fatto che Gualtieri, da anni, pensa come gli eurocrati: i suoi rapporti con Frans Timmermans e Pierre Moscovici, l'endorsement (addirittura anticipato rispetto alla nomina) di Christine Lagarde, oltre ai suoi anni di presidenza della Commissione parlamentare per i problemi economici e monetari, ne fanno un naturale esecutore dei desideri di Bruxelles. Perfino sabato sera, dopo essersi concesso intorno alle 20 il raro lusso di una critica a Ursula von der Leyen (definendo «sbagliate» le sue dichiarazioni), Gualtieri già alle 23.10 riparava, precipitandosi su Twitter a «prendere atto» del tenuissimo chiarimento della presidente della Commissione. In questo, la sua formazione comunista lo porta a «sostituire» all'antica mamma Urss la nuova mamma Ue. Ma l'approccio storicista è lo stesso: la storia ha quella direzione, se ti opponi sei un reazionario. Di più: Gualtieri applica all'Ue le stesse difese logico-dialettiche che i vecchi comunisti adottavano per fronteggiare le critiche sul fallimento sovietico: l'idea comunista era giusta - dicevano -, purtroppo ne fu sbagliata l'implementazione. Per Gualtieri vale lo stesso con l'Ue: non ha funzionato bene? Datecene di più e andrà meglio. E non sembra sorgergli il dubbio che in entrambe le idee potesse esserci qualcosa di radicalmente errato, a partire dalla pretesa di accentramento e omologazione. Del resto, in rete circola da tempo un vecchio video. Siamo in pieno Europarlamento, e Gualtieri, con toni lirici, difende il Mes, il fondo Salvastati: «È stato costruito per salvaguardare la stabilità della zona euro, prende risorse a interessi bassissimi (…) Nessun cittadino europeo dovrà pagare un euro…». È passato tanto tempo e il contesto è radicalmente cambiato, ma la soluzione a cui Gualtieri puntava per l'Italia dopo l'emergenza coronavirus era e resta quella, dietro il paravento (fallace, come La Verità ha spiegato tante volte) delle «condizionalità leggere», destinate poi inevitabilmente ad appesantirsi. Gualtieri si era affezionato a questo schema: accettare il pilota automatico della Troika, e proporsene come diligente gestore a Roma. Lo stop (momentaneo? definitivo? Nessuno riesce a comprenderlo) di Giuseppe Conte al ricorso al Mes ha scombussolato i piani del titolare dell'Economia, che non a caso ha vissuto giorni di notevolissima tensione con il premier. Ma la realtà è che Gualtieri non decide. Il decreto di aprile non c'è ancora, e qua e là escono solo anticipazioni contraddittorie. Non si capisce come e quando i dipendenti otterranno davvero la cassa integrazione, dopo la domanda. Non si capisce come e quando gli autonomi otterranno davvero le (misere) risorse previste per loro. I rinvii fiscali sono palesemente striminziti e inadeguati. E le modalità da beffa del rinvio del 16 marzo (in extremis, quando gli ordini di pagamento a favore dell'Agenzia delle entrate erano già stati autorizzati da tanti contribuenti, senza efficace possibilità di revoca) danno la misura dell'approccio di Gualtieri: temporeggiare, e scaricare i rischi su famiglie e imprese. Qualcuno sussurra: il titolare dell'Economia teme una prospettiva di sostanziale mancanza di risorse, per non dire di default, tipo quella incautamente fatta trapelare (e poi smentita) dal presidente dell'Inps Pasquale Tridico. Possibile, ma la spiegazione principale resta quella di prima: Gualtieri intende solo compiere atti «bollinati» dall'Ue. La stessa elemosina ai Comuni viene letta così: il Mef non intende dare a Bruxelles l'idea di impegni gravosi assunti direttamente dallo Stato. Per essere ancora più chiari: tutte le mosse per ora autorizzate da Gualtieri (dalla Cig ai buoni spesa) hanno una caratteristica: ritardare, posticipare il più possibile il momento del vero pagamento, della vera spesa. Perché? Perché il titolare del Mef non vuole a nessun costo svelare ai suoi danti causa politici di Bruxelles ciò che tutti sanno: una prevedibile impennata del rapporto deficit/Pil. Il problema è che dall'Ue potrebbe anche non venire alcun fatto nuovo. E infatti - nel dubbio - ognuno sta facendo da sé in giro per l'Europa. E non è un caso se (economie forti e deboli, a debito basso o a debito alto, dalla Germania alla Spagna) tutti abbiano già messo in campo mega piani molto impegnativi. Tutti tranne l'Italia, che risulta paralizzata. Da questo punto di vista, semplicemente prendendo atto di ciò che è stato già deciso dalla Commissione Ue (sospensione del Patto di stabilità) e dalla Bce (acquisti illimitati di titoli degli stati membri), la strada per un ministro dell'Economia coraggioso sarebbe già tracciata: assumere decisioni di spesa ingentissime, emettere titoli, e scommettere sul fatto che la Bce li acquisti, a maggior ragione essendo stati cassati i vincoli alle acquisizioni di titoli da parte di Francoforte. La scommessa starebbe qui: andare a «vedere» i comportamenti reali di Christine Lagarde, anche come leva negoziale rispetto all'ultimo round di trattative. Ma Gualtieri, per ora, continua a essere indeciso a tutto.
Elly Schlein con Eugenio Giani (Ansa)
(Ansa)
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(Totaleu)
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