2020-04-10
Gualtieri cala le braghe. L’Eurogruppo nella notte prepara la fregatura già decisa dalla Merkel
La riunione slitta più volte, ma il ministro italiano ha già smontato il castello di balle: «Il Salvastati? Era nel nostro piano originario». Manca solo la doratura della pillola.L'Eurogruppo consegnerà ai leader europei il solito compromesso al ribasso, caratteristica dominante quando la posta in gioco nei vertici europei è alta? Oppure saranno i leader europei nel prossimo Consiglio, prevedibilmente settimana prossima, a dipanare i nodi più intricati rimasti sul tavolo?Il videomessaggio, pubblicato dal presidente Mario Centeno poco prima dell'inizio della videoconferenza, posticipata di ora in ora e non iniziata mentre andiamo in stampa, lasciava trapelare un cauto ottimismo. Centeno ha richiamato la necessità di «un piano audace ed ambizioso». Ha aggiunto che «siamo molto vicini ad un accordo. Credo che questo sarà il momento in cui tutti saremo all'altezza della sfida, e mostreremo il necessario spirito di compromesso».A metà giornata era scesa in campo Angela Merkel a dettare la linea. In una conferenze telefonica con i membri del suo partito, era stata categorica: «Non c'è consenso politico sugli eurobond, ma ci sono così tanti strumenti di solidarietà che si possono trovare delle buone soluzioni». Poco prima dell'inizio della riunione la Reuters riferiva che il ministro tedesco Olaf Scholz riteneva possibile un accordo, aggiungendo che i Paesi Bassi avevano ammorbidito la loro posizione. In effetti, il premier olandese Mark Rutte pur ribadendo le posizioni sulle condizioni del Mes e sugli eurobond, riteneva possibile un accordo in serata. La posizione del nostro Paese? Totalmente appiattita sulla linea di accettare il certo (Mes) per l'incerto o impossibile (Erf, fondo europeo per la ripresa).Sin dall'inizio di marzo sono in corso trattative sottotraccia per rendere disponibile il Mes come strumento principe per contrastare la crisi da Covid-19. I nostri funzionari hanno trattato per giorni le condizioni di applicazione di tale strumento, evidentemente dietro lo specifico mandato del ministro Roberto Gualtieri. Quando però si è rivelata la manifesta insostenibilità politica del Mes, con M5s che prometteva battaglia, abbiamo assistito ad un pronto riallineamento delle posizioni del ministro e del presidente Giuseppe Conte che si sono immediatamente intestati la linea del Mes senza condizioni, presentandola al Consiglio del 26 marzo e all'Eurogruppo cominciato martedì.Ma la fumata bianca o grigia che si attendeva per la tarda serata di ieri non riesce a dissipare nessuna delle perplessità che da tempo avanziamo sia sul Mes che sull'Erf.L'intervista di Gualtieri sul Sole 24 Ore di ieri aumento solo i dubbi. Affermando che «Il piano originario che era stato presentato all'Eurogruppo» era imperniato sul Mes e «prevedeva condizionalità sia pur limitate», poiché ci risulta che i piani non atterrino da Marte, conferma che qualcuno dei nostri a quel piano aveva lavorato, e certamente su suo mandato. Gualtieri accusa sé stesso di aver presentato qualcosa di inaccettabile. Quello che per Gualtieri è oggi accettabile sono «linee di credito senza condizionalità economiche estranee al contrasto al coronavirus, invece che quelle attualmente disponibili, che al contrario prevedono condizionalità. Ma su questo non c'è ancora consenso […] Noi siamo stati molto fermi nella nostra posizione». Quando aggiunge che «non è nei piani dell'Italia fare ricorso al Mes, il cui utilizzo è facoltativo» e poi specifica che è necessaria «una modifica dei suoi strumenti per consentire di accedervi senza dover sottostare alle condizionalità previste dai suoi meccanismi attuali, che altrimenti resterebbero gli unici disponibili» ammette candidamente che l'accesso senza condizioni richiede la modifica del Mes stesso. Ed a nulla rileva che l'Italia, oggi, non ne faccia ricorso. Rileva invece che il Mes che è già sul tavolo dell'Eurogruppo è quello del Trattato del 2012, dominato dal principio delle condizionalità rigorose. Un altro Mes richiederebbe la modifica del Trattato istitutivo. Quando qualche Paese farà richiesta di quei fondi, o il Mes cambia il suo statuto e il suo Trattato, oppure le regole sono quelle, peraltro anche modificabili ex post. Insomma, la trappola di cui vi raccontiamo da tempo, da cui stare lontani. Una forca caudina da cui è necessario, ma non sufficiente, passare per ottenere gli acquisti illimitati (Omt) dei titoli pubblici da parte della Bce. Ma ancor più preoccupante è notare che Gualtieri sdogana uno strumento concepito per Stati alla canna del gas, «nel quadro di un pacchetto» che contiene solo aria fritta. La mutualizzazione del debito derivante dai costi per fronteggiare questa crisi è inaccettabile da molti Stati, che ci hanno già risposto che essa esiste già e sono i circa 800 miliardi di obbligazioni emesse da Bei, Mes (inclusi i predecessori Efsf, Efsm) che sono concepiti per prestare e non per dare contributi a fondo perduto. Ripetiamo ancora una volta che questo ruolo è già svolto dal bilancio Ue, che però si guarda bene dall'emettere obbligazioni ed è solo capace, tra infiniti litigi, di distribuire la modesta cifra di 140 miliardi annui raccolta tra gli Stati membri. Infine, gli Eurobond vanno rimborsati con entrate proprie dell'Unione, un tema tossico per tutti.Mentre va in scena questo indecoroso balletto, Bankitalia ci fa sapere che il saldo Target2 (passività verso la Bce) a marzo è salito di 107 miliardi, attestandosi a 491 miliardi a fine marzo. Un incremento mensile senza precedenti. Un mix esplosivo di banche straniere che ritirano depositi e vendono titoli di Stato e residenti che comprano attività finanziarie estere.Conte e Gualtieri hanno eretto la loro linea Maginot su un terreno inconsistente e nessun sofisma nel comunicato finale dell'Eurogruppo riuscirà a consolidarlo.
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)