- Da anni «La Verità» monitora le imprese dell’ex capo delle Dogane: dai 21 milioni per le uniformi, alle consulenze per la sua chirurga estetica, fino all’inchiesta per i Dpi. E torna il sospetto che il manager volesse controllare le indagini sul suo conto.
- Gli amministratori risarciscono l’erario solo per condotte dolose. Giorgia Meloni intervenga.
- Il nostro articolo dell'11 gennaio 2023: Minenna «sfrattato» da sede e poltrona.
Da anni «La Verità» monitora le imprese dell’ex capo delle Dogane: dai 21 milioni per le uniformi, alle consulenze per la sua chirurga estetica, fino all’inchiesta per i Dpi. E torna il sospetto che il manager volesse controllare le indagini sul suo conto.Gli amministratori risarciscono l’erario solo per condotte dolose. Giorgia Meloni intervenga.Il nostro articolo dell'11 gennaio 2023: Minenna «sfrattato» da sede e poltrona.Lo speciale contiene due articoli.Dalle nuove divise che facevano sembrare il personale dell’agenzia della Dogane e dei monopoli poliziotti di una serie tv americana, all’arresto per presunta corruzione per le mascherine prive di certificazione, importate dall’ex parlamentare leghista Gianluca Pini. Si potrebbe sintetizzare così la parabola del controverso mandato di Marcello Minenna come direttore generale dell’agenzia governativa. Un mandato che La Verità ha sempre raccontato senza fare sconti. A partire proprio dalle divise, una maxicommessa da 21,1 milioni di euro, fortemente volute proprio da Minenna. Il varo del nuovo look dei dipendenti dell’Agenzia, annunciato nel 2020 a pochi mesi dalla nomina di Minenna alle Dogane, aveva suscitato un vespaio di polemiche, a seguito dell’idea, poi rientrata, di apporre sulle spalline dei funzionari dell’Adm gradi diversi in base al loro livello di inquadramento. Scampato il rischio che lo stipendio dei dipendenti fosse individuabile dalle mostrine, erano rimaste le polemiche sindacali, con la Uil che si era spinta a parlare di «militarizzazione» delle dogane. Uno stretto collaboratore di Minenna aveva difeso così la scelta: «In America avete visto come sono vestiti in dogana? Sembrano Rambo, mancano solo le bombe a mano. Noi abbiamo la divisa: è il minimo sindacale!». Consultando il capitolato tecnico, il nuovo vestiario operativo per gli oltre 12.000 dipendenti di Adm, appariva degno di una serie tv di Netflix. Sedicimila giacche a vento unisex (da verranno fornire in un arco di 5 anni), stesso numero anche per giubbotti operativi, felpe, maglioni, pantaloni e stivaletti estivi e invernali. Per le polo e le t shirt l’acquisto previsto era di 40.000 pezzi. Non mancavano tre tipi di copricapo: zuccotto di lana, berretto con visiera «tipo baseball» e perfino il basco con tanto di stemma della repubblica italiana, tutti acquistati in 16.000 unità. A una cerimonia al ministero della Transizione ecologica era anche apparsa (ripresa nel video pubblicato sul profilo Facebook di Adm) una Bmw Serie 5 di un vistoso colore azzurro con le portiere bianche, con tanto di lampeggianti blu sul tetto e scritta Adm sulle fiancate. Anche questa ispirata alla auto della polizia americana. Un altro pallino dell’ex dg era l’immagine pubblica di Adm. Tanto da spingersi, nel 2022, a sottoscrivere un contratto biennale riguardante «le attività professionali di comunicazione istituzionale, quindi la gestione delle relazioni con i media nazionali e internazionali». L’importo complessivo dell’appalto previsto dal bando era di 2,7 milioni di euro, di cui 1,8 per i primi 24 mesi e 900.000 per un rinnovo di altri 12 mesi. Ad aggiudicarsi il contratto era stata un’ati tra Ey (ex Ernst & Young) e Comin & Partners, che avevano presentato un’offerta da 1,47 milioni di euro per i primi due anni. L’obiettivo previsto era di «rendere più diretto, semplice e immediato il rapporto con i cittadini, con le altre istituzioni pubbliche, nonché con i territori di riferimento e le comunità, rafforzare il confronto con gli stakeholder». In quei mesi Minenna aveva subito l’attacco di senatori del M5s, che insieme ad alcuni fuoriusciti dal Movimento, attraverso una mozione, avevano chiesto al governo di Mario Draghi e al ministro dell’Economia Daniele Franco, di «esercitare il potere di alta vigilanza e controllo sull’Agenzia delle dogane e dei monopoli, al fine di ripristinare una situazione di legalità e corretta gestione amministrativa della predetta Agenzia». «Nel corso della trasmissione giornalistica Piazzapulita» del «25 novembre 2021», si leggeva nell’atto parlamentare, era stato trasmesso un servizio che avrebbe evidenziato «la mala gestio» di «Minenna, contraddistinta da spreco ingiustificabile di risorse pubbliche, assegnazione di incarichi ad amici». Nella mozione viene citato l’episodio di «Anna Maria Forenza […] legata da un contratto di consulenza con l’agenzia delle Dogane e dei monopoli dal marzo 2020, con una retribuzione di 7.000 euro mensili». A quanto pare Forenza «aveva ottenuto l’incarico di medico responsabile della task force medica Covid-19 […] in virtù proprio del rapporto di conoscenza personale col Minenna e in quanto medico che si occupa degli interventi estetici ed anti aging usufruiti dallo stesso». A febbraio di quest’anno, a poche ore dalla sua sostituzione ai vertici di Adm, erano venute a galla anche parole pronunciate da Minenna in una riunione interna: «Le segnalazioni vanno prontamente riportate alla direzione generale […] siano esse richieste dell’autorità giudiziaria o della Polizia giudiziaria relativamente a forme di collaborazione di qualsiasi natura, che non siano secretate in qualche modo». Per esercitare il controllo sui rapporti del personale dell’Agenzia con l’autorità giudiziaria erano state anche emesse, dure direttive interne, la Liua rag e la Liua rag d, che avevano contribuito al gossip interno all’agenzia sul fatto che Minenna da un lato volesse esercitare un controllo su eventuali indagini in corso sul suo operato e dall’altro di fatto trasformare Adm in una ulteriore forza di polizia. Entrambe ipotesi che l’ex dg aveva sempre smentito, ma adesso la prima riemerge proprio dagli atti dell’inchiesta sulle mascherine della Procura di Forlì che lo ha fatto finire ai domiciliari.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/guai-minenna-divise-mascherine-2661790648.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="con-lo-scudo-di-conte-e-draghi-chi-danneggia-lo-stato-non-paga" data-post-id="2661790648" data-published-at="1687605523" data-use-pagination="False"> Con lo scudo di Conte (e Draghi) chi danneggia lo Stato non paga Non passa giorno, e ancora ieri, che i giornali non denuncino scandalosi sprechi di denaro pubblico, acquisti di beni e servizi non necessari od a prezzi maggiorati, opere pubbliche realizzate non a regola d’arte che richiedono interventi di manutenzione straordinaria poco dopo l’entrata in esercizio, danneggiamento di beni pubblici, in particolare appartenenti al patrimonio storico-artistico. Fra i casi più clamorosi denunciati anche dalla Verità, l’acquisto di mascherine a prezzi eccessivi e dei famosi banchi con le rotelle finiti il più delle volte in qualche scantinato. È notizia di questi giorni che la magistratura ha chiuso le indagini, adottando ordini di carcerazione a carico di importanti amministratori pubblici. L’inchiesta è penale, ma per effetto dello spreco di denaro pubblico conseguenza delle condotte illecite, l’azione risarcitoria dovrebbe essere di pertinenza del giudice della responsabilità per danno, come chiede il cittadino che vorrebbe che i responsabili fossero chiamati a risarcirlo. Altrimenti oltre al danno si avrebbe la beffa. Una simile condotta sarebbe stata, infatti, sanzionata dalla Corte dei conti, il giudice al quale la Costituzione, all’articolo 103, comma 2, attribuisce la giurisdizione «nelle materie di contabilità pubblica», cioè per i danni pubblici, cosiddetti «erariali», perché gravano sui bilanci dello Stato e degli enti pubblici che sono alimentati dalle imposte che pagano i cittadini, quando provocati da pubblici amministratori e funzionari. Questo fino al 16 luglio 2020, perché in quella data il governo di Giuseppe Conte ha introdotto una norma, formalmente temporanea, contenuta nel decreto legge n. 76, la quale ha stabilito che quei danni non devono essere risarciti. La stampa lo ha battezzato «scudo erariale». Infatti, l’articolo 21 (Responsabilità erariale), prevede una nuova disciplina della responsabilità risarcitoria limitandola sostanzialmente al «dolo», con la precisazione, al comma 1, che «La prova del dolo richiede la dimostrazione della volontà dell’evento dannoso». Lo vedete il pubblico amministratore e funzionario che «vuole» causare un danno? E, al comma 2, specifica che «Limitatamente ai fatti commessi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 31 luglio 2021 (poi prorogato), la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica per l’azione di responsabilità di cui all’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è limitata ai casi in cui la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente è da lui dolosamente voluta. La limitazione di responsabilità prevista dal primo periodo non si applica per i danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente». Tradotto, non si perseguono i fatti compiuti con «colpa grave», cioè con grave negligenza, o imperizia o imprudenza ovvero con inosservanza di leggi o regolamenti. I romani la chiamavano culpa lata e con la loro consueta chiarezza precisavano che est nimia neglegentia, id est non intelligere quod omnes intelligunt (Ulpiano, D. 13, 1, 8, 1), non capire ciò che tutti capiscono, tanto che Paolo (D. 50. 16, 226) aggiungeva: «Magna culpa dolus est». Si tratta, infatti, di condotte gravissime, equiparabili al dolo. Chi le pone in essere, senza mezzi termini, è un incapace o un disonesto. Sono questi pubblici amministratori o funzionari che il prof avv Giuseppe Conte, ordinario di diritto civile, ha graziato, mandandoli esenti da ogni responsabilità. La norma è stata prorogata da Mario Draghi. Che farà Giorgia Meloni, nell’imminenza della scadenza? Non basta dire che la proroga riguarda decisioni dei precedenti governi. Né la scusa del «timore della firma» può giustificare tale norma che favorisce condotte quanto meno gravemente imprudenti. Qualcuno ha sostenuto che occorrerebbe tipizzare le condotte gravemente colpose ad evitare incertezze giurisprudenziali. Si può fare in poche ore mettendo intorno ad un tavolo qualcuno che sappia di diritto. E non ne mancano, ovviamente. Perpetuare la norma è assolutamente scandaloso.
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