
Il Consiglio di Stato: viziata la scelta del capo dei pm della Capitale per l'ingiustificata esclusione di Marcello Viola. Rigettati i ricorsi di Michele Prestipino e dello stesso Csm, che ora rischia la paralisi: si voterà di nuovo l'incarico.Mentre la magistratura affonda bombardata dalle dichiarazioni dell'avvocato-faccendiere Piero Amara, il colpo di grazia alla credibilità delle toghe arriva dal suo organo di autogoverno, il Consiglio superiore della magistratura. Ieri il Consiglio di Stato ha bocciato senza appello i ricorsi del procuratore di Roma Michele Prestipino e del Csm che avevano impugnato la decisione del Tar di rimettere in corsa per la poltrona di procuratore della Capitale Marcello Viola, procuratore generale di Firenze. Domani, sempre il Consiglio di Stato, dovrà esprimersi anche sui ricorsi (pure in questo caso di Prestipino e del Csm) contro Franco Lo Voi, al pari di Viola tornato in gara grazie al Tar per il posto di capo degli inquirenti di Piazzale Clodio.Dalla notte dell'hotel Champagne (quando Luca Palamara e alcuni consiglieri del Csm vennero intercettati mentre discutevano della nomina del procuratore di Roma) i membri del parlamentino dei giudici non ne hanno azzeccata una e adesso le due più importanti Procure italiane si trovano nelle sabbie mobili dell'incertezza. A Milano le faide interne hanno portato alla diffusione dei verbali segretati di Amara con modalità imbarazzanti: il pm Paolo Storari avrebbe dichiarato che a convincerlo a diffonderli, nell'aprile del 2020, sarebbe stato niente meno che l'allora consigliere del Csm Piercamillo Davigo, a quel tempo considerato un sacerdote della legalità.Davigo, appena un mese prima, aveva rotto con due consiglieri della sua stessa corrente per la scelta del procuratore di Roma.Una decisione che trova i suoi prodromi nella riunione carbonara dello Champagne quando i presunti congiurati, poi passati (simbolicamente) per le armi uno a uno, si incontravano nottetempo per sponsorizzare Viola, inviso alle toghe progressiste perché considerato di «destra» e troppo vicino a Cosimo Ferri, ex leader della corrente conservatrice di Magistratura indipendente e in quel momento parlamentare renziano.Ma dopo che il pg di Firenze aveva incassato quattro voti in commissione (propedeutici alla sua investitura), tra cui quello di Davigo, era stato spazzato via dalla pubblicazione delle conversazioni dello Champagne.A quel punto i consiglieri del Csm superstiti (sei sono stati costretti alle dimissioni nell'immediatezza dei fatti, mentre un altro ha lasciato qualche mese dopo), guidati dal cartello progressista di Area, uscito indenne dalla bufera come il Pds durante Tangentopoli, sono riusciti a ribaltare i rapporti di forza all'interno di Palazzo dei marescialli, dopo che la maggioranza era scivolata a destra.Prima hanno nominato uno dei loro a capo della fondamentale Procura generale della Cassazione, l'ufficio che indaga sui giudici, quindi hanno cancellato Viola dalla lista dei papabili per Roma, senza spiegazioni e hanno candidato al suo posto il pur validissimo Prestipino, che, però, non era entrato nella terzina dei candidati prescelti nel maggio 2019.Tutto questo sotto l'egida del presidente Sergio Mattarella e del vicepresidente David Ermini, eletto grazie all'accordo tra Palamara, all'epoca leader della corrente centrista di Unicost, e i parlamentari renziani Luca Lotti e Ferri, capaci di conquistare alla causa i suffragi delle toghe moderate.Ma Ermini ha presto disertato e abbandonato al suo destino i suoi grandi elettori, accettando di tenere insieme i cocci del Csm eletto nel luglio del 2018, una sorta di armata Brancaleone, con ben tre laici 5 stelle e due della Lega, il cui unico collante è parso essere la gestione del potere e degli incarichi.Questo consiglio ridotto a pezzi si è trovato a dover decidere il nome del nuovo procuratore di Roma.E a sorpresa ha bocciato tutti e tre i candidati del maggio 2019, compreso il nemico numero uno dei renziani, Giuseppe Creazzo, il procuratore di Firenze che ha firmato la richiesta di arresto per i genitori dell'ex premier di Rignano sull'Arno. Anche il procuratore di Palermo Lo Voi, considerato appena due anni fa il degno erede di Giuseppe Pignatone, ha perso appeal alla corte delle toghe di sinistra, che pure lo avevano inizialmente sostenuto. Il Csm azzoppato, capitanato da Giuseppe Cascini, capogruppo di Area in Consiglio, ha puntato su una risorsa interna alla Procura, il facente funzioni Prestipino, considerato il più adatto a garantire la continuità nella governance dell'ufficio. Ma le nomine in magistratura devono osservare precise regole e indicatori che, secondo il Consiglio di Stato, in questo caso non sarebbero stati rispettati.Infatti, tagliando fuori dalla gara Viola, il Csm non avrebbe chiarito «le concrete, oggettive, esternate e giustificate ragioni tecnico-professionali sopravvenute» alla base dell'eliminazione del pg.Si legge nella sentenza del Consiglio di Stato: «Il nome del dottor Viola, non più riproposto all'esito della riunione del 14 gennaio 2020, era proprio quello del candidato che aveva ottenuto pochi mesi prima, in seno alla commissione, il maggior numero di voti favorevoli in ragione del particolare curriculum professionale: e dunque era stato indicato come primo tra i designati. Le necessarie ragioni di disparere e disvolere però non sono state esternate, come risulta per tabulas dal verbale […]. Il che è vizio che vizia l'ulteriore prosieguo del procedimento, ivi compreso il provvedimento finale», cioè la nomina di Prestipino. Il quale, nella seconda tornata, era stato preferito sulla scorta di diversi indicatori, a partire dal fatto di aver già lavorato come aggiunto a Roma con egregi risultati (come del resto a Palermo e Reggio Calabria). Ma per i giudici del Consiglio di Stato la commissione che ha bocciato Viola è partita dall'assunto errato che funzioni direttive (quelle ricoperte da Viola a Trapani e Firenze) e semidirettive (il ruolo di aggiunto) «siano sostanzialmente equiparabili», visto che solo il procuratore «è titolare esclusivo dell'azione penale».Adesso la quinta commissione dovrà istruire nuovamente la pratica, tenendo conto delle sentenze e delle vecchie candidature. Alla fine il Csm potrebbe rivendicare la propria autonomia e riproporre il nome di Prestipino, risultando, però, «inottemperante» rispetto alle decisioni della giustizia amministrativa. Una possibilità piuttosto irrealistica per un Consiglio debole che già per designare Prestipino si era spaccato (14 voti contro 8 nel ballottaggio) e che si era diviso anche per l'impugnativa della decisione del Tar.
Mattia Furlani (Ansa)
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