
Le molestie sono una tragedia, ma non una novità. Oggi, dopo le bordate dell'ex nunzio, a inquietare i cattolici è l'idea che esista un club omo in grado di manipolare il Vaticano.Quanto pesa la lobby gay nella Chiesa? Quanto ha influito sulla vita del cattolicesimo? Quanto vorrebbe ancora influire? Che mezzi ha usato? Che relazioni ha intessuto? A che cosa mira? Che cosa c'è scritto nel rapporto che Benedetto XVI ha consegnato a Francesco? Perché non viene rivelato? E quanto sono state determinanti queste vicende nei recenti e non sempre limpidi passaggi degli ultimi anni in Vaticano? Che cosa si nasconde davvero sotto quel Cupolone cui milioni di fedeli guardano con fede, speranza e ora anche un po' di angoscia? Quali verità inconfessabili hanno infestato la vita della Curia e dei suoi pastori? Come li hanno condizionati? E con quali conseguenze per i fedeli? Credo che siano queste le domande che travolgono in questi giorni il cuore di tanti cattolici semplici. E credo che sia a questo che papa Francesco e i vertici della Chiesa dovrebbero rispondere con trasparenza e sincerità. Scusatemi se ho usato toni un po' brutali. Io non sono un vaticanista, non sono un teologo, non m'interessano gli intrighi delle corti cardinalizie e le reciproche cordate. Mi hanno insegnato da bambino al catechismo, che la Chiesa parlava con la voce di Gesù, quella per cui «sia il vostro parlare sì, sì; no, no». Ed è quella la voce che abbiamo bisogno di sentire di nuovo. In tutta la sua fresca semplicità. Lo dico oggi perché finalmente qualcosa sembra muoversi, dopo giorni e giorni di assurdo silenzio e tentativi di mettere a tacere (ma perché cari colleghi della stampa cattolica? Perché?). Si è preso atto che non si può far finta di nulla. Ma ecco che si profila all'orizzonte un nuovo rischio, da non sottovalutare. Il rischio è che venga tutto ridotto soltanto al tema, seppur importantissimo e gravissimo, della «pedofilia». La tentazione è quella. Lo si capisce dalle reazioni, dalle dichiarazioni, dagli spifferi. E anche dalle mosse ufficiali: non a caso l'incontro straordinario con tutti i capi dei vescovi del mondo, l'evento eccezionale, convocato dal Papa per il prossimo febbraio, avrà come tema la «protezione dei minori». Questione di rilevanza assoluta, si capisce. Ma che oggi non basta più a sgomberare le nubi che si addensano sulla Chiesa. Che ci siano stati preti pedofili, che ci siano state deviazioni nei seminari, violenze sui minori, orrori e abusi, purtroppo, non è una novità. Se ne deve parlare, ovviamente. Bisogna perseguire i colpevoli. Fare luce sulle zone d'ombra. Ma in fondo questo è quello che già diceva il Papa in quella domenica d'agosto in Irlanda, quando è scoppiata (i lettori della Verità lo sanno bene) la questione mondiale. Ora siamo andati oltre. Quello che denuncia il dossier di monsignor Carlo Maria Viganò, quello che porta il segretario particolare di Benedetto XVI, padre Georg Gänswein, a parlare di «11 settembre della Chiesa», e il consiglio ristretto del Papa, il C9, a ristrutturarsi con la sostituzione di tre cardinali, è qualcosa che supera la vicenda dei singoli reati e dei colpevoli da perseguire. È qualcosa che riguarda il corpo stesso della Chiesa. La sua testa. La sua vita.Non è che non sia importante continuare a denunciare e punire chi ha commesso abusi sui minori, ci mancherebbe. Ma non basta più. Dopo la denuncia di monsignor Viganò e le parole di padre Georg, è necessario capire chi li ha coperti. Chi li ha protetti. E, soprattutto, è necessario capire se questa rete di protezione, essendo talmente robusta da nascondere orrori così grandi, abbia potuto poi influenzare più in generale la Chiesa. La sua dottrina. Le nomine. Le gerarchie. Financo le decisioni dei Pontefici. O l'andamento del Conclave. È a questo che bisogna rispondere se si vuole ripartire dopo l' 11 settembre. Altrimenti sarà un altro inganno. Pensateci: se il problema fosse stato la pedofilia, il Papa avrebbe dovuto convocare i vescovi del mondo per l'incontro straordinario di Roma da un bel pezzo. Non è una novità delle ultime ore, purtroppo. E il dossier Viganò, e il dibattito che ne è seguito, padre Georg compreso, non aggiungono una virgola alla conoscenza di reati di abusi su minori, rispetto a quanto sapevamo. Puntano invece il dito contro l'esistenza di una lobby gay in grado di condizionare la Chiesa. Questo è il cuore del problema. Questo è quello che manda nel «panico» (uso le parole dell'arcivescovo di San Francisco) i cattolici. Questo è quello che spinge il Papa, fallita la strategia del silenzio, a fare mosse straordinarie. E dunque è questo che si deve affrontare senza reticenze. Perché altrimenti, si passerebbe dalla strategia del silenzio, alla strategia della dissimulazione. Che sarebbe un modo persino peggiore di rispondere all'angoscia dei fedeli.
Scontri fra pro-Pal e Polizia a Torino. Nel riquadro, Walter Mazzetti (Ansa)
La tenuità del reato vale anche se la vittima è un uomo in divisa. La Corte sconfessa il principio della sua ex presidente Cartabia.
Ennesima umiliazione per le forze dell’ordine. Sarà contenta l’eurodeputata Ilaria Salis, la quale non perde mai occasione per difendere i violenti e condannare gli agenti. La mano dello Stato contro chi aggredisce poliziotti o carabinieri non è mai stata pesante, ma da oggi potrebbe diventare una piuma. A dare il colpo di grazia ai servitori dello Stato che ogni giorno vengono aggrediti da delinquenti o facinorosi è una sentenza fresca di stampa, destinata a far discutere.
Mohamed Shahin (Ansa). Nel riquadro, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (Imagoeconomica)
Per il Viminale, Mohamed Shahin è una persona radicalizzata che rappresenta una minaccia per lo Stato. Sulle stragi di Hamas disse: «Non è violenza». Monsignor Olivero lo difende: «Ha solo espresso un’opinione».
Per il Viminale è un pericoloso estremista. Per la sinistra e la Chiesa un simbolo da difendere. Dalla Cgil al Pd, da Avs al Movimento 5 stelle, dal vescovo di Pinerolo ai rappresentanti della Chiesa valdese, un’alleanza trasversale e influente è scesa in campo a sostegno di un imam che è in attesa di essere espulso per «ragioni di sicurezza dello Stato e prevenzione del terrorismo». Un personaggio a cui, già l’8 novembre 2023, le autorità negarono la cittadinanza italiana per «ragioni di sicurezza dello Stato». Addirittura un nutrito gruppo di antagonisti, anche in suo nome, ha dato l’assalto alla redazione della Stampa. Una saldatura tra mondi diversi che non promette niente di buono.
Nei riquadri, Letizia Martina prima e dopo il vaccino (IStock)
Letizia Martini, oggi ventiduenne, ha già sintomi in seguito alla prima dose, ma per fiducia nel sistema li sottovaluta. Con la seconda, la situazione precipita: a causa di una malattia neurologica certificata ora non cammina più.
«Io avevo 18 anni e stavo bene. Vivevo una vita normale. Mi allenavo. Ero in forma. Mi sono vaccinata ad agosto del 2021 e dieci giorni dopo la seconda dose ho iniziato a stare malissimo e da quel momento in poi sono peggiorata sempre di più. Adesso praticamente non riesco a fare più niente, riesco a stare in piedi a malapena qualche minuto e a fare qualche passo in casa, ma poi ho bisogno della sedia a rotelle, perché se mi sforzo mi vengono dolori lancinanti. Non riesco neppure ad asciugarmi i capelli perché le braccia non mi reggono…». Letizia Martini, di Rimini, oggi ha 22 anni e la vita rovinata a causa degli effetti collaterali neurologici del vaccino Pfizer. Già subito dopo la prima dose aveva avvertito i primi sintomi della malattia, che poi si è manifestata con violenza dopo la seconda puntura, tant’è che adesso Letizia è stata riconosciuta invalida all’80%.
Maria Rita Parsi critica la gestione del caso “famiglia nel bosco”: nessun pericolo reale per i bambini, scelta brusca e dannosa, sistema dei minori da ripensare profondamente.






