Studio della Cgia di Mestre sfata il mito che siano gli autonomi i maggiori evasori del Paese: in realtà sono solo poco più del 12%. Spa, srl e cooperative in 25 anni non hanno versato imposte per 822 miliardi di euro.
Studio della Cgia di Mestre sfata il mito che siano gli autonomi i maggiori evasori del Paese: in realtà sono solo poco più del 12%. Spa, srl e cooperative in 25 anni non hanno versato imposte per 822 miliardi di euro.Non tutte le aziende italiane sono uguali in Italia. Lo sa soprattutto il fisco. Quando si tratta di pagare le imposte, infatti, le più vessate dall’imposizione sono sempre le Pmi mentre le grandi aziende presenti sul nostro territorio spesso trovano il modo di pagare meno balzelli. Uno studio della Cgia di Mestre che analizza i dati dell’Agenzia delle Entrate mostra che, negli ultimi 25 anni, quasi 3,5 milioni di società di capitali non hanno pagato tasse, contributi e altre imposte per un totale di 822,7 miliardi di euro, pari al 64,3% del totale non riscosso dal fisco italiano. Questi dati lasciano chiaramente intendere che una maggiore progressività circa il pagamento delle imposte porterebbe grandi benefici per tutti quegli imprenditori che le tasse le pagano fino all’ultimo centesimo. Del resto, si tratta di equità, perché è giusto che più un’azienda fattura e più deve pagare le imposte. Ma si tratta di una equazione che in Italia quasi mai viene rispettata.In dettaglio, tra il 2000 e il 31 gennaio 2025, l’ammontare complessivo delle tasse non riscosse ha raggiunto i 1.279,8 miliardi di euro. Di questi, 822,7 miliardi sono attribuibili alle persone giuridiche, ovvero alle società per azioni, a quelle a responsabilità limitata, ai consorzi e alle cooperative. Altri 300,4 miliardi sono ascrivibili alle persone fisiche, come lavoratori dipendenti e pensionati, mentre i rimanenti 156,7 miliardi sono riconducibili alle persone fisiche con attività economica come artigiani, commercianti e liberi professionisti. Dei 22,26 milioni di contribuenti con carichi residui affidati tra il 2000 e il 31 gennaio 2025, solo 2,86 milioni (il 12,8% del totale) sono persone fisiche con attività economica (ditte individuali, società di persone, lavoratori autonomi, etc.). Altri 3,47 milioni (il 15,6% del totale) sono persone giuridiche (società di capitali) e ben 15,93 milioni (il 71,6% del totale) fanno riferimento alla categoria delle persone fisiche (lavoratori dipendenti, pensionati, etc.).I dati forniti dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione confermano, poi, quanto sostiene da decenni anche la Cgia: i lavoratori autonomi non sono un popolo di evasori, come spesso vengono descritti dall’opinione pubblica. In questi ultimi 25 anni, solo 13 evasori su 100 hanno una partita Iva e il debito fiscale complessivo (156,7 miliardi di euro) ha un’incidenza sul dato totale molto contenuta e pari al 12,2%.Le modalità di evasione fiscale variano significativamente tra i diversi tipi di contribuenti. Le frodi Iva, l’uso improprio di crediti inesistenti o di aiuti economici non dovuti, la fittizia dichiarazione di residenza fiscale all’estero e l’occultamento di patrimoni al di fuori dei confini nazionali sono modalità di evasione che, a differenza di quelle imputabili agli artigiani e ai piccoli commercianti, sono ascrivibili quasi esclusivamente ai grandi contribuenti. Negli ultimi 25 anni, il debito fiscale pro capite più elevato è stato registrato dai residenti del Lazio, con un importo di 39.673 euro. Seguono i campani con 27.264 euro e i lombardi con 25.904 euro. Le Regioni a statuto speciale del Nord mostrano, invece, le situazioni più virtuose: in Valle d’Aosta il debito pro capite ancora da riscuotere è di 12.533 euro, in Friuli-Venezia Giulia di 11.125 euro e in Trentino Alto Adige di soli 6.964 euro. Se consideriamo i mancati pagamenti di tasse e contributi in valore assoluto, la situazione più critica si verifica in Lombardia, con 259,3 miliardi di euro di debiti. Seguono il Lazio con 226,7 miliardi, la Campania con 152,5 miliardi e l’Emilia-Romagna con 87,9 miliardi. I dati negativi del Lazio e della Lombardia sono fortemente influenzati dalla presenza, in queste Regioni, della maggior parte delle Big tech, delle multinazionali e dei grandi gruppi industriali presenti nel Paese.Negli ultimi anni, i risultati ottenuti nella lotta contro l’evasione fiscale hanno dimostrato l’importanza di proseguire su questa strada, intensificando gli sforzi per semplificare il sistema tributario e migliorare la relazione tra fisco e contribuente. Come spiega la Cgia, è essenziale utilizzare in modo sempre più efficiente i dati a disposizione dell’amministrazione fiscale per ottimizzare i controlli su fenomeni ad alto rischio, secondo le valutazioni dell’Agenzia delle Entrate. Tra questi fenomeni si annoverano le frodi Iva, l’uso improprio di crediti inesistenti o aiuti economici non dovuti, la fittizia dichiarazione di residenza fiscale all’estero e l’occultamento di patrimoni al di fuori dei confini nazionali.Queste modalità di evasione, a differenza di quelle attribuibili agli artigiani e ai piccoli commercianti, sono quasi esclusivamente riconducibili ai grandi contribuenti. Pertanto, è cruciale continuare a monitorare e contrastare queste pratiche per garantire un sistema fiscale più equo e trasparente.
Agostino Ghiglia e Sigfrido Ranucci (Imagoeconomica)
Il premier risponde a Schlein e Conte che chiedono l’azzeramento dell’Autorità per la privacy dopo le ingerenze in un servizio di «Report»: «Membri eletti durante il governo giallorosso». Donzelli: «Favorevoli a sciogliere i collegi nominati dalla sinistra».
Il no della Rai alla richiesta del Garante della privacy di fermare il servizio di Report sull’istruttoria portata avanti dall’Autorità nei confronti di Meta, relativa agli smart glass, nel quale la trasmissione condotta da Sigfrido Ranucci punta il dito su un incontro, risalente a ottobre 2024, tra il componente del collegio del Garante Agostino Ghiglia e il responsabile istituzionale di Meta in Italia prima della decisione del Garante su una multa da 44 milioni di euro, ha scatenato una tempesta politica con le opposizioni che chiedono l’azzeramento dell’intero collegio.
Il sindaco di Milano Giuseppe Sala (Imagoeconomica)
La direttiva Ue consente di sforare 18 volte i limiti: le misure di Sala non servono.
Quarantaquattro giorni di aria tossica dall’inizio dell’anno. È il nuovo bilancio dell’emergenza smog nel capoluogo lombardo: un numero che mostra come la città sia quasi arrivata, già a novembre, ai livelli di tutto il 2024, quando i giorni di superamento del limite di legge per le polveri sottili erano stati 68 in totale. Se il trend dovesse proseguire, Milano chiuderebbe l’anno con un bilancio peggiore rispetto al precedente. La media delle concentrazioni di Pm10 - le particelle più pericolose per la salute - è passata da 29 a 30 microgrammi per metro cubo d’aria, confermando un’inversione di tendenza dopo anni di lento calo.
Bill Gates (Ansa)
Solo pochi fanatici si ostinano a sostenere le strategie che ci hanno impoverito senza risultati sull’ambiente. Però le politiche green restano. E gli 838 milioni versati dall’Italia nel 2023 sono diventati 3,5 miliardi nel 2024.
A segnare il cambiamento di rotta, qualche giorno fa, è stato Bill Gates, niente meno. In vista della Cop30, il grande meeting internazionale sul clima, ha presentato un memorandum che suggerisce - se non un ridimensionamento di tutto il discorso green - almeno un cambio di strategia. «Il cambiamento climatico è un problema serio, ma non segnerà la fine della civiltà», ha detto Gates. «L’innovazione scientifica lo arginerà, ed è giunto il momento di una svolta strategica nella lotta globale al cambiamento climatico: dal limitare l’aumento delle temperature alla lotta alla povertà e alla prevenzione delle malattie». L’uscita ha prodotto una serie di reazioni irritate soprattutto fra i sostenitori dell’Apocalisse verde, però ha anche in qualche modo liberato tutti coloro che mal sopportavano i fanatismi sul riscaldamento globale ma non avevano il fegato di ammetterlo. Uscito allo scoperto Gates, ora tutti possono finalmente ammettere che il modo in cui si è discusso e soprattutto si è agito riguardo alla «crisi climatica» è sbagliato e dannoso.
Elly Schlein (Ansa)
Avete presente Massimo D’Alema quando confessò di voler vedere Silvio Berlusconi chiedere l’elemosina in via del Corso? Non era solo desiderare che fosse ridotto sul lastrico un avversario politico, ma c’era anche l’avversione nei confronti di chi aveva fatto i soldi.
Beh, in un trentennio sono cambia ti i protagonisti, ma la sinistra non è cambiata e continua a odiare la ricchezza che non sia la propria. Così adesso, sepolto il Cavaliere, se la prende con il ceto medio, i nuovi ricchi, a cui sogna di togliere gli sgravi decisi dal governo Meloni. Da anni si parla dell’appiattimento reddituale di quella che un tempo era la classe intermedia, ma è bastato che l’esecutivo parlasse di concedere aiuti a chi guadagna 50.000 euro lordi l’anno perché dal Pd alla Cgil alzassero le barricate. E dire che poche settimane fa la pubblicazione di un’analisi delle denunce dei redditi aveva portato a conclusioni a dir poco sor prendenti. Dei 42,6 milioni di dichiaranti, 31 milioni si fanno carico del 23,13 dell’Irpef, mentre gli altri 11,6 milioni pagano il resto, ovvero il 76,87 per cento.
In sintesi, il 43 per cento degli italiani non paga l’imposta, mentre chi guadagna più di 60.000 euro lordi l’anno paga per due. Di fronte a questi numeri qualsiasi persona di buon senso capirebbe che è necessario alleggerire la pressione fiscale sul ceto medio, evitando di tartassarlo. Qualsiasi, ma non i vertici della sinistra. Pd, Avs e Cgil dunque si agitano compatti contro gli sgravi previsti dal la finanziaria, sostenendo che il taglio dell’Irpef è un regalo ai più ricchi. Premesso che per i redditi alti, cioè quello 0,2 per cento che in Italia dichiara più di 200.000 euro lordi l’anno, non ci sarà alcun vantaggio, gli altri, quelli che non sono in bolletta e guadagnano più di 2.000 euro netti al mese, pare davvero difficile considerarli ricchi. Certo, non so no ridotti alla canna del gas, ma nelle città (e quasi sempre le persone con maggiori entrate vivono nei capoluoghi) si fa fatica ad arrivare a fine mese con uno stipendio che per metà e forse più se ne va per l’affitto. Negli ultimi anni le finanziarie del governo Meloni hanno favorito le fasce di reddito basse e medie. Ora è la volta di chi guadagna un po’di più, ma non molto di più, e che ha visto in questi anni il proprio potere d’acquisto eroso dall’inflazione. Ma a sinistra non se la prendono solo con i redditi oltre i 50.000 euro. Vogliono anche colpire il patrimonio e così rispolverano una tassa che punisca le grandi ricchezze e le proprietà immobiliari. Premesso che le due cose non vanno di pari passo: si può anche possedere un appartamento del valore di un paio di milioni ma, avendolo ereditato dai geni tori, non avere i soldi per ristrutturarlo e dunque nemmeno per pagare ogni anno una tassa.
Dunque, possedere un alloggio in centro, dove si vive, non sempre è indice di patrimonio da ricchi. E poi chi ha una seconda casa paga già u n’imposta sul valore immobiliare detenuto ed è l’I mu, che nel 2024 ha consentito allo Stato di incassare l’astronomica cifra di 17 miliardi di euro, il livello più alto raggiunto negli ultimi cinque anni. Milionari e miliardari, quelli veri e non immaginati dai compagni, certo non hanno il problema di pagare una tassa sui palazzi che possiedono, ma non hanno neppure alcuna difficoltà a ingaggiare i migliori fiscali sti per sottrarsi alle pretese del fisco e, nel caso in cui neppure i professionisti sia no in grado di metterli al riparo dall’Agenzia delle entrate, possono sempre traslocare, spostando i propri soldi altrove. Come è noto, la finanza non ha confini e l’apertura dei mercati consente di portare le proprie attività dove è più conveniente. Quando proprio il Pd, all’e poca guidato da Matteo Renzi, decise di introdurre una flat tax per i Paperoni stranieri, migliaia di nababbi presero la residenza da noi. E se domani l’imposta venisse abolita probabilmente andrebbero altrove, seguiti quasi certamente dai ricconi italiani. Del resto, la Svizzera è vicina e, come insegna Carlo De Benedetti, è sempre pronta ad accogliere chi emigra con le tasche piene di soldi. Inoltre uno studio ha recentemente documentato che l’introduzione negli Usa di una patrimoniale per ogni dollaro incassato farebbe calare il Pil di 1 euro e 20 centesimi, con una perdita secca del 20 per cento. Risultato, la nuova lotta di classe di Elly Schlein e compagni rischia di colpire solo il ceto medio, cancellando gli sgravi fiscali e inasprendo le imposte patrimoniali. Quando Mario Monti, con al fianco la professoressa dalla lacrima facile, fece i compiti a casa per conto di Sarkozy e Merkel , l’Italia entrò in de pressione, ma oggi una patrimoniale potrebbe essere il colpo di grazia.
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