2020-07-25
Governo ubriaco, con la scusa del Covid colpo di spugna sui vini Doc e Docg
Il dl Semplificazioni smonta i disciplinari: si può imbottigliare ovunque, senza regole. Barolo e Prosecco a rischio tarocchi.Leggendo il decreto Semplificazioni verrebbe da dire: perdona loro perché non sanno quello che fanno. Con l'articolo 43 si sancisce la fine delle Doc e delle Docg. Barolo, Barbaresco, Brunello, Chianti, il Prosecco e con loro altri 340 vini Doc e altri 70 vini a Denominazione di origine controllata e garantita vengono letteralmente cancellati. Vuol dire passare un colpo di spugna su circa 10 dei 15 miliardi che il vino italiano fattura e su 5 dei 6,4 miliardi di euro che le nostre cantine (prima del Covid) realizzano all'estero. Con un danno d'immagine incalcolabile.Al capo terzo del suddetto decreto sotto l'antitaliano titolo di «semplificazioni in materia di green economy» si statuiscono «disposizioni di semplificazione in materia di interventi su progetti o impianti alimentati da fonti di energia rinnovabile e di taluni nuovi impianti, nonché di spalma incentivi». Cosa significa? Per il vino nulla, ma il vino c'entra. Al comma 3 - giusto per semplificare - sta scritto: «All'articolo 38, dopo il comma 7, è aggiunto il seguente: 7- bis. In caso di dichiarazione di calamità naturali ovvero di adozione di misure sanitarie o fitosanitarie, o altre cause di forza maggiore, riconosciute dall'Autorità competente, che impediscano temporaneamente agli operatori di rispettare il disciplinare di produzione, è consentito imbottigliare un vino soggetto all'obbligo di cui all'articolo 35, comma 2, lettera c), al di fuori della pertinente zona geografica delimitata». Significa che si possono imbottigliare i vini a Denominazione ovunque. Chi ha scritto questa norma forse non sa che da decenni i nostri maggiori concorrenti - dall'Australia al Cile passando per gli Stati Uniti - in sede di Wto (Organizzazione del commercio mondiale) si battono per cancellare le denominazioni, che la Germania e la Gran Bretagna - primi bevitori dei nostri spumanti - sono invase da centinaia di migliaia di bottiglie di «Prisecco» e simili o che il Chianti Classico ha lottato per decenni nei tribunali americani - il mercato Usa per i nostri vini vale 2 miliardi e assorbe quasi esclusivamente Doc e Docg - per difendersi dai tarocchi. Quella norma apre le porte alla contraffazione, mette i produttori d'uva alla mercé di operatori senza scrupoli che possono comprare un po' di Sangiovese grosso a Montalcino, mischiarlo con chissà cosa e imbottigliare altrove, al riparo di qualsiasi sorveglianza, un autentico falso Brunello. Così i Consorzi di tutela vengono spiazzati e l'unico interesse salvo è quello dello Stato gabelliere che «vende» comunque le fascette da apporre alle bottiglie a Denominazione. La ministra agricola Teresa Bellanova avrà fatto la bracciante, ma di come funziona il mondo del vino di alta qualità pare non sapere nulla. Dopo la beffa dei migranti regolarizzati (non uno finirà a raccogliere l'uva e la carenza di manodopera in campagna resta con tutta la sua gravità) ora firma anche il danno del via libera alla contraffazione. Data l'emergenza Covid tutta l'Italia è territorio in emergenza per cui assisteremo a un gran traffico di autocisterne per andare a imbottigliare dove più conviene, cosa più conviene. Il primo allarme viene dal «sindacato agricolo» più vicino al governo. Scrive la Cia presieduta da Dino Scanavino: «È una norma sproporzionata, i disciplinari di qualità andrebbero ancora di più oggi blindati. Speriamo che venga corretta in fretta, ma intanto va sistemato il danno che già c'è. Il decreto è entrato in vigore il 16 luglio e dunque ha già prodotto i suoi effetti in assoluto contrasto con i regolamenti europei e con l'operato dell'Italia a salvaguardia dei vini d'origine. Una deroga ai disciplinari è inammissibile perché tende a legittimare pratiche sleali». Al vino e soprattutto a quello di qualità questo governo non ha prestato troppa attenzione. Durante la chiusura per Covid di enoteche, ristoranti, bar le cantine hanno perso il 50% del fatturato sia in Italia che all'estero e oggi una su quattro rischia di non superare la crisi. Molto difficile è la situazione dei vini di fascia media e alta, appunto Doc e Docg che rappresentano quasi il 70% dei 46 milioni di ettolitri prodotti dall'Italia. Con l'approssimarsi della vendemmia molte cantine non hanno capienza per via del vino invenduto e mentre la Francia ha avviato per tempo la distillazione di soccorso remunerando a prezzo quasi pieno anche i vini di alta gamma (molto Champagne è stato portato in distilleria), l'Italia si è mossa male e in ritardo. Viene avviato solo ora alla distillazione per produrre alcol e dunque i disinfettanti che tanto sono mancati durante la crisi da Covid il vino di scarsa qualità remunerato meno di 28 centesimi al litro. Per gli altri si è stabilito un sostegno alla «vendemmia verde» cioè il taglio di grappoli non ancora maturi o per la limitazione delle rese che in totale vale 100 milioni di euro. Praticamente nulla. E ora la domanda delle cento pistole (o vendemmie). Se si consente d'imbottigliare senza rispetto del disciplinare è possibile che parte del vino invenduto diventi Doc? Che senso ha ora l'affinamento per anni? A che serve stabilire con quali uve e dove si possa fare un vino? Semplifichiamo: l'importante è che sia green!
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)